“La mia vita è finita con lei. La demenza l’aveva immobilizzata, sono stato una sventura per lei”: lutto per Roberto Saviano, è morta la zia Silvana
“Zia Lalla non c’è più. Lalla la chiamavo io da bimbo; le avevo dato questo nome, più facile da pronunciare del suo: Silvana”. Inizia così il lungo e toccante messaggio con cui Roberto Saviano ha annunciato sui social la morte di sua zia Silvana, figura fondamentale della sua vita, una vera e propria “madre per […] L'articolo “La mia vita è finita con lei. La demenza l’aveva immobilizzata, sono stato una sventura per lei”: lutto per Roberto Saviano, è morta la zia Silvana proviene da Il Fatto Quotidiano.

“Zia Lalla non c’è più. Lalla la chiamavo io da bimbo; le avevo dato questo nome, più facile da pronunciare del suo: Silvana”. Inizia così il lungo e toccante messaggio con cui Roberto Saviano ha annunciato sui social la morte di sua zia Silvana, figura fondamentale della sua vita, una vera e propria “madre per scelta”. Un addio che diventa l’occasione per ripercorrere, sulle pagine del Corriere della Sera, un legame profondo, fatto di affetto quotidiano, principi rigorosi e, infine, segnato dal dolore e dall’isolamento imposti dalla vita sotto scorta dello scrittore.
“Tutto ciò che sono ha la sua traccia”
Saviano dipinge il ritratto di una donna che ha dedicato la sua vita a lui e al fratello, scegliendoli come figli: “Non si era sposata e aveva, con sua sorella — mia madre —, scelto di accudirmi. Aveva scelto me e mio fratello come figli: non le eravamo capitati”. I ricordi d’infanzia sono vividi e carichi di tenerezza: “Mi ha svegliato al mattino per anni, tenuto il termometro, accompagnato a scuola, alle lezioni di pianoforte; mi ha insegnato a usare forchetta e coltello, rimpinzato di frullato, lavato e disinfettato le sbucciature, insegnato a rompere le uova di cioccolato con un pugno, costruito imperi di Lego, collezionato con me squadre di Subbuteo. Tutto ciò che sono ha la sua traccia, tutto ciò che non sarò più ha la sua assenza”.
Emerge la figura di una donna indipendente, dai principi saldi: “Il suo stile era vivere secondo i suoi principi: un’etica rigorosa che non voleva imporre a nessuno. Era la sua, e la praticava. Aveva rifiutato di lavorare in banca e di sposarsi, per non cedere ad altri alcun potere su di sé”. Una donna che trovava negli animali una compagnia più sincera di quella degli uomini, verso i quali nutriva “una diffidenza costante”. Saviano elenca con affetto i suoi compagni a quattro zampe: “Le quattro tartarughe d’acqua dolce, […] Miciurì il gatto rosso, […] Bandito il meticcio trovato, […] Merlino l’ultimo gatto vissuto troppo poco, e soprattutto Oliver, il gatto più amato. E di certo, sull’uscio ad attenderla, ci sarebbe Darma, la cagnolina boxer con cui ha vissuto in simbiosi”.
“Sono stato una sventura per lei”: l’impatto di Gomorra
Ma il racconto si incrina quando Saviano affronta l’impatto che la sua vita – quella segnata da “Gomorra“, dalla camorra, dai processi, dalle minacce e dalle accuse politiche – ha avuto sulla sua famiglia, e in particolare su zia Lalla e sulla madre. “Per parte mia, sono stato una sventura per lei, come per tutta la famiglia: la mia vicenda è stata un’esplosione”. Lo scrittore racconta del dolore silenzioso della zia, che “non era mai riuscita davvero, dentro di sé, a comprendere quello che mi era capitato, né perché avessi deciso di finirci in mezzo”. E della necessità, per lei e la madre, di cambiare vita: “Non solo hanno cambiato città (lasciando Caserta, ndr]) e abitudini, sono state costrette a difendermi dai commenti continui”. Le battute “sull’aver ‘rovinato la reputazione di una terra’ e quel ‘si è arricchito sulle sventure’ le consumavano di rabbia”. Una sofferenza acuita dalla costante pressione e dalle indagini: “Pressioni, illazioni, dossier. Tutto veniva setacciato per trovare un appiglio contro di me, ma loro, di rigorosissima famiglia ligure, non offrivano nulla. Eppure pativano il vedermi bersaglio”. Zia Lalla, ricorda Saviano, provava ad assisterlo come poteva: “Provava a seguirmi e ad assistermi quando, all’inizio, le scorte mi spostavano continuamente: lo faceva cucinando”. Ma il peso di quella situazione, secondo lo scrittore, ha contribuito a isolarla sempre di più.
Il rimpianto e l’addio
E qui arriva il rimpianto più doloroso: “Mai mi perdonerò che Silvana si sia chiusa anche per questo: non voleva commerciare col mondo che aveva ferito così tanto suo nipote-figlio per scelta”. Un isolamento che, scrive Saviano, “l’ha portata a scivolare in una depressione che è stata prodromica alla demenza a corpi di Lewy“. Quindi l’addio finale: “Addio Zia Silvana, madre amata. Non sono stato capace di trovare parole che riuscissero davvero a incontrarti nel profondo, perché non erano le parole che volevi da me. Tutti pretendevano le mie parole, non tu. Noi ci trovavamo nei silenzi, fissandoci negli occhi, mangiando insieme, vedendo la tua smorfia per un mio vestito sbrindellato: smorfia sorniona identica a quella che ho ritrovato sul tuo volto poco fa, l’ultima che ho visto prima che il legno sigillasse la tua pace. La mia vita — quella silenziosa che per essere compresa non necessitava parole ma solo sguardi — è finita con te“.
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