Il Met Gala più politico di sempre: una celebrazione dei dandy neri nell’America di Donald Trump

Noto in tutto il mondo come evento mondano per eccellenza, serata di frivolezze e stravaganze, il Met Gala quest’anno ha mostrato al mondo la connessione tra moda e politica. Tanto stretta quanto sottovalutata. La famosa cena di gala tra star, con il suo scenografico red carpet, quest’anno ruotava intorno alla figura del dandy nero e, […] L'articolo Il Met Gala più politico di sempre: una celebrazione dei dandy neri nell’America di Donald Trump proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 6, 2025 - 12:25
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Il Met Gala più politico di sempre: una celebrazione dei dandy neri nell’America di Donald Trump

Noto in tutto il mondo come evento mondano per eccellenza, serata di frivolezze e stravaganze, il Met Gala quest’anno ha mostrato al mondo la connessione tra moda e politica. Tanto stretta quanto sottovalutata. La famosa cena di gala tra star, con il suo scenografico red carpet, quest’anno ruotava intorno alla figura del dandy nero e, per estensione, alla moda afroamericana negli Stati Uniti del presidente Trump.

Il riconoscimento alle radici black della moda – Ma andiamo con ordine. Il Met Gala altro non è che la festa di inaugurazione della mostra del Costume Institute di New York, un evento di beneficenza che serve a raccogliere fondi per il museo attraverso una cena di gala. Tra l’altro: quest’anno è stata raggiunta la cifra record di 31 milioni di dollari.

Se la cena si svolge a porte chiuse, il red carpet invece è costantemente sotto i riflettori anche per via delle scelte pittoresche delle star che vi partecipano. Ogni Met Gala ha un dress code, che è sempre collegato al tema della mostra. Ed è questo che rende l’edizione 2025 così interessante: “Superfine: Tailoring Black Style” è la prima mostra del Met in 20 anni incentrata sull’abbigliamento maschile della comunità afrodiscendente. Al centro c’è la figura del dandy nero, inteso non solo come fenomeno estetico, ma culturale e politico. La moda come strumento di resistenza e identità per la comunità nera durante la diaspora.

Cosa prevedeva il dress code dell’evento – Il dress code dell’evento era racchiuso dalla formula “Tailored for you”, cioè fatto su misura per te: la maggior parte degli ospiti l’ha interpretato affidandosi ai codici della sartoria maschile, in un tripudio di giacche, gilet, completi, smoking e fantasie gessate in tutte le salse. Un tema abbastanza flessibile per essere interpretato da tutti gli ospiti – indipendentemente dal genere e dall’etnia – senza il rischio della caricatura o, peggio, dell’appropriazione culturale. L’abito maschile ha affascinato la maggior parte delle star, da Imaan Hammam (in Magda Butrym) a Hunter Schafer (in Prada); da Madonna (in Tom Ford) a Hailey Bieber (in Saint Laurent) fino a Sabrina Carpenter (in Louis Vuitton). Tuxedo bianco anche per Zendaya, che dopo i look teatrali dello scorso Met Gala ha scelto la via del minimalismo chic.

Il cuore dell’evento organizzato da Anna Wintour, la leggendaria direttrice di Vogue, resta però la celebrazione dello stile e della comunità afrodiscendente. Un tema che rischiava di essere scivoloso, soprattutto in un settore – quello della moda – storicamente bianco, esclusivo, elitario. Dove la diversità è arrivata a fatica, e solo di recente. La serata si è aperta con un coro gospel, per non lasciare alcun dubbio agli ospiti e alla stampa sulla direzione che avrebbe preso il red carpet.

Per realizzare la sua visione, la signora Wintour si è affidata a co-chairman d’eccezione: A$AP Rocky, Pharrell Williams, Colman Domingo e Lewis Hamilton, elegantissimo in un abito disegnato da Wales Bonner. Tutti uomini di successo nei rispettivi campi, tutti neri. Menzione d’onore per il rapper A$AP Rocky, che ha festeggiato al Met Gala l’arrivo del terzo bebé. La compagna Rihanna è arrivata praticamente per ultima, ma con una sorpresa: il look gessato di Marc Jacobs mostrava chiaramente il pancione. Altro che post su Instagram: loro sì che sanno come annunciare una gravidanza.

Il co-presidente dell’evento Pharrell Williams, cantante e ora direttore creativo di Louis Vuitton, ha curato i look di molti ospiti: la già citata stellina del pop Sabrina Carpenter, la rapper Doechii (con sigaro, calzettoni e un’orgogliosa chioma afro) la star del K-Pop Lisa, Malcolm Washington e l’attore Jeremy Allen White.

Il ritorno di Kamala Harris – Quando è stato annunciato il tema dell’evento, lo scorso ottobre, gli Stati Uniti avrebbero potuto scegliere un presidente nero, Kamala Harris. La storia è andata diversamente, e Kamala Harris è tornata al Met Gala in una delle prime pubbliche apparizioni di rilievo dopo la sconfitta indossando, significativamente, un abito bicolor disegnato da Ib Kamara di Off-White, marchio di streetwear di lusso fondato dal defunto (e compianto) Virgil Abloh. Entrambi, va da sé, sono stilisti neri.

Tra l’altro: tradendo la sua proverbiale riservatezza, Anna Wintour ha esplicitamente detto che non avrebbe mai più invitato Donald Trump al Met Gala. Era il 2017, ma la promessa è stata mantenuta. “Viviamo in un momento interessante della nostra storia politica – ha detto la direttrice durante la serata, citata da Business of Fashion – Qualsiasi cosa possiamo fare al museo per sostenere la comunità nera è della massima importanza”. La lista degli ospiti rispecchiava questo intento celebrativo: dalla campionessa olimpica Simone Biles a Lizzo, da Alicia Keys all’attrice Cynthia Erivo, da Serena e Venus Williams fino a Diana Ross. La diva della disco music è tornata sugli scalini del Met a 81 anni – dopo venti di assenza – vestita di paillettes argento e piume bianche. Il suo look, uno dei più spettacolari della serata, è stato disegnato dallo stilista nigeriano Ugo Mozie.

Riflettori accesi sui designer neri – In linea con lo spirito della serata, moltissime star hanno voluto dare visibilità a stilisti di colore. Teyana Taylor si è affidata dalla costumista Oscar Ruth Carter – prima donna di colore a vincere due Oscar – per creare lo scenografico look borgogna con mantello, guanti e piume. Jaden Smith e Omar Sy sono alcuni dei molti nomi vestiti da Ozwald Boateng, stilista inglese noto per le ispirazioni africane nella sua moda. La superstar Chappell Roan spiccava per il tailleur rosa fucsia disegnato per lei da Paul Tazewell, primo costumista afroamericano a vincere un Oscar (nel 2025, per Wicked). In questo senso, il Met Gala è una preziosa occasione per mettere in luce i brand e i designer che tradizionalmente sono stati snobbati dall’industria: la moda come strumento di ribellione e rivendicazione identitaria, oggi come allora. I veri protagonisti del Met Gala sono gli abiti, e le storie che raccontano. L’abito, confine tra noi e mondo, è molto più che estetica: può diventare una dichiarazione e una presa di posizione.

Gli omaggi nascosti nei look del Met Gala – Uno dei giochi più popolari, guardando il red carpet del Met Gala, è capire chi ha rispettato il dress code e chi no. Ma anche look apparentemente scollegati dal tema nascondono storie di resistenza e omaggi alla storia degli afroamericani. Prendiamo Gigi Hadid, una folgorante apparizione dorata in un mare di abiti bianchi e neri. La top model è stata una delle poche a rifiutare l’abbinamento giacca&pantaloni, optando invece per un lungo abito dorato con le spalline sottili creato da Miu Miu. L’intento era quello di celebrare la designer Zelda Wynn Valdes, prima businesswoman di colore ad aprire una boutique a Broadway nel 1948. Il vestito era una copia quasi millimetrica di un modello indossato da Josephine Baker, una delle icone più citate e omaggiate della serata.

Artista pioniera e parte attiva della Resistenza, Josephine Baker ha ispirato l’acconciatura di Megan Thee Stallion, i tirabaci sulla fronte di Dua Lipa e molte altre. Altro omaggio sentito e, onestamente dovuto: il saluto a André Leon Talley, leggendario editor di moda che ha aperto la strada a molti giornalisti afroamericani dopo di lui. Colman Domingo, co-presidente dell’evento – ha onorato il suo eclettico senso dello stile con una cappa blu zaffiro firmata Valentino. Meno chiara è l’ispirazione dietro ai look di molte altre star, Kardashian comprese, che riescono nell’impresa di non farsi notare. Per dovere di cronaca: Kylie Jenner indossava un’elaborata creazione su misura di Ferragamo, Kim Kardashian un ensemble nero effetto coccodrillo di Chrome Hearts e Kendall Jenner un tailleur con lo strascico di Torishéju, marchio fondato da una stilista inglese di origini nigeriane.

Anderson ha interpretato la “sartorialità” a modo suo, con un abito armatura scintillante di Tory Burch. Si salva in corner Anne Hathaway: il suo look Carolina Herrera pare sia un omaggio alle camicie button down di André Leon Talley. Miranda Priestley – la sua direttrice nel fittizio mondo del Diavolo Veste Prada, stavolta non può giudicarla. Anna Wintour sì, però. Infine: qualcuno aveva avvisato Shakira del dress code? L’abito rosa con lo strascico è un’idea del designer nepalese Prabal Gurung o sua?

C’è poi la questione controversa degli hot pants di Lisa delle Blackpink: c’era veramente il volto di …Rosa Parks sopra? La star del K-Pop, vestita da Louis Vuitton, ha indossato una giacca in pizzo con collant logati. Ma ad attirare l’attenzione sono stati i pantaloncini con una stampa di volti sovrapposti: sui social tutti fanno a gara a individuare sagome note, e c’è chi giura che in bella vista ci sia proprio il volto dell’icona per i diritti civili. La Maison non ha dato nessuna conferma, e a noi resta la domanda: dove si traccia il confine tra rivendicazione e marketing, tra performance e attivismo?

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