Intervista al teamcro: non siamo qua per diventare il tuo prossimo video verticale

Intervista al collettivo teamcro, dal nuovo disco "teamcro tape" alla ricerca e l'innovazione dell'underground. L'articolo Intervista al teamcro: non siamo qua per diventare il tuo prossimo video verticale proviene da Boh Magazine.

Mar 11, 2025 - 12:35
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Intervista al teamcro: non siamo qua per diventare il tuo prossimo video verticale

Da poco è uscito teamcro tape, il primo progetto corale del teamcro, pubblicato per Asian Fake. Dopo anni di amicizia e collaborazione, è finalmente arrivato il momento per Deriansky, Deepho, Michael Mills e 9DEN di riunirsi in un tape.

Il collettivo nasce a Parma nel 2019 con l’intento di superare le logiche individualiste della scena musicale e costituisce una delle realtà più interessanti della nostra scena. Una fucina di talento che si distingue per un particolare approccio creativo che dedica ampio spazio alla ricerca musicale, all’autenticità e all’estetica.

Li abbiamo intervistati per parlare del disco, di Parma, del concetto di underground e tanto altro: buona lettura.

Prima di iniziare: teamcro, chi sono?

Il collettivo è nato nel 2019. Quanto vi siete dovuti scoprire prima per pubblicare un progetto che rappresentasse l’anima del teamcro?

Deriansky: Ci sono state esperienze di vita condivise. Abbiamo fatto il disco perché ci siamo conosciuti, abbiamo consolidato un’amicizia che anche sul lavoro ha portato soddisfazioni, e questo ci ha portato a fare un tape.

Deepho: Diciamo che anche prima del tape stesso nasciamo un po’ come collaboratori che diventano amici, poi diventano più amici che collaboratori…

Deriansky: Sostanzialmente veniamo tutti dalla stessa città quindi alcuni rapporti erano già esistenti. Ad esempio io e 9DEN ci conosciamo da più di 10 anni, mentre Deepho l’ho conosciuto intorno al 2017. Poi abbiamo iniziato a fare le robe, ho conosciuto Nic Paranoia, Micheal Mills ed è nato il teamcro. Era ben chiaro che avremmo collaborato tutti ad un progetto, soprattutto a livello di crediti, dove ognuno avrebbe dato il suo apporto generale. Il teamcro già esisteva, ma come fucina che aiutava e costruiva i progetti dei singoli. Poi ad un certo punto abbiamo deciso di dargli la luce, ma l’idea c’era da sempre. Si trattava solo di trovare il momento giusto per farlo succedere.

Hai parlato di teamcro come fucina. Ho immaginato un concetto di musica decentralizzata sia come gusto musicale, inteso come ricerca di qualcosa di nuovo, sia geograficamente, per il fatto che venite tutti da Parma. Che significato ha avuto la città nel vostro percorso artistico?

Deepho: Io sono scappato perché non ce la facevo più!

Deriansky: La maggior parte degli elementi del Teamcro ad oggi vive a Milano, però ci siamo relazionati prima su Parma e poi su Milano, che è diventata il fulcro lavorativo per tutti. Artisticamente ha dato mille cose, essendo una città molto più piccola di Milano, molto più di provincia e con meno situe, forse in alcuni di noi ha creato quella fame di inventarci di più la cosa. Non avevamo dei canali standard su Parma, quindi il gioco era abbastanza carta bianca per come l’avevamo a livello cittadino. Poi come ogni cosa ti plasma ed inevitabilmente detta la tua caratura artistica. È servita sotto diversi aspetti, come probabilmente servirà Milano in futuro per lo sviluppo del progetto Teamcro.

9DEN: Parma a differenza di Milano ha una vita completamente diversa , e questo sicuramente ha delle implicazioni. Poi bene o male siamo tutti passati da Milano ma il contesto che vivi influenza tantissimo quello che fai, sia a livello emotivo/umano che creativo/lavorativo.

Deriansky: Parma ci ha insegnato a stare insieme. Il concetto di compagnia, che poi se vuoi si può sviluppare in quello di collettivo, nasce dalla necessità di conoscere persone nuove, e a Parma questo è vitale. A 20 anni ho conosciuto Deepho e mi si è aperto un mondo, siamo diventati mega amici. Forse le basi per creare un collettivo sono più solide quando hai il piacere di conoscere persone nuove.

A proposito di persone, sentite di avere una categoria di ascoltatori ai cui rivolgervi per comprendere e indirizzare al meglio ciò che volete trasmettere?

Deepho: Ti faremmo vedere un video che ci siamo mandati ieri sul gruppo di un improbabile tipo di 55 anni, che a quanto pare è diventato grande fan del Teamcro (ride, ndr). Per quanto mi riguarda è una cosa che va a sé. Fino a quando sei una roba di nicchia, per forza di cose chi ti ascolterà sarà quello che ti vuole venire a cercare. Oggi abbiamo più ascoltatori più consapevoli di altri, ma tutto perché magari sappiamo di non essere un suono semplice.

Deriansky: Sicuramente abbiamo una fetta di “seguaci” rappresentata da artisti, musicisti, nerd della musica o delle arti visive. Io però sono dell’idea che se tu vuoi essere completamente vero con la tua roba, allora è il target che sceglie te, non il contrario. Poi ai concerti ci capita veramente il cinquantenne. Tipo una volta ho aperto una data di Olly e Blanco davanti a un pubblico ovviamente completamente fuori target e l’unico che mi ha scritto un messaggio per complimentarsi è stato un genitore. Però sono d’accordo con Deepho, finché sei una nicchia chi ti ascolta è chi ti viene a cercare.

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Il fatto che tra il vostro pubblico ci siano tanti artisti e addetti ai lavori, sia lato discografico che soprattutto lato visivo, probabilmente è dato dal fatto che sono persone più abituate a dare la giusta attenzione alla musica

9DEN: Sì, forse il target sono persone che in un certo modo sono simili a noi. Ovvero non giovanissime, perché comunque stiamo tutti tra i 25 e i 30 anni, e che ci rispecchia anche per come siamo. Poi naturalmente è sempre difficile parlare di target perché quando fai musica non pensi a chi deve arrivare. Come diceva prima Dario, anche il genitore di 50 anni tutto pettinato che ti scrive dopo un’esibizione davanti a 5000 persone indignate per quello che stavano vedendo sono tutte cose che non puoi calcolare e che accadono molto random.

Deepho: Che poi alla fine neanche così tanto indignati perchè a dirla tutta in quel contesto prima del concerto di Blanco i ragazzini eran gasati…

Deriansky: Sì, però è talmente un entrare da una parte e uscire dall’altra che tu non è che stai guadagnando dei fan, stai passando davanti a qualcuno e magari il tuo punto di forza, che può essere quello dell’originalità, non può essere colto in quel preciso momento.
Il mio target mi piacerebbe che fosse gente che ascolta della musica.

Anche perché l’ascoltatore che può capitare ad un concerto come quello che citavi non è detto che abbia quell’interesse ad approfondire per scoprire un progetto musicale dove le scelte non sono scontate.

Deriansky: Assolutamente, infatti. Si lega bene al tema che dicevamo, ossia che gli ascoltatori che ti cercano sono quelli abituati a farlo, a dare il giusto peso ad un video, ad una canzone. E poi c’è tutta la questione della viralità: fino a che non lo sei è difficile capitare a chi non cerca.

Deepho: Alla fine voi, inteso come magazine, sapete meglio di tutti gli altri il fatto che chi emerge oggi lo decidono gli altri, diciamocelo chiaramente. Secondo me sono pochi gli esempi di artisti che sono emersi perché il pubblico lo ha deciso, ecco. Esempio: tutta la generazione dei ragazzini che fanno la drill a Milano. Loro effettivamente lo hanno fatto perché tutti i giovanissimi volevano quella roba. Tutto il resto è dato in pasto all’ascoltatore, e chi cerca veramente cosa vuole ascoltare è 1 su 10.

Deriansky: A proposito, l’altro giorno guardavo una statistica relativa a Spotify. La stragrande maggioranza della musica presente sulla piattaforma ha meno di 10.000 ascolti. Solamente una piccolissima percentuale invece supera i 100.000. Questo ti fa capire quanto ad oggi, con i metodi di fruizione che abbiamo, il live, il supporto fisico, la foto vera siano utili per distinguersi. Col sound lo puoi fare, però sei una goccia in un oceano e basta.

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Online hai degli strumenti per raggiungere potenzialmente chiunque. Il fatto è che sono strumenti condivisi da tutti, quindi magari gli utenti non sono abituati alla ricerca di cose nuove da ascoltare perché sono bombardati da qualsiasi cosa, e non solo a livello musicale.

Deriansky: E forse anche l’etichetta influisce su questo. Noi siamo classificati come rapper, che per quanto mi riguarda è il mio genere di formazione ed è anche quello che faccio, poi il disco che proponiamo non è fatto per essere collocato nel rap perché stoniamo davvero in quel mondo attuale. Quindi è anche difficile sentirsi a posto col target che scegli. Noi abbiamo una matrice hip hop, una elettronica, cantiamo anche, suoniamo strumentale, insomma… vediamo dove ci piazza chi ci ascolta.

In tutto ciò quanto conta la presenza di un scena e di un movimento vivo?

Deriansky: Quello fa tutto. Il fatto che ci siano altri collettivi simili ai nostri in questo periodo, come Thru Collected o Pseudospettri, è fondamentale. Se fosse stato solamente Rondodasosa a fare la drill ai tempi non so quanto sarebbe esploso il genere. Il fatto che ci sia stata tutta una scena e una scia della stessa è stato il vero traino.

Deepho: Soprattutto al pubblico di gente interessata. Tanti ascoltavano quella roba dall’America o da Londra e vedendo quella cosa succedere in Italia si è affezionata. Però come a tanta gente non gliene frega un cazzo perché manca un po’ di cultura musicale, allo stesso tempo quando gliene frega è per il fenomeno in sé. Magari quello che ha visto la trap evolvere davvero se lo godeva Rondo, però per tanti altri è stato uno status. Oggi gli artisti sono questi, non vendono più la musica ma un’esperienza.

Prendi Anna: lei è una grande, fa il suo e io la rispetto, però comunque è un prodotto. Non dimentichiamoci che la tipa ha esordito con Bando, è stata un fenomeno virale su internet e da lì l’industria l’ha presa e l’ha fatta diventare credibile. Queste cose van tenute a mente, ma non per sentirsi migliori degli altri, ma per constatare la condizione in cui noi ci troviamo ad operare.

Per riprendere quello che dicevi, è vero che Internet dà gli stessi mezzi per tutti, ma quali sono questi mezzi? Un video verticale di un minuto? Ma ci sputo sopra! Non siamo qua per diventare il tuo prossimo video verticale. Non è che devo fare il rap sulla musica elettronica per far l’alternativo, noi lo facciamo perché ci piace questa roba qua. Ed è anche questa la differenza. Bisognerebbe chiedere alle nuove generazioni (o anche vecchie, perchè non è solo questione di nuove) quanta gente ha voglia di fare l’artista per fare l’artista e quanta per fare il content creator. Vedo poca spontaneità da questo punto di vista. Poi, per carità, c’è chi decide di piegarsi perché quello è il modo per arrivare a più gente possibile, ma dico solo che su di me non funzionerebbe, né tantomeno funzionerebbe sul teamcro perché l’incipit iniziale è proprio diverso.

Nell’articolo su di voi avevamo titolato teamcro è la prova vivente che la musica più innovativa arriva dall’underground. Per voi cos’è l’underground oggi? E qual è lo stato di salute di quello italiano?

9DEN: Tu non lo sai ma questo è un discorso veramente molto lungo che abbiamo fatto tra di noi. Ognuno darà una risposta completamente diversa, preparati.
Secondo me (e sottolineo secondo me) l’underground è un’attitudine. Un po’ di nicchia, perché l’underground è molto legato alla ricerca ed è per pochi. Però l’attitudine nel fare una determinata cosa la si può vedere ovunque, anche all’interno del mercato mainstream, per dire.

E nel mainstream chi vedi avercela? Perché intuitivamente sono concetti che vanno in contrasto

9DEN: Ti cito, visto che è appena uscito il suo album ed è appena stata a Sanremo, Joan Thiele.

Deepho: Dai, però non puoi dire che è underground…

9DEN: Infatti, è proprio il top del mainstream. Sei a Sanremo, però porti un brano di qualità. Nel suo disco ha fatto una grandissima ricerca a livello di suoni, per me è importante come significato. La scelta di campionare Piero Umiliani che faceva roba western un sacco di anni fa è underground a tutti gli effetti.

Deepho: Secondo me l’underground è un po’ tutto quello che bene o male fugge dalla tradizione. Le nicchie nascono dal ribellarsi a qualcosa, dall’andare dalla parte opposta. Anche per dare un po’ fastidio.
Esempio: con 9DEN non ci trovavamo d’accordo perchè lui sostiene che nel disco di Bad Bunny (Debì tirar màs fotos, ndr) – disco della madonna anche secondo me, chiariamo – ci sia un’attitudine underground. Non è perché sei latino e fai un disco con i suoni del tuo paese devi essere visto come l’underground che entra nel mainstream.

Con questo non voglio dire che sono fan di tutte le nicchie dell’underground, perché poi tanti ci sguazzano solo per la paura o l’incapacità di uscirci. Dev’essere anche una scelta. Chi fa la scelta underground e potrebbe tranquillamente fare Sanremo è un gallo, chi lo fa perché è balordo (“scarso” in parmigiano, ndr) è per sentirsi più accettato. Per cui in parte rivedo l’underground in quello che dice 9DEN, però esiste anche una storia, ed è importante non dimenticarla quando si parla dell’argomento.

E l’underground italiano in che condizioni versa? Ci sono degli artisti definibili o comunque riconducibili a questo macrocosmo?

Deepho: Sicuramente c’è tutta una parte di ambiente che non conosco, ad esempio in certe scene indie rock, che esiste ed è piena di artisti e band. Però non vengo da quella roba lì. In quello della musica elettronica il vero underground italiano sono quelle scene di performance, installazioni ecc. Ti cito i nomi di Peppe Salis, Talpah (con cui ho anche fatto un tape), ma anche chi fa pubblicazioni indipendenti come Chierichetti Editore. L’underground viene anche dalle realtà di ragazzi che fanno i dj e anche se nessuno produce musica si tirano su il collettivo e fanno la serata. Sono queste realtà qua alla fine. Dopo è chiaro che anche l’underground ha la sua tradizione, quindi anche lì devi essere qualcuno, dev’esserci una storia che racconta il tuo percorso.

Deriansky: Condivido alcune cose dei passaggi di 9DEN e Deepho, però secondo me non c’è un tipo di musica che si può definire underground solo per il genere. La ricerca dietro la musica è un valore, ma non rende underground un disco. Prendo come esempio molte persone che conosco che fanno musica indie rock o punk. I generi esistono anche nel mainstream, però lo stampare i dischi da soli e venderseli è una roba underground. Non riuscirei mai ad accostare ciò che è buttato nel mercato mainstream come underground.

Per me lo è tutto ciò che è nascosto dalla luce. E aggiungo che è molto più difficile diventare il king dell’underground, piuttosto che il king del mainstream. Nel senso che il secondo presuppone dei numeri e delle vendite, che è un’impresa difficilissima, il primo invece presuppone delle scelte controcorrente e una maggiore difficoltà nel promuovere un progetto. Non sono le persone che fanno il titolo, ma lo sono i mondi in cui si muove, i contesti, le scelte.

Per approfondire: Ha ancora senso stampare i propri dischi?

Mi affascinava il tema a cui accennavi prima, ovvero che l’underground potesse essere la fase iniziale di un qualcosa che poi può finire per diventare moda. Si ricollega al fatto che per per creare qualcosa di nuovo devi andare a rompere le regole di chi è passato prima…

Deriansky: Tutto ciò che va fortissimo nell’underground prima o poi qualcuno lo prende e lo rielabora. C’è un velo di verità che vuoi o non vuoi, periodo di plastica o meno, buca lo schermo anche nel mainstream. Prendevamo come esempio Bad Bunny: sicuramente il contesto è quello della musica del suo paese che conosce bene, ma si sarà rifatto a degli artisti underground local.

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Ma ci può essere innovazione anche nel mainstream? Secondo voi chi ha trovato un buon equilibrio nel parlare ad un pubblico ampio ma con scelte interessanti a livello musicale?

Deepho: A mio avviso quando thasup appena uscito era un grande. Non mi è piaciuta l’evoluzione della sua estetica, del dover parlare ad una generazione in quel modo. Però con il primo disco si è mosso veramente bene, sia a livello di comunicazione che musicale. Io e Dario l’avevamo scoperto con i primi freestyle su YouTube ed eravamo gasati. Poi come tutto dopo un po’ cade il giochino e ha perso le sue caratteristiche nelle produzioni. Oppure anche il primo disco di Joan Thiele era una figata, libero, spontaneo, fuori da dinamiche. L’ultimo è bello, ma è semplicemente impacchettato per essere venduto.

Tornando al tape, la mia percezione è che dalla seconda metà le atmosfere si facessero sempre più claustrofobiche, cupe, quasi ad evocare delle sensazioni ad alta tensione. C’è stata una scelta precisa dietro alla tracklist o è un tunnel in cui mi sono infilato io?

9DEN: Non c’è una vera scelta effettiva, abbiamo semplicemente provato a dare un ordine alle tracce che avevamo, non essendo un album vero e proprio.

Deriansky: Noi avevamo in mente i momenti del disco. Volevamo creare dei contrasti ma non necessariamente seguendo l’ordine dei pezzi. Ad esempio sapevamo di volere due skit, uno verso l’inizio e uno verso la fine. Un’outro particolare e un intro a bomba, un pezzo rilassante verso la terza-quarta e abbiamo unito tutto.

Il lato visivo è fondamentale per il vostro progetto. Come ci lavorate?

Deepho: Come sempre c’è stata una grande condivisione. I ragazzi curano gli aspetti visivi del teamcro anche per dare libero sfogo ai lavori su commissione che gli vengono bocciate perché troppo estremi. Quindi il nostro rapporto sta anche nel concedergli questa libertà creativa. Nic Paranoia ci manda le sue robe e poi noi esprimiamo le nostre preferenze.

Personalmente tendo a stare abbastanza dietro a tutto ciò che riguarda il lato grafico, perché credo che la musica comunichi tanto con le immagini. Nei film ad esempio accade questo: a volte una scena presa senza musica non ha nessun senso rispetto a quando le vedi con il suono che accompagna.

In generale nel tape c’è stata una grande fiducia reciproca. Ad esempio, se fosse stato il disco di Mike (Micheal Mills, ndr), lui Nic in para non l’avrebbe messa. Siamo stati noi a rompergli tanto i coglioni, e alla fine nell’economia del progetto risulta riuscita. Quando si fanno dei progetti così, di gruppo, è importante anche saper mollare le proprie convinzioni a beneficio di tutto.

Un altro aspetto altrettanto importante credo sia la dimensione live. Cosa significa per voi performare davanti alla gente? E quali sono state le date ad ora più significative per il vostro percorso?

Deriansky: Stiamo preparando gli show nuovi e ci piace molto pensarli, farli, migliorarli sempre di più. Penso di parlare a nome di tutti quando dico che il live è la parte più bella del progetto, perché ti puoi sbizzarrire, mischiare anche delle idee che arrivano da più teste. E poi questo tape renderà molto dal vivo. 

Deepho: Assolutamente. Il live è il momento dove finalmente godi veramente. E aggiungo che per me è il motivo per il quale faccio questa roba. La cosa più gratificante è proprio quando ti sfoghi davanti alle persone A livello di momenti epici invece probabilmente ognuno ha il suo. Di gruppo invece mi vien da dire l’anno in cui Dario ha fatto uscire qonati, una delle prime date è stata al Mi Ami nel 2022. Quello è sicuramente stato un evento glorioso, perché comunque c’erano 500 persone sotto che pogavano, quindi è un momento che rimarrà nei nostri cuori. Ai tempi non avevamo neanche una pagina Instagram.

Vi va di chiudere segnalando qualche ascolto recente?

Deepho: Allora, considera che il nostro tape è molto elettronico però poi alla fine tra di noi ascoltiamo della roba diversa. Ad esempio io e Dario non ascoltiamo la stessa musica, anche se sui nostri progetti ci troviamo in linea su diverse scelte artistiche. Micheal è quello più indirizzato verso la musica black. La trap piace a tutti noi ma quello che la sa fare meglio è lui.

Se dovessi fare dei nomi per consigli personalmente ti direi che mi sto sparando un botto Mk.gee – vedi, non c’entra un cazzo col tape. Poi c’è una nuova tipa che piace a tutti, che è Saya Gray, molto interessante anche lei. Inoltre ti cito The Head Hurts but the Heart Knows the Truth di Headache, che è il progetto del produttore Vegyn. Ascoltatelo questo che vi potrebbe piacere, Nic In Para prende molto da quella roba. Altri artisti degni di nota sono Astrid Sonne, Valentina Magaletti e JPEGMAFIA. Chiudo con lo Zecchino d’Oro. Un rospo nel bosco e La bugia, quest’ultima scritta dai nostri amici Rainer e Sano dei Thru Collected.

9DEN: Queste due canzoni sono veramente dei capolavori.

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