Ex Ilva manda in cassa integrazione quasi 4mila lavoratori dopo l’incendio

Cassa integrazione per 3.926 lavoratori ex Ilva dopo l’incendio all’altoforno 1 di Taranto. La Fiom-Cgil protesta: servono risorse per il rilancio, non tagli. Ecco cosa succede

Mag 13, 2025 - 22:46
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Ex Ilva manda in cassa integrazione quasi 4mila lavoratori dopo l’incendio

Acciaierie d’Italia ha comunicato ai sindacati la richiesta di cassa integrazione per quasi 4mila lavoratori in seguito al sequestro dell’Altoforno 1 dello stabilimento di Taranto, dove il 7 maggio si è verificato un grave incendio. Il blocco produttivo ha portato al dimezzamento dell’attività, con pesanti ricadute sull’occupazione.

La domanda di cassa integrazione straordinaria coinvolge 3.926 addetti in tutta Italia, di cui 3.538 solo a Taranto. Gli altri lavoratori interessati si trovano a Genova (178), Novi Ligure (165) e Racconigi (45). La misura è stata annunciata nel pieno delle trattative per il futuro della fabbrica, mentre i sindacati denunciano l’assenza di un piano chiaro per la ripartenza.

4mila lavoratori in cassa integrazione

La richiesta di cassa integrazione arriva pochi giorni dopo l’incidente all’Altoforno 1, sotto sequestro della Procura. Lo stabilimento di Taranto, già in amministrazione straordinaria, si ritrova a operare con la produzione dimezzata. A pagarne il prezzo sono ancora una volta i dipendenti: su 3.926 lavoratori coinvolti, oltre il 90% lavora nello stabilimento pugliese.

Fiom-Cgil denuncia quindi la mancanza di un piano industriale: “Ancora una volta i lavoratori pagano l’incapacità di garantire sicurezza e investimenti per la decarbonizzazione”. L’organizzazione sindacale contesta anche l’assenza di una strategia per la ripresa, sottolineando inoltre come la cassa integrazione non possa essere la risposta strutturale.

La Fiom-Cgil attacca

La risposta della Fiom-Cgil alla richiesta di cassa integrazione non si è fatta attendere. Il sindacato ha non solo denunciato l’assenza di un piano credibile per il rilancio dello stabilimento,  ma ha espresso forte preoccupazione per le conseguenze occupazionali. “Non accetteremo percorsi di cassa integrazione senza alcuna chiarezza sulle prospettive future dell’ex Ilva”, ha dichiarato Luigi Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom.

Secondo la sigla, il ricorso alla cassa rappresenta l’ennesimo scaricabarile sui lavoratori, già duramente colpiti da anni di incertezze e ristrutturazioni. Il segretario generale Michele De Palma ha aggiunto: “Siamo sull’orlo del baratro. Serve un piano serio, con risorse reali e investimenti strutturali, non soluzioni tampone che lasciano i lavoratori senza tutele”. Il sindacato ha annunciato un confronto con i delegati di tutti gli stabilimenti e non esclude iniziative di mobilitazione.

Futuro dell’ex Ilva

Alla crisi occupazionale si somma quindi l’incertezza sul processo di cessione degli impianti. La Fiom parla di una situazione al limiyr, mentre il governo e i commissari valutano l’impatto del sequestro sul bando per la vendita. La stessa struttura dell’altoforno è stata definita “compromessa” dal ministro Urso.

Sul fronte produttivo, intanto, la riduzione della capacità impatta anche sugli altri siti industriali coinvolti: a Genova, Novi Ligure e Racconigi, dove la cig colpisce circa 400 addetti. I sindacati annunciano mobilitazioni per chiedere chiarezza su tutele salariali, sicurezza degli impianti e investimenti.