Indicazioni nazionali 2025: una scuola vecchissima che non rimpiango
Riflessioni (inutili) sulla bozza delle Indicazioni nazionali 2025: il pensiero scientifico è glorificato con parole che testimoniano ignoranza e disinteresse, e appare come un miscuglio di micro-informazioni stereotipate, irriverenti verso la profondità e la specificità dei saperi che quotidianamente cambiano la nostra vita, interferiscono con la nostra salute, ci proiettano verso un futuro L'articolo Indicazioni nazionali 2025: una scuola vecchissima che non rimpiango sembra essere il primo su Galileo.

Ai miei tempi, un’ottantina di anni fa, si andava alla scuola elementare con grembiulino nero (blu per i maschi), colletto bianco, fiocco al collo, scarpe un po’ scalcagnate; si facevano conti per sapere quanta rete doveva comprare il contadino per recintare il suo campo, i triangoli stavano sempre ben dritti sulla loro base, sapevamo che in Puglia si coltivavano ulivi e fichi, non capivamo bene le ragioni per cui Caino avesse ammazzato Abele e altrettanto avesse fatto Romolo col fratello Remo, né di cosa un tale Muzio si dovesse punire bruciandosi – inutilmente – una mano. Ogni anno veniva Fatina Primavera con pieno il grembiale di fiorellini vari, e torcendoci le mani sapevamo recitare la storia della pioggerellina di marzo e la filastrocca dei mesi. Talvolta venivano dei dubbi: dove stava Cartagine prima che i Romani la attaccassero in Africa? E la maestra, infilando una matita nell’acqua, si aspettava davvero che si rompesse?
La scuola dei Balilla
In questa paccottiglia di informazioni, più o meno slegate, gli aneddoti avevano un ruolo importante: sapevamo del giovane Balilla che tirando un sasso gridava “Che l’inse?”, frase dal significato piuttosto oscuro; che era vile – ma forse anche inutile – uccidere uomini già morti, e facevamo confusione tra frasi celebri e proverbi: chi la fa l’aspetti era una frase famosa o no? A conti fatti non eravamo molto interessati a tutta questa roba, e le maestre che ci interrogavano alla lavagna non si preoccupavano molto di sapere cosa avevamo capito o cosa pensassimo noi su quello che recitavamo con più o meno disagio. Certo era una vita tranquilla, senza aspettative: i bravi a scuola erano bravi e gli altri erano più o meno naturalmente emarginati. Solo raramente, se oltre a non essere bravi erano anche cattivi, alcuni tiravano il grembiule alle compagne o si prendevano a pugni tra loro.
Nozionismo buonista
Ecco, leggendo le nuove indicazioni nazionali, ritrovo una analoga paccottiglia di nozionismo buonista, parecchio antiquata. Le solite frasi fatte, i soliti esercizi un po’ stupidi, i soliti esperimenti scientifici assolutamente decontestualizzati e per questo privi di senso, un po’ di storielle edificanti e le poesiole quasi stagionali. Mancano forse le storie (per altro indimenticabili e dense di orgoglio Romano) del piccolo Figlio della Lupa che, nel mio sussidiario, descriveva con entusiasmo le costruzioni del Foro italico e del vicino Quartiere Corridoni.
Manca un filo conduttore
Di nozionismo scorrelato siamo cresciuti e vissuti, del resto anche i sussidiari di oggi (non oso pensare a quelli del 2026) ne sono pieni. Storielle moraliste che dovrebbero riempirci di amor patrio ne abbiamo sentite da sempre, i sacrifici eroici fanno parte di una aneddotica ben nota. Le tabelline, più o meno, si imparano. Ma non è per questo che ha senso criticare le nuove indicazioni. Mi sembra invece grave che la frammentazione dettagliata degli argomenti, correlata da esempi didattici piuttosto obsoleti, nasconda la mancanza di un filo conduttore, cancelli il senso profondo della cultura che si vuole condividere con i ragazzi. Non c’è traccia di una qualsiasi “struttura che connette” che permetta di vedere le informazioni come elementi di quel tessuto organico che consente di interpretare, nelle sue sfaccettature, la variegata realtà di oggi. Non c’è traccia di quella coerenza interna che dovrebbe distinguere e caratterizzare i diversi modi disciplinari di guardare la realtà (l’italiano diverso dalla storia… a parte le storielle); né si trovano analogie strutturali nella impostazione delle diverse discipline, intese come modi umani di pensare e interpretare, con gli stessi strumenti cognitivi, aspetti diversi di una stessa realtà. Questo vuol significare che non c’è neppure un accenno a quelle strategie cognitive potenti (ed umane) che permettono di riconoscere relazioni dello stesso tipo (causa-effetto, continuo-discreto, prima-dopo) in problematiche disciplinari apparentemente ben lontane tra loro.
Come pensare la scienza a scuola
In medicina i pazienti lamentano che ogni specialista guardi soltanto il centimetro cubo di corpo di cui è esperto; qui i centimetri cubi di nozionismo non permettono nemmeno di essere esperti in qualcosa. Così il pensiero scientifico, glorificato con parole che a mala pena nascondono profondissima ignoranza e disinteresse, appare nelle nuove indicazioni come un miscuglio di micro-informazioni stereotipate, irriverenti verso la profondità e la specificità dei saperi che quotidianamente cambiano la nostra vita, interferiscono con la nostra salute, ci proiettano verso un futuro. Abituare i ragazzi a “pensare scienza” è assai più importante di una striminzita classificazione di animali e piante, tinteggiata da un po’ di fisica e un po’ di chimica. Per esempio, il sapere biologico vorrebbe insegnare ai ragazzi come integrarsi nello scorrere della vita, per conoscerne la fragilità e la complessità, la forza e la delicatezza, la storia lunghissima che ne ha costruito la diversità, quella assai più breve in cui la stiamo distruggendo.
Manca la voglia di futuro
Ancora, nelle nuove Indicazioni mi offende la profonda umiliazione degli insegnanti a tutti i livelli, da quello dei docenti universitari considerati incapaci di formare una classe di laureati in grado di insegnare, a quello degli insegnanti di scuola selezionati, sia pur malamente, sulla base delle loro competenze. A questi non è possibile togliere con consiglietti e raccomandazioni paterne la voglia di imparare il mestiere a scuola, sul campo, di sperimentare i modi per affacciarsi insieme ai ragazzi sull’immenso e variegato panorama del sapere di oggi, in tutti i campi, nelle sue trasformazioni, dal passato e presente. Leggendo le nuove Indicazioni non viene certamente “voglia di futuro”, non si desidera mettersi alla prova per capire di più, né ragionare, con tutta la propria sensibilità, su quello che sta accadendo oggi, qui ed ora, nel nostro mondo e sotto i nostri occhi, per sostenerlo o cambiarlo secondo una etica che a scuola si può imparare a condividere.
Imparare a guardare lontano
Anche i ragazzi hanno un loro orgoglio, non sempre evidente, ma che comunque si sviluppa nella sfida del capire, per crescere e conquistare la propria personalità. La loro voglia di futuro deve essere sostenuta dalla capacità di guardare lontano, dalla cultura costruita nel nostro passato ma lasciata aperta alle prospettive e alle trasformazioni di cui loro saranno responsabili. Sembra invece che le nuove Indicazioni abbiano disorganizzato e frammentato le reti che tenevano insieme con significato i vari aspetti della nostra cultura. E se il tutto – come si dice – è più dell’insieme delle parti, le Parti separate e scomposte non riescono proprio ad assumere il ruolo e il valore di un tutto.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
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