Il Caso Belle Steiner, l’intrigante film di Benoit Jacquot tratto da un romanzo di Simenon. Con Guillaume Canet mostro di glaciale bravura – L’estratto video
L'opera è tratta un insinuante romanzo “americano” di George Simenon (edito in Italia da Adelphi come La morte di Belle). Nel cast anche Charlotte Gainsbourg L'articolo Il Caso Belle Steiner, l’intrigante film di Benoit Jacquot tratto da un romanzo di Simenon. Con Guillaume Canet mostro di glaciale bravura – L’estratto video proviene da Il Fatto Quotidiano.

“Il team realizzativo del film condanna ogni forma di molestie e aggressione, affermando la propria solidarietà alle vittime e alla possibilità che parlino di qualcosa che hanno taciuto per molto tempo”. Se finito l’intrigante Il caso Belle Steiner, proprio tra l’ultimo fotogramma del girato e il primo dei titoli di coda, appare un disclaimer del genere è come legargli alla caviglia una pietra e farlo finire giù in fondo al mare dell’oblio. Girato tra il 2022 e il 2023, mai uscito in Francia, Il Caso Belle Steiner, l’ultimo film del 78enne Benoit Jacquot, vede il suo battesimo mondiale di sala curiosamente in Italia. Le cronache francesi parlano di almeno quattro accuse di violenza e molestie contro Jacquot da parte di quattro importanti attrici francesi (Judith Godreche, Julia Roy, Vahina Giocante, Isild Le Besco) accadute più di vent’anni fa (due all’epoca dei presunti fatti erano minorenni) e venute a galla nel gennaio 2024. Insomma, Il caso Belle Steiner è una sorta di film invisibile e maledetto, nonché di una conturbante e ipnotica bellezza.
Anche perché Jacquot lo ha tratto da un insinuante romanzo “americano” di George Simenon (edito in Italia da Adelphi come La morte di Belle) dove si segue la silente e solida difesa dell’insegnante Pierre (Guillaume Canet), sorta di quarantacinquenne qualunque di una qualunque città di provincia francese, dal sospetto di aver ucciso una giovanissima e attraente ragazza ospitata in casa sua e di sua moglie Clea (Charlotte Gainsbourg).
Pierre, tutto abbarbicato in un sottoscala/studio buio a fumare cigarilli, a cercare di far tornare un’equazione chilometrica scritta su una lavagna, a sbirciare voyeuristicamente la vicina nuda dalla finestra di fronte, è l’unico in casa quando Belle, figlia di una loro amica, rientra a casa a notte. Pochi i dettagli esplicativi forniti da Jacquot, se non quelli che ci mostrano Pierre andare a dormire e risvegliarsi la mattina a fatica grazie alla perseverante sveglia della moglie. L’uomo va ad insegnare a scuola (il liceo George Simenon!) poi di ritorno a casa trova Clea in lacrime e la polizia scientifica a girovagare tra le stanze: Belle è stata strangolata e il suo corpo nudo giace sul pavimento della sua camera. Il primo ed unico sospettato diventa quindi Pierre. Verrà sottoposto a pesanti interrogatori, ostracizzato da colleghi e studenti, diverrà bersaglio dei media invadenti, di mute telefonate e di scritti anonime sui muri.
Jacquot deforma e declina il racconto di Simenon da psicologico hitchcockiano in sociologico chabroliano, conferendo al protagonista apatico e dimesso una dose massiccia di apparente ambiguità. Tante insistite semisoggettive di Pierre in automobile edificano dubbi morali e traiettorie narrative impossibili. Non manifestando emozioni, e non essendoci prove effettive, Pierre viene torchiato ma è davanti al giudice istruttore che si impone nel suo impenetrabile atteggiamento di vittima, uscendo pulito dall’indagine. E se Simenon si concentrava su ossessioni sessuali personali sopite e disordinate, Jacquot allarga lo spettro sul giudizio dell’altro, su come di riflesso arrivi lo stigma e lo sguardo del prossimo sul protagonista.
Impressionante rimane la classica compattezza formale da raffinato cinema medio da produzione francese dove il realismo si macchia con le pieghe sinistre e sdrucite del noir. Tutto in Il caso Belle Steiner è credibile: dalle accuse degli investigatori alla difesa del protagonista, dai luoghi comuni su moleste e facile sessualità fino alle delicate dinamiche del desiderio tra uomo e donna. E il finale rimane sostanzialmente interpretabile. Come è interpretabile tutto ciò che non si può provare oltre la soggettività di chi nella finzione ricorda un dettaglio invece di un altro, e di chi nella volontarietà di mettere in scena una storia esibisce un dettaglio invece di un altro. Canet, come al solito, è un mostro di trattenuta glaciale bravura. Dal 13 marzo al cinema.
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