Educazione all’affettività, parlano gli studenti: “Le emozioni sono un tabù, la scuola se ne occupi per rendere migliore la società”

Scoprire le proprie emozioni non è mai semplice, soprattutto in una società che ci vuole impassibili. Questi costrutti sono la causa principale della dirompente violenza che caratterizza il presente. Emerge la necessità di nuova forma di educazione che possa insegnare i valori dell’emotività, dell’empatia e del mutuo rispetto alle nuove generazioni, e chi potrebbe farlo […] L'articolo Educazione all’affettività, parlano gli studenti: “Le emozioni sono un tabù, la scuola se ne occupi per rendere migliore la società” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mar 20, 2025 - 08:38
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Educazione all’affettività, parlano gli studenti: “Le emozioni sono un tabù, la scuola se ne occupi per rendere migliore la società”

Scoprire le proprie emozioni non è mai semplice, soprattutto in una società che ci vuole impassibili. Questi costrutti sono la causa principale della dirompente violenza che caratterizza il presente. Emerge la necessità di nuova forma di educazione che possa insegnare i valori dell’emotività, dell’empatia e del mutuo rispetto alle nuove generazioni, e chi potrebbe farlo meglio della scuola?

A questo proposito, ilfattoquotidiano.it ha deciso di intervistare due ragazze e un ragazzo che frequentano le scuole superiori: i tre giovani hanno condiviso i loro disagi emotivi, confermando l’utilità che potrebbe avere la scuola nel fornire gli strumenti necessari per affrontare questi problemi.

Affidare alla scuola questo compito non è un’innovazione: sono moltissimi i paesi dell’Ue che hanno introdotto nei loro programmi scolastici l’educazione affettiva già da anni e l’Italia è uno dei pochi Stati a non aver ancora provveduto. Mancano i fondi e la volontà politica di investirci, tanto che a inizio anno il governo ha dirottato 500mila euro per l’educazione affettiva su formazione sulla fertilità maschile e femminile. Le associazioni criticano apertamente il disinteresse del Parlamento nell’adozione di norme che sarebbero fondamentali per la prevenzione della violenza. Non si tratta della presunta “teoria gender”, stigmatizzata dalla destra, ma di un’educazione al rispetto e alla comprensione.

La scarsa empatia e l’impossibilità a comunicare portano a forme di violenza, sia psicologica che fisica. Solo tenendo in considerazione i sentimenti delle altre persone si può capire come è meglio comportarsi, talvolta bisogna limitare le proprie azioni se ci si rende conto che potrebbero ledere l’emotività di altri. La frustrazione generata dalla continua repressione dei sentimenti come la completa ignoranza dei sentimenti altrui sono causa di violenza. La battaglia per abbattere la violenza può essere vinta solo con l’educazione.

L’educazione affettivaGli intervistati sono tutti d’accordo su un aspetto. Il ruolo della scuola non dovrebbe limitarsi all’insegnamento delle materie curricolari: “Chiaramente la scuola di oggi è molto più concentrata sulle discipline che sulle emozioni – dice Maria – ma per affrontare la vita non abbiamo solo bisogno di nozioni teoriche”. La scuola si fa portatrice di valori quali il rispetto per l’altro, ma per ottenerlo è necessario prima istruire sull’empatia. Beatrice aggiunge: “L’affettività è ancora un tabù, per quello ritengo fondamentale che la scuola inizi ad occuparsene, solo così riusciremo a rendere migliore la società in cui viviamo”. È un desiderio comune, e i ragazzi lo sentono: “So di non essere l’unico a pensarla in questo modo, trovo che numerosi dei miei coetanei si sentano a disagio perché troppo distanti dalle emozioni che provano perché non sanno come reagire”, puntualizza Michele.

In una realtà dominata dai costrutti sociali che ci impongono di essere impassibili nei confronti di ciò che ci accade, è importante rendersi conto che buona parte della nostra vita è costituita dai sentimenti. Reprimere ogni emozione è semplice, ma poco utile, non solo nelle relazioni interpersonali, anche nel rapporto con se stessi, è fondamentale comprendere cosa proviamo e cosa provano gli altri. Tutti vivono esperienze diverse, e queste sono quelle dei tre intervistati.

“Prima di lasciare ho bisogno di essere completamente distrutta”Maria è una ragazza di 18 anni, ritiene di essere consapevole dei suoi sentimenti, così come di quelli delle persone che la circondano. Una delle più grosse difficoltà però, ritiene che sia quella di riuscire ad aprirsi con le persone. Che siano gli amici o i genitori. “Sono convinta che il dialogo sia il mezzo migliore per risolvere ogni tipo di situazione. Ammetto che inizialmente era molto complesso, ma con il passare dei mesi il rapporto si è rafforzato e ho cominciato ad aprirmi di più, senza alcun timore nell’esprimere i miei pensieri”. Per quanto il dialogo sia utile, non sempre porta ad una svolta decisiva, e il carattere tossico delle relazioni rimane. Non basta la consapevolezza per lasciare alle spalle una persona che ci ha feriti. “Prima di lasciare ho bisogno di essere completamente distrutta, e se non lo sono, continuo a sperare in un miglioramento”.

Un’attenta analisi dei comportamenti altrui è fondamentale. “Comprendere le motivazioni che portano una persona a comportarsi in un certo modo è un pilastro della mia vita amorosa. È una curiosità personale a cui tengo moltissimo e se non viene soddisfatta ne sono tormentata la notte: finisco per farmi mille film”. Allo stesso tempo però, ha riconosciuto che le sue emozioni non vengono altrettanto tenute in considerazione, bensì “quando gli faceva più comodo, si mostrava interessato”.

“Non riesco a comprendere le mie emozioni” Alberto, tra i tre, è quello che fa più fatica a comprendersi e comunicare, non è un caso che sia un ragazzo. Sulle relazioni dice: “Anche se riesco a comprendere le cause della tossicità di un rapporto, non riesco a terminarlo, preferisco aspettare che sia l’altra persona a mettere il punto. Non ho paura di affrontare i problemi, però faccio spesso fatica a comunicare le mie posizioni”. Le sue difficoltà trovano origine nell’interpretazione di ciò che sente. “Non riesco a comprendere le mie emozioni, e non posso certamente comunicare qualcosa che non so”. Ammette che anche nelle situazioni più ostiche “mi è impossibile parlarne con altri quindi il mio unico conforto è la musica”.

Sicuramente le esperienze di vita ci permettono di conoscere meglio noi stessi e gli altri, ma spesso non sono sufficienti. Educare le nuove generazioni all’ascolto è anche un modo per limitare disturbi più gravi come depressione, ansia o disturbi del comportamento alimentare che derivano dalla non accettazione di se stessi.

“Cerco di capire quali emozioni mi provocano le situazioni che vivo, così sarò in grado di affrontarle in futuro” Beatrice ha 18 anni e vive di continua introspezione, “la riflessione è la chiave per ottenere delle risposte concrete”, e ciò vale tanto per le relazioni quanto per il rapporto con se stessi. Con il tempo, l’esperienza le ha insegnato che essere coscienti delle sensazioni provate è un modo efficace per affrontare la vita. “Cerco sempre di capire quali emozioni mi provocano le varie situazioni che vivo, così sarò in grado di affrontarle meglio in futuro”. Per quanto riguarda le relazioni invece, è ottimale favorire il confronto. “Funziona, ma non sempre è abbastanza. Questo quando esistono dei problemi alla base che non sono risolvibili dalle due persone. Potrebbe esserci il bisogno di un aiuto esterno ma il miglioramento dipende dalla mentalità delle due persone”. Nonostante analizzi spesso cosa le accade e non metta mai un freno a ciò che sente, ammette che “alcune situazioni devo ancora imparare a gestirle. Il processo è simile ad una scala, ogni esperienza è un gradino e quando la affronto riesco finalmente a salire”.

*L’articolo che segue è stato scritto da Janiss Zanoni che ha fatto un Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto) nella redazione de ilfattoquotidiano.it. Zanoni è studentessa dell’Istituto Fermi di Mantova e tra le firme del blog della scuola Myfermi con il quale il Fatto quotidiano collabora.

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