La leggenda del vampiro fluviale nei Balcani Nel cuore dei
Balcani, dove il paesaggio è un intreccio di
fiumi impetuosi,
foreste fitte e
villaggi sospesi nel tempo, si tramanda da secoli una leggenda oscura e inquietante. Una creatura nota come il
vampiro delle acque dolci infesta le sponde dei corsi d’acqua, colpendo soprattutto durante la
notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 Giugno, quando secondo le credenze popolari il confine tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti si assottiglia. La sua vittima preferita?
Gli incauti bagnanti che sfidano la tradizione e si immergono nelle acque fluviali dopo il tramonto. Secondo le testimonianze raccolte nei villaggi della
Bosnia-Erzegovina, del
Montenegro e della
Serbia meridionale, chi viene sfiorato da questo essere cade in uno stato di torpore profondo, come se qualcosa gli avesse
succhiato l’anima.
Tra mito e realtà: chi è davvero il vampiro dei fiumi? Nel folklore balcanico, il termine
“vampiro” ha radici ben più antiche e variegate di quanto suggeriscano i racconti gotici occidentali. Prima ancora della pubblicazione di
Dracula di Bram Stoker nel 1897, l’Europa dell’Est custodiva una ricca tradizione orale su
entità notturne e
creature redivive, spesso associate non al sangue, ma all’
energia vitale. Il vampiro fluviale, noto in alcune aree come
“Vodenjak” o
“Vodnik”, è descritto come un essere pallido, dagli occhi vitrei e mani palmate. Si cela sotto la superficie dei fiumi, in particolare nei tratti più lenti e torbidi, vicino a mulini abbandonati o radure sommerse, e
attacca durante le ore notturne, tra le ombre della mezzanotte e l’alba.
L’origine etnobotanica e il ruolo delle erbe di San Giovanni Il legame tra il vampiro fluviale e la
notte di San Giovanni non è casuale. Secondo la tradizione, in quella notte la natura sprigiona la sua massima potenza magica, ma è anche il momento in cui
gli spiriti maligni sono più forti. Non a caso, proprio in questo periodo dell’anno si raccoglievano le cosiddette
“erbe di San Giovanni”, tra cui l’
iperico (Hypericum perforatum), noto anche come “scacciadiavoli”. La pratica di
bagnarsi nei fiumi durante la notte di San Giovanni, in origine, era un
rito purificatorio volto a propiziare fertilità e salute. Ma chi lo faceva
senza le dovute protezioni, rischiava di essere preda del vampiro acquatico. Le donne più anziane dei villaggi consigliavano infatti di
indossare corone di erbe e
non avvicinarsi mai da soli all’acqua dopo il tramonto.
Un’interpretazione scientifica: parassiti e fenomeni naturali Dietro la leggenda, alcuni studiosi hanno ipotizzato
cause biologiche o ambientali che potrebbero aver ispirato il mito. In particolare, si è parlato della possibile esistenza di
microrganismi patogeni,
parassiti acquatici o
gas narcotici rilasciati in particolari condizioni ambientali. Il biologo sloveno
Andrej Vrezec, nel suo studio sui corsi d’acqua dei
Monti Dinarici, ha evidenziato come alcune zone fluviali presentino
presenza massiva di leech-like species, simili a sanguisughe, che potrebbero attaccare i bagnanti, provocando
svenimenti o
reazioni allergiche. Inoltre, è stato osservato che alcune
alghe tossiche, in particolari condizioni di stagnazione e calore, possano emettere
sostanze neuroattive in grado di provocare stati di semi-incoscienza.
Le testimonianze orali e il potere della paura In numerosi villaggi, da
Višegrad a
Pljevlja, si tramandano racconti simili: giovani scomparsi nelle acque senza lasciare traccia, pescatori ritrovati esanimi all’alba, donne che giurano di aver sentito
una mano fredda afferrar loro la caviglia. La ricorrenza di questi racconti ha consolidato l’immaginario collettivo, trasformando il vampiro dei fiumi in una presenza reale e temuta. Secondo l’antropologo britannico
Timothy J. Tangherlini, docente all’Università della California,
le leggende di vampiri acquatici rappresentano forme di controllo sociale, in particolare rivolte ai giovani. “È un modo – sostiene – per dissuadere i ragazzi dal compiere gesti avventati, come tuffarsi nei fiumi in piena notte, evitando così rischi reali di annegamento”.
Un culto sommerso tra rituali e superstizione In alcune aree della
Macedonia del Nord e della
Kosovo rurale, esistono ancora
riti propiziatori per placare il vampiro fluviale. Alcune famiglie gettano nel fiume
ciocche di capelli,
semi di papavero o
piccoli oggetti d’oro, ritenuti doni per tenere lontana la creatura. I più superstiziosi evitano persino di pronunciare il nome del fiume durante la notte di San Giovanni, credendo che
chiamarlo ad alta voce possa risvegliarlo. Nel villaggio di
Rugova, in Kosovo, la tradizione impone di legare una
campanella d’argento alla caviglia prima di avvicinarsi all’acqua, come deterrente acustico per la creatura. E ancora oggi, nelle scuole, si tramanda la storia del
ragazzo annegato nella Drina, “rapito dal vampiro perché aveva osato sfidarlo”.
Vampiro o eco-fantasma? La leggenda resiste Anche se oggi la scienza tende a razionalizzare questi racconti, le comunità locali mantengono
viva la leggenda, come parte integrante della loro identità culturale. Il vampiro fluviale è diventato quasi una figura di
resistenza arcaica, un simbolo del legame profondo tra
uomo e natura, tra
paura e rispetto del mistero. E mentre i
turisti più audaci visitano le sponde dei fiumi balcanici alla ricerca di un brivido esotico, gli anziani del luogo continuano a mettere in guardia:
non importa quanto sembri calma l’acqua di notte… il vampiro potrebbe essere ancora lì, in agguato sotto la superficie.
Il vampiro delle acque dolci nei fiumi dei Balcani