Ghiacciai, le straordinarie immagini di Sebastião Salgado in mostra a Trento e Rovereto
Apre domani la mostra del fotografo brasiliano capace più di ogni altro di emozionare anche quando presenta situazioni difficili. Come, appunto, lo stato dei ghiacciai in tutto il mondo L'articolo Ghiacciai, le straordinarie immagini di Sebastião Salgado in mostra a Trento e Rovereto proviene da Montagna.TV.

Nell’anno internazionale per la conservazione dei ghiacciai il Trentino ospita l’ultimo progetto di Sebastião Salgado: Ghiacciai. Attraverso una serie di fotografie esclusive di grande e grandissimo formato Salgado rivela l’impressionante bellezza delle masse glaciali. Dalla Penisola Antartica al Canada, dalla Patagonia all’Himalaya, dalla Georgia del Sud alla Russia, le immagini ritraggono, in un contrastato bianco e nero, i luoghi remoti in cui la sopravvivenza dei ghiacciai è messa a dura prova dal cambiamento climatico. Ancora una volta una documentazione visiva di grande impatto che invita a riflettere sull’importanza di questi luoghi da preservare.
Nata da un’idea del Trento Film Festival, la mostra curata da Lélia Wanick Salgado e prodotta in collaborazione con Contrasto e Studio Salgado, aprirà al pubblico domani 12 aprile in due sedi distinte. A Rovereto al Mart – Museo di arte moderna e contemporanea fino al 21 settembre e al Muse – Museo delle Scienze di Trento, fino all’11 gennaio 2026.
La mostra si compone di due sezioni complementari ideate per le due tipologie museali, uno per l’arte e l’altro per la scienza, che sviluppano il tema dei Ghiacciai. Al Mart di Rovereto verranno esposte oltre 50 fotografie in grande e grandissimo formato di ghiacciai di tutto il mondo, mentre al MUSE un’installazione negli spazi del “Grande Vuoto” ideato da Renzo Piano con immagini riprese tutte in Canada, nel Parco Kluane Park.
Il Trento Film Festival ha inoltre scelto come immagine di copertina della sua 73° edizione una fotografia di Salgado tratta dal progetto Ghiacciai.
Chi è Sebastião Salgado
Salgado nasce in Brasile nel 1944 ed ha una formazione universitaria da economista e statista. Agli inizi degli anni ’70 durante alcuni viaggi per conto dell’Organizzazione Mondiale del Caffè inizia a conoscere l’Africa. Intuisce che per poter trovare soluzioni ai problemi del Terzo mondo, bisogna prima di tutto farli conoscere. Così nel 1973 lascia il suo lavoro per intraprendere un viaggio lungo tre anni nel continente africano con cui inizia la sua nuova professione, o per meglio dire la sua missione: quella di fotografo. Salgado lavora a grandi progetti che mirano a documentare le condizioni umane in situazioni complesse. È chiaro fin dai suoi primi lavori che Sebastião sia un fotoreporter molto dotato. Ma è con la pubblicazione de “La mano dell’uomo”, in cui racconta il rapporto dell’uomo con il lavoro documentato in ogni angolo del mondo, che il suo talento e linguaggio unico sono rivelati al mondo.
Insieme alla moglie Lélia Deluiz Wanick è stato anche autore di un grande progetto di riforestazione che in 20 anni, a partire dal 1998, ha ripristinato la vegetazione su un’area di 600 ettari nel suo Brasile.
È indubbiamente uno dei più influenti ed ammirati fotografi degli ultimi 50 anni.
Il desiderio di conoscere, la necessità di raccontare
Pensando alla produzione di Salgado, ai suoi soggetti e a come li racconta mi viene alla mente il parallelo con un altro grande narratore di mondi lontani: Tiziano Terzani. Certo Terzani ha contribuito principalmente con i suoi scritti giornalistici e le sue produzioni letterarie, anche se era al contempo un fotografo piuttosto bravo. Ma entrambi davanti a situazioni drammatiche che si svolgevano in aree ai confini della nostra conoscenza, hanno deciso di non girare il volto dall’altra parte ma di provare a raccontarle.
«Se la storia non viene raccontata è come se non fosse mai esistita. Questo vale ancora di più per la sofferenza: se non la racconti, se non rendi gli altri partecipi della sofferenza altrui, nessuno capirà mai», scriveva Terzani.
Conoscere e approfondire in prima persona le realtà più dure non è una cosa a cui tutti si possono esporre, soprattutto se l’obiettivo è quello di trarne un racconto sicuramente personale ma al contempo obiettivo di una situazione complessa. Salgado ha dato prova nei decenni di avere capacità straordinarie in questo senso.
La fotografia di Salgado
Le immagini di Salgado sono immediatamente riconoscibili, contengono cifre stilistiche ed etiche che riportano subito all’autore. Un primo tratto distintivo è l’uso del bianco e nero che utilizza per gran parte della sua produzione fotografica. L’assenza del colore determina un netto stacco con quella che è la realtà visibile, donando alle scene il senso di atemporalità, sospendendo e prolungando in modo indefinito l’istante dello scatto. Il bianco e nero è anche utilizzato dal fotografo per distillare i tanti elementi presenti nell’ambiente, per semplificare e delineare con precisione il messaggio che vuole trasmettere.
Quello che colpisce nei racconti di Salgado è l’empatia che sprigiona dalle sue immagini per i soggetti: è qualcosa di straordinario, perché il racconto viene fatto dall’interno del mondo che racconta, dopo averlo vissuto, osservato, compreso. I suoi soggetti sono sempre, anche quando le situazioni raccontate sembrano insostenibili, mostrati con grande dignità e rispetto. Un rispetto nel racconto riservato anche allo spettatore delle immagini che non viene mai esposto a situazioni visive insostenibili, anche quando sarebbe facile scegliere questa strada.
C’è una sorta di suggestione, il racconto viene portato in una dimensione in cui chiunque può inoltrarsi nel labirinto di situazioni, documenti, emozioni e frammenti di realtà che portano a comunicare un’esperienza.
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