Era Karol Wojtyla. Sapeva parlare a tutti. E abbatté ogni confine
A vent’anni dalla morte del Papa polacco

Casini*
Il 2 aprile di vent’anni fa si spegneva Karol Wojtyla, il Papa che ha segnato per decenni la storia dell’umanità e rappresentato per più generazioni, la mia in particolare, un riferimento assoluto nel cammino della vita. Si è detto molto del coraggio di questo Papa venuto da lontano, della sua capacità di leggere e interpretare i tempi nuovi e della sua convinzione che la missione propria della Chiesa, per quanto ancorata alla trascendenza, è pur sempre una missione storica. Se infatti con il Concilio Vaticano II la Chiesa è entrata nella modernità, è solo con Giovanni Paolo II che ne è diventata autentica interprete. La sua parola e la sua azione sono state una presenza viva e determinante nei grandi fenomeni dell’ultimo quarto del XX secolo: dal processo di democratizzazione dell’Europa orientale culminata nella caduta del muro di Berlino, ai suoi appelli per la soluzione pacifica di conflitti – in occasione della guerra del Golfo e del conflitto balcanico –, dalle rivendicazioni a difesa dei diritti umani, allo slancio verso il dialogo interreligioso. È stato un uomo capace di parlare al mondo abbattendo i confini politici, ideologici e religiosi. La sua umanità lo ha portato a viaggiare in ogni continente, in Paesi mai toccati prima da un Pontefice e a chiedere perdono per gli errori commessi dalla Chiesa che hanno segnato un passaggio storico di umiltà e di verità. Un gigante, la cui grandezza si coglieva nella semplicità dei gesti, in grado, come nessun altro, di comunicare con i giovani, le sue "sentinelle del mattino". Da quel "se mi sbaglio mi corrigerete" nel giorno della sua nomina ha conquistato tutti, compresi quanti avevano manifestato dubbi sul nuovo Papa straniero, il primo dopo 455 anni. Alla fine sarebbe stato lui a "correggere" l’intera umanità infondendo nuova vitalità al messaggio cristiano: un messaggio di tolleranza e di fiducia profonda e sincera nelle ragioni della pace e dell’uomo. Un Papa tanto amato proprio perché la sua santità si è sempre manifestata in un’umanità piena, riuscendo a entrare in contatto con le sofferenze e le speranze di tante persone. La ricerca continua di vicinanza a ogni essere umano lo ha reso un Pastore in grado di attrarre e sedurre con la simpatia, l’entusiasmo e la spontaneità delle sue parole e delle sue preghiere anche chi non aveva il dono della fede. L’invocazione "Santo Subito" salita prepotentemente dalla folla in Piazza San Pietro dal giorno stesso in cui papa Wojtyla ha concluso il suo cammino terreno, ha simboleggiato l’atto d’amore del popolo di Dio verso questo straordinario interprete della complessità della Chiesa e della nostra epoca. Anche chi lo aveva più volte apostrofato come reazionario e conservatore ne riconoscerà l’incomparabile grandezza. Nel segno di una profonda consonanza spirituale, i suoi successori, pur con differenze di stile, personalità e formazione, hanno proseguito il cammino tracciato da Giovanni Paolo II. Benedetto XVI ne ha approfondito l’insegnamento teologico sul piano dottrinale, Francesco – con un approccio pastorale più diretto e meno accademico – ne ha incarnato l’ideale di una Chiesa missionaria. La loro è stata ed è la voce di una Chiesa capace di rispondere ai bisogni dell’uomo e di orientarne le aspirazioni, offrendo una guida non solo ai fedeli, ma a tutta l’umanità in ogni epoca di crisi e incertezza.
*Senatore, ex Presidente della Camera dei Deputati