Fare carriera nel terzo settore? Si può (e si deve)
Non solo volontariato, ma serie opportunità di crescita professionale: per Giusi Biaggi, presidente del Consorzio Cgm, l'esempio del mondo profit è prezioso. Nasce così il Manifesto del capitale umano L'articolo Fare carriera nel terzo settore? Si può (e si deve) proviene da Economy Magazine.

Le cooperative sociali faticano a trovare le figure professionali di cui hanno bisogno per portare avanti la loro attività. Ma non si arrendono, anzi rilanciano con il Manifesto del Capitale Umano: cinque pilastri su cui il Consorzio Cgm, con le sue 450 imprese sociali e le sue 40mila persone, intende ripartire. «Le cooperative sociali fanno già molto per valorizzare il loro capitale umano, ma questi sforzi non sono coordinati e sono poco raccontati» dice in questa intervista a Economy Giusi Biaggi, presidente del Consorzio Cgm. «Dobbiamo imparare dal mondo profit a costruire percorsi di carriera, chi sceglie di lavorare con noi deve avere una prospettiva di crescita professionale».
Da dove nasce l’iniziativa che vi ha portato a lanciare il Manifesto del Capitale Umano?
Dalla difficoltà nel reperire personale nel nostro ambito di intervento: lavoro di cura, assistenza, educazione, inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Anche i dati dicono che è calato il numero di iscritti all’università di Scienza dell’Educazione, Servizio sociale, Psicologia, da cui dovrebbero uscire le figure professionali che impieghiamo. Inoltre abbiamo notato un cambiamento culturale: il nostro mondo, quello delle cooperative sociali, nato negli anni ’80 – ‘90, è partito con una fortissima carica motivazionale, ci si approcciava a questo lavoro perché si aveva anche un intento civile e un’idea di società, un’idea di benessere, un anelito a un mondo che fosse meno diseguale rispetto a quello che è.
Sta dicendo che questi ideali sono un po’ spariti?…
Oggi si tende molto di più all’individualismo, a pensare a un proprio stato di benessere, mentre passano un po’ in secondo piano tutti questi elementi, che però per noi sono decisivi. Ci serve una professionalità, quindi una capacità tecnica, però d’altra parte le nostre sono imprese sociali, per cui questo elemento della motivazione è fondamentale. Dopo mesi e mesi in cui raccoglievamo questa fatica da parte delle cooperative, ci siamo detti: proviamo a mettere a tema noi, come rete nazionale, questo argomento per cercare soluzioni, vie, suggerimenti, strategie che possano aiutare le imprese sociali nella cura a 360° del loro capitale umano.
Quindi come vi siete mossi?
Abbiamo raccolto una delegazione di una cinquantina di persone che si occupano di risorse umane all’interno delle imprese, con una territorialità vasta: nord, centro e sud; e abbiamo iniziato a lavorare con loro, con il supporto di una società, Copernicana. In primo luogo abbiamo cercato di riscoprire i valori della cooperazione, che hanno già nel loro Dna il tema della persona al centro, come asset fondamentale delle nostre imprese. Proviamo a rimettere al centro partecipazione, trasparenza, possibilità di carriera, investimento sulle risorse umane. Questo ha significato per noi anche appoggiare un’azione più di tipo politico, che ha portato lo scorso anno ad un rinnovo del Ccnl della cooperazione sociale. Un contratto abbastanza oneroso per le nostre imprese, indispensabile però per affrontare il tema di una maggiore dignità del lavoro sociale.
E dal punto di vista strategico?
Cerchiamo di conferire maggiori strumenti alle imprese. Come il welfare aziendale: promuoviamo la creazione di piani di welfare dedicati alle persone nelle nostre imprese. E anche il pensare a tutte le fasi della vita lavorativa di una persona, da quella di selezione a quella di ingaggio, dalla proposta di un piano di carriera a quella di crescita all’interno dell’impresa. Quindi abbiamo sviscerato tutte le fasi della vita lavorativa, trovando per ciascuna degli elementi di attenzione e di valore che contemplassero sia il corrispettivo, sia la valorizzazione delle competenze, della formazione e della crescita. Siamo in questa fase di costruzione degli strumenti.
è più una questione di esistenza di queste possibilit‡ oppure di efficacia della loro narrazione?
In effetti abbiamo rilevato che già si sta facendo parecchio in termini di valorizzazione del capitale umano, con delle pratiche che sono molto legate al nostro modo di essere cooperativo e sociale, che però sono fatte in maniera non sistematica, non troppo pensata ed organizzata, e quindi anche poco raccontata. Ci sono per esempio una serie di misure di conciliazione che noi normalmente applichiamo, avendo un’altissima quota di donne all’interno delle nostre imprese, e che diamo per scontate: modelliamo i piani orari, mettiamo a disposizione servizi di cura per i nostri lavoratori, proprio in virtù di quello che per noi è una consuetudine. C’è molto, insomma, ma non viene così valorizzato come meriterebbe.
L’aspetto della crescita del lavoratore nell’impresa che ruolo ha?
Centrale. Siamo apprendendo un po’ anche dalle imprese for profit la capacità di costruire dei piani di carriera. Non dobbiamo limitarci ad avere l’affanno di cercare la persona nel momento in cui c’è una posizione vacante. Dobbiamo ingaggiarla su una possibilità di crescita all’interno dell’organizzazione, a livello di formazione, di presa di responsabilità, e anche di decentramento decisionale, di monitoraggio che può vedere un maggiore coinvolgimento delle persone. Quindi considerandole un po’ meno come esecutrici di azioni, ma piuttosto protagoniste delle azioni che si costruiscono all’interno dell’impresa.
Quali sono le esigenze maggiori che avete rilevato? è più una questione retributiva oppure di richiesta di una diversa organizzazione del lavoro?
L’elemento retributivo è molto importante, soprattutto nelle giovani generazioni. Nel nostro mondo quando si entra in un’organizzazione bene o male lo stipendio di partenza è simile a quello di un operaio, e magari parliamo di una persona che è laureata. Per cui sicuramente un lavoro sull’elemento retributivo deve continuare ad esserci, cercando di capire come incentivare le maggiori competenze, come lavorare su un compenso legato agli obiettivi raggiunti.
Facciamo fatica ad immaginarlo, perché abbiamo dei servizi spesso a bassa marginalità. Questo è un tema che riguarda anche il modo con il quale facciamo remunerare il nostro lavoro, sia all’interno del mercato pubblico che del mercato privato. Parlando di questo si va a toccare anche un po’ una postura, un’impostazione che le nostre imprese hanno nel proporsi sul mercato. Non ci obbliga nessuno, ma spesso la pubblica amministrazione ci porta a lavorare a bassissime marginalità. Volentieri daremmo qualcosina di più ai lavoratori, però abbiamo dei servizi che sono tiratissimi, quindi c’è un tema anche di reddittività delle nostre imprese. Ma anche con queste marginalità dobbiamo riuscire a creare anche dei premi legati a obiettivi raggiunti e a responsabilità assunte.
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