Ecco gli effetti delle mosse Trump su Ucraina, Russia e Arabia Saudita

Cosa dobbiamo aspettarci dopo la telefonata Trump-Putin sui negoziati per l'Ucraina e non solo. L'analisi di Gianfranco Polillo

Feb 13, 2025 - 13:39
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Ecco gli effetti delle mosse Trump su Ucraina, Russia e Arabia Saudita

Cosa dobbiamo aspettarci dopo la telefonata Trump-Putin sui negoziati per l’Ucraina e non solo. L’analisi di Gianfranco Polillo

Il tema della pace può essere più inquietante del perdurare della guerra? Sembrerebbe di sì, almeno a giudicare dal tenore della telefonata intercorsa tra Donald Trump e Vladimir Putin. E dalla memoria storica di avvenimenti passati. La Conferenza di pace di Parigi nel 1919, mise fine alla Grande Guerra, ma creò anche le condizioni destinate a produrre, nel tempo, i grandi rivolgimenti degli equilibri democratici dei principali Paesi belligeranti, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale.

Pensieri fin troppo funesti. Al momento accontentiamoci del fatto che quell’orrenda carneficina, che insanguina l’Ucraina, deve finire. Obiettivo di non poco conto. Una guerra che più convenzionale non si può, portata avanti con gli strumenti di distruzione di massa della più moderna tecnologia. Uomini ammassati nelle trincee e dall’alto droni e missili ipersonici, portatori di una morte fulminea e senza il benché minimo preavviso. Morte non solo di fanti o miliziani, come furono i componenti del battaglione Azov, ma di civili colpiti da attacchi mirati. Con lo scopo dichiarato di fare più male possibile. Insomma: la guerra più sanguinosa conosciuta dall’Europa dalla fine del Secondo conflitto mondiale.

“Vogliamo fermare i milioni di morti che si verificano nella guerra con Russia/Ucraina” – ha scritto Trump su Truth, per poi aggiungere – “Milioni di persone sono morte in una Guerra che non sarebbe accaduta se fossi stato Presidente, ma è accaduta, quindi deve finire. Non si devono perdere altre vite!”. Al di là dell’accenno auto celebrativo, difficile non essere d’accordo. Si può solo aggiungere che proprio per rispettare la memoria di coloro che non hanno esitato di dare la propria vita, bisognerà fare il possibile per giungere ad una pace duratura. Che, per essere tale, non potrà che essere giusta. Ossia rispondere agli interessi più profondi delle diverse etnie che da anni, in quella martoriata regione, combattono per la propria esistenza, nel rispetto delle diversità politiche – culturali che li caratterizzano.

Credo che si debba partire da qui, piuttosto che da considerazioni di carattere più generale che attengono alla geopolitica dei grandi equilibri di potenza. Che ovviamente contano, ma sarebbe sbagliato anteporli a tutto. È la storia che ci dice che questo percorso è per molti versi obbligato. Ogni qual volta questo elemento è stato trascurato – dai Balcani, alla Palestina; dall’Irlanda, agli Uiguri in Cina o al conflitto tra sciiti e sunniti e via dicendo – si sono prodotti focolai di tensione dagli esiti finali imprevedibili.

Per risolvere il rebus, l’accordo tra Trump e Putin è condizione necessaria ma non sufficiente. Neppure considerando la reale portata degli interessi americani. Quell’accordo per lo sfruttamento delle terre rare di cui l’Ucraina è così ricca, può rappresentare una garanzia implicita, da parte americana, contro possibili futuri colpi di mano della stessa Russia. Ma non può certo compensare l’eventuale esclusione di Zelensky dalle trattative, né tanto meno mettere all’angolo la presenza dell’Europa.

Se oggi Donald Trump può presentarsi al mondo come il grande pacificatore, questo si deve al fatto che l’Ucraina non è capitolata. Grazie soprattutto all’eroismo della sua gente, al sacrificio estremo di tanti suoi giovani, alla forza mostrata dalle sue donne che non hanno esitato a prendere le armi per difendere la propria libertà. Se non ci fosse stata quella resistenza estrema, l’”Operazione militare speciale” si sarebbe conclusa come a Budapest nel 1956 o a Praga nel 1968. L’Europa, dal canto suo, ha contribuito affinché non si ripetessero quelle tragedie.  Ed ora la sua presenza è garanzia di futuro. È dare speranza a chi lotta per la democrazia contro lo Stato autocrate e illiberare.

C’è poi un secondo motivo, più nascosto ma non per questo meno importante. Trump fa bene a coltivare un rapporto molto stretto con l’Arabia Saudita: al punto di candidarla quale possibile sede del futuro negoziato. La monarchia Saudita, nel complicato mondo del Medio Oriente, è fattore di equilibrio e di stabilità. Non si dimentichi, tuttavia, il ruolo svolto dalla Cina, nel favorire l’incontro tra la stessa Arabia e l’Iran. Quello stesso Iran, nemico di Israele e di tutto l’Occidente, con cui Putin, solo qualche settimana fa, ha sottoscritto un accordo di partenariato strategico. A dimostrazione che le nuove alleanze della Casa Bianca possono essere aggiuntive e non sostitutive, nell’interesse della stessa America.

Hanno pertanto sorpreso le parole di Pete Hegseth, il Capo del Pentagono. Non tanto per i contenuti, prevedibili, quanto per i toni, più che ruvidi. “Irrealistico” pensare di difendere i vecchi confini dell’Ucraina. “Irrealistica” una sua presenza nella NATO. “Robuste garanzie di sicurezza devono essere date per far sì che non inizi ancora una guerra, ma devono essere assicurate da truppe europee e non europee e se ci sarà una missione di peacekeeping non deve essere una missione Nato e non ci deve essere la copertura dell’articolo 5″. Esclusa comunque ogni presenza di truppe americane. Parole che lasciano intravedere quanto sia ancora lunga la strada da percorrere.