Ilva: trattative ancora in alto mare e intanto 4mila lavoratori in cassa integrazione
L’ex Ilva di Taranto ha attraversato una serie di crisi industriali, politiche e ambientali che hanno segnato profondamente la sua storia, ma anche quella della città. Il complesso siderurgico, uno dei più grandi in Europa, è stato al centro di numerose discussioni, non solo per le difficoltà economiche e produttive, ma anche per le problematiche […] L'articolo Ilva: trattative ancora in alto mare e intanto 4mila lavoratori in cassa integrazione proviene da Economy Magazine.

L’ex Ilva di Taranto ha attraversato una serie di crisi industriali, politiche e ambientali che hanno segnato profondamente la sua storia, ma anche quella della città. Il complesso siderurgico, uno dei più grandi in Europa, è stato al centro di numerose discussioni, non solo per le difficoltà economiche e produttive, ma anche per le problematiche legate alla salute dei lavoratori e degli abitanti di Taranto, a causa dell’inquinamento causato dalle attività produttive.
Nel 2012, la situazione dell’Ilva era già critica. Un’inchiesta della magistratura aveva messo in luce la gravità dei danni ambientali provocati dallo stabilimento, con l’inquinamento che aveva avuto impatti devastanti sulla salute della popolazione e sull’ecosistema circostante. Nel 2013, l’azienda fu sottoposta a sequestro preventivo e il commissariamento venne avviato per cercare di risolvere la crisi. Nel frattempo, però, lo stabilimento continuò a produrre sotto il controllo di una gestione commissariale, anche se con una continua incertezza sul futuro.
Nel 2017, ArcelorMittal, colosso siderurgico mondiale, si fece avanti con una proposta di acquisizione del gruppo Ilva. Inizialmente, sembrava che l’operazione potesse portare un rilancio, ma le difficoltà di adattare l’impianto agli standard ambientali richiesti dalla legge italiana e le incertezze sul piano industriale crearono conflitti tra l’azienda, i sindacati e il governo. Il piano di decarbonizzazione, volto a rendere l’impianto più ecocompatibile, diventava sempre più urgente, ma anche più complesso da realizzare.
Nel 2020, la situazione si complicò ulteriormente: il gruppo ArcelorMittal decise di ritirarsi, citando l’impossibilità di continuare a produrre in un contesto così difficile, dato l’alto costo delle bonifiche e le difficoltà economiche. Il governo italiano intervenne per salvare la situazione e continuò a cercare soluzioni, mentre l’occupazione e la sicurezza occupazionale dei circa 14.000 lavoratori rimanevano un tema centrale.
Il caso Ilva, quindi, si è trasformato in un simbolo di come la gestione industriale, le politiche ambientali e le esigenze occupazionali possano entrare in collisione. Nel tentativo di garantire la sostenibilità della produzione siderurgica, ci si è spesso scontrati con le necessità di migliorare le condizioni ambientali, salute pubblica e welfare dei lavoratori.
Nel 2025, l’ex Ilva sembra trovarsi nuovamente in una fase di stallo. Con l’altoforno 1 fermo a causa di gravi danni, i livelli di produzione sono ridotti e la cassa integrazione per quasi 4.000 lavoratori è diventata una realtà. In questo contesto, si susseguono difficoltà nell’ottenere l’autorizzazione ambientale e la gestione delle risorse per garantire la continuità produttiva. La transizione verso un impianto a basso impatto ambientale, con la decarbonizzazione come obiettivo principale, è ancora in corso, ma con non poche sfide.
Il governo italiano sta cercando di trovare un equilibrio tra le necessità industriali e quelle ambientali. La possibile acquisizione da parte di Baku Steel, un consorzio azero, sembra offrire una nuova speranza, ma la riuscita di questo piano dipenderà dalle scelte politiche, dalle risorse economiche e dalla capacità di affrontare le problematiche ambientali in modo efficace.
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