ENI si accorda con l’argentina per sfruttare il gas estratto devastando la Patagonia
Il CEO del colosso fossile italiano ENI, Claudio Descalzi, e il presidente e amministratore delegato della compagnia petrolifera partecipata argentina YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales), Horacio Marín, hanno ufficialmente siglato un memorandum d’intesa per la cooperazione nello sviluppo del progetto Argentina GNL. A renderlo noto è stata la stessa YPF al termine di una riunione tra […] The post ENI si accorda con l’argentina per sfruttare il gas estratto devastando la Patagonia appeared first on L'INDIPENDENTE.

Il CEO del colosso fossile italiano ENI, Claudio Descalzi, e il presidente e amministratore delegato della compagnia petrolifera partecipata argentina YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales), Horacio Marín, hanno ufficialmente siglato un memorandum d’intesa per la cooperazione nello sviluppo del progetto Argentina GNL. A renderlo noto è stata la stessa YPF al termine di una riunione tra i vertici delle due aziende. L’obiettivo è il trasporto, la liquefazione e la successiva esportazione del gas prodotto dal grande giacimento di gas di Vaca Muerta, in Patagonia. Nel giacimento in questione il gas è estratto con la tecnica del fracking (fratturazione idraulica), che richiede l’impiego di elevatissime quantità di acqua ed è causa di frequenti e documentati episodi di contaminazione del suolo e delle falde acquifere, per via degli sversamenti di sostanze tossiche e fanghi petroliferi. Le operazioni hanno inoltre luogo in un territorio parte delle terre ancestrali del popolo indigeno Mapuche, che da tempo si batte contro queste operazioni.
Argentina GNL è il progetto con cui il Paese intende divenire un esportatore energetico affidabile a livello mondiale, con un mercato da 30 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, come annunciato dallo stesso Marín. Il tutto può avvenire grazie alle risorse custodite da Vaca Muerta, una formazione geologica situata sul bacino di Neuquén, in Patagonia, e che comprende parte delle province di Neuquén, Río Negro, Mendoza e La Pampa. Si tratta di una formazione geologica “non convenzionale”, il che significa che l’estrazione deve essere effettuata con il metodo del fracking, estremamente dannoso per l’ambiente e per le popolazioni indigene che vi abitano, oltre che possibile causa di eventi sismici. Detta anche fratturazione idraulica, la tecnica consiste nell’estrarre petrolio o gas di scisto da rocce argillose nel sottosuolo. Si effettu una prima perforazione finalizzata a raggiungere i giacimenti nei quali, successivamente, si inietta ad alta pressione una miscela di acqua, sabbia e prodotti chimici di sintesi allo scopo di facilitare la fuoriuscita della risorsa fossile. In primo luogo, alla luce delle grandi quantità di acqua richieste, va citato l’enorme spreco idrico: basti pensare che ogni pozzo avrebbe bisogno tra i 100 mila e i 27 milioni di litri d’acqua. In secondo luogo, c’è l’elevatissimo rischio di contaminazione delle falde acquifere e del suolo, poiché gran parte del liquido iniettato, contenente in media 14 differenti additivi chimici, non riemerge e rimane nel sottosuolo. Inoltre, è stato appurato che questa tecnica può causare eventi sismici.
Ricca di fossili di dinosauri e giacimenti di idrocarburi, Vaca Muerta si estende per circa 30.000 chilometri quadrati. Sono 31 i progetti di estrazione totali per questa vasta zona, di cui solo 5 in fase di produzione. Tra i protagonisti dell’estrazione vi sono YPF e Tecpetrol, oltre tutta la solita schiera di grandi multinazionali del settore. Uno studio pubblicato dalla ONG argentina Fundación Ambiente y Recursos Naturales (Farn) ha rilevato che Vaca Muerta potrebbe rappresentare dal 57% al 67% delle emissioni nazionali di gas serra del Paese entro il 2030. All’industria estrattiva, così come allo sfruttamenti ambientale in generale, si sono sempre opposti i Mapuche, popolo originario che vive in una estesa porzione di territorio che comprende Cile e Argentina. Le motivazioni della loro lotta socio-ecologica sono due: tutela del territorio e conservazione dell’ambiente naturale (da cui traggono la loro economia di sussistenza). I mega-progetti di estrazione fossile occupano terreno, portando all’espropriazione e all’espulsione da vaste aree. Le attività di estrazione creano poi un impatto ambientale enorme su aria, acqua e suolo, distruggendo l’habitat naturale da cui i Mapuche trovano nutrimento, fisico e spirituale.
Sono state numerose, negli anni, le proteste del popolo mapuche contro lo sfruttamento delle risorse della zona, così come i tentativi di dialogo con la YPF. Tuttavia, con l’insediarsi del governo Milei la situazione non sembra che peggiorare per i legittimi proprietari di queste terre: lo scorso anno, il governo ha infatti inviato 300 militari a presidiare il giacimento, al fine di impedire ai mapuche di interferire con le operazioni estrattive.
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