“L’esperienza da sola non basta. Serve un aiuto esterno per imparare a gestire meglio emozioni che possono tradursi in atti violenti”
Nei Paesi dell’Unione Europea, oltre che l’Italia, sono solo sei gli Stati, soprattutto dell’Est, dove l’educazione sessuale non è obbligatoria. L’introduzione di un insegnamento sulla sessualità e l’affettività a scuola è un tema ancora fortemente dibattuto: è attaccato da chi sostiene che promuova una presunta “teoria gender” e difeso da chi invece rivendica l’importanza nella […] L'articolo “L’esperienza da sola non basta. Serve un aiuto esterno per imparare a gestire meglio emozioni che possono tradursi in atti violenti” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Nei Paesi dell’Unione Europea, oltre che l’Italia, sono solo sei gli Stati, soprattutto dell’Est, dove l’educazione sessuale non è obbligatoria. L’introduzione di un insegnamento sulla sessualità e l’affettività a scuola è un tema ancora fortemente dibattuto: è attaccato da chi sostiene che promuova una presunta “teoria gender” e difeso da chi invece rivendica l’importanza nella promozione del rispetto e dell’accettazione di sé e degli altri.
Come segnalato dal ministero della Giustizia il fenomeno della violenza di genere, che nel 2024 ha provocato 98 femminicidi, continua a essere allarmante. Un altro problema dilagante sono le forme di bullismo tra i ragazzi, segnalate da associazioni che si occupano di minorenni. Un confronto con esperti sul tema dell’affettività potrebbe costituire un enorme aiuto per i ragazzi: “L’esperienza da sola non basta. Serve un aiuto esterno per imparare a gestire meglio emozioni che possono tradursi in atti violenti” dice a ilfattoquotidiano.it Marina Calloni, professoressa in filosofia politica e sociale presso l’Università di Milano–Bicocca e membro del Comitato Interministeriale dei Diritti Umani (CIDU).
La mutua comprensione delle emozioni nelle relazioni interpersonali, trova utilità nella vita quotidiana?
Solitamente le emozioni sono state intese come un qualcosa di negativo che contraddirebbe un pensiero e un comportamento razionale. Le emozioni sono invece parte costitutiva della nostra esistenza e delle relazioni sociali. Non è un caso che la filosofa Martha Nussbaum abbia teorizzato l’idea di “intelligenza delle emozioni”, riflettendo sul ruolo che dolore, paura, vergogna, amore, compassione hanno nelle nostre vite e nelle nostre scelte. Tuttavia, le emozioni vanno riconosciute e gestite in modo positivo per evitare comportamenti aggressivi o autodistruttivi, lavorando piuttosto su di sé per un rapporto equilibrato e rispettoso verso sé e gli altri.
I giovani accettano pienamente le loro emozioni o al contrario sono anche loro ancorati al sistema culturale che vede deboli le persone aperte alle loro emozioni?
Gestire le emozioni non è certamente facile poiché dipende da molti fattori, personali, familiari, nonché sociali e culturali. È evidente che bisogna fare in modo che le emozioni non si trasformino in forme patologiche contro di sé (come la depressione) o violente contro gli altri. Quel che vedo nei giovani è un crescente senso di ansia dovuta alle molte insicurezze, economica, sociale, ambientale. Il mondo è in frenetica trasformazione, accelerato anche dall’uso dei social media che crea un senso di inadeguatezza amplificato dalla velocità con cui vengino proposti sempre nuovi contenuti che attraggono l’attenzione. I giovani rimangono spesso trappola di questa dipendenza che porta a non riuscire più a distinguere fra realtà materiale e realtà virtuale, trasponendo violenti linguaggi e comportamenti nella vita quotidiana.
Si può educare all’affettività tramite insegnamenti scolastici, oppure è una competenza che si può acquisire unicamente tramite l’esperienza?
Insegnamenti che riguardano l’educazione all’affettività aiutano certamente a far comprendere meglio le proprie emozioni e le relazioni con sé, con i compagni e le altre persone. L’esperienza da sola non basta. Un dialogo con insegnanti ed esperti ben formati sul tema può senz’altro servire a gestire meglio emozioni che possono tradursi in atti violenti, come nel caso dell’uso di linguaggi d’odio, di forme di controllo o di violenza fisica e sessuale. I giornali riportano purtroppo sempre più spesso cronache di minorenni che abusano di altri compagni e compagne, senza comprendere la gravità dei propri comportamenti.
Nelle scuole (medie e superiori), vengono implementati programmi di educazione all’affettività?
In Italia l’educazione all’affettività e alla sessualità non è obbligatoria e dipende perlopiù dalla disponibilità di insegnanti e dirigenti scolastici. L’educazione all’affettività non può essere intesa solo come educazione alla sessualità, poiché comprende un più ampio significato relativo alla difesa dei diritti umani e all’idea di cittadinanza. Significa imparare a vivere nella società in modo rispettoso, collaborativo ed empatico.
Qual è la risposta degli studenti?
Non esistono al momento dati complessivi sul gradimento da parte degli studenti, ma da quel che so in merito ad alcuni casi, gli/le studenti hanno mostrato grande interesse verso gli incontri avuti, anche se sono durati solo poche ore. L’importante è organizzare bene in senso interattivo questi incontri, prevedendo di lasciare soprattutto spazio agli studenti, alle loro esperienze e dubbi.
Come può l’educazione all’affettività prevenire la violenza di genere?
Senza dubbio tale educazione può contribuire al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere in tutte le sue diverse forme, perché contribuisce allo sviluppo morale, cognitivo e sociale dei e delle giovani nella comprensione della loro emozionalità e sessualità, oltre che allo sviluppo delle loro capacità e talenti, grazie al rispetto interpersonale. Si tratta di contribuire a formare il senso di una responsabilità condivisa verso sé, gli altri e l’ambiente. E così si potrà contribuire a costruire una società più buona, più giusta e più sostenibile, a fronte delle innumerevoli sfide locali e globali che ci troviamo oggi a dover affrontare insieme. Ed è proprio a nome delle giovani generazioni presenti e a quelle che verranno che noi adulti non possiamo esimerci dai nostri compiti.
*L’articolo che segue è stato scritto da Janiss Zanoni che ha fatto un Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto) nella redazione de ilfattoquotidiano.it. Zanoni è studentessa dell’Istituto Fermi di Mantova e tra le firme del blog della scuola Myfermi con il quale il Fatto quotidiano collabora.
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