Dollaro in bilico
La prospettiva di un dollaro statunitense più debole e il possibile declino del suo status di valuta di riserva dominante sono temi di crescente rilevanza nel dibattito economico internazionale. Secondo Gilles Moec, AXA Group Chief Economist e Head of AXA IM Research, l’Amministrazione Trump, nel perseguire un indebolimento del dollaro, potrebbe arrivare a rinunciare al... Leggi tutto

La prospettiva di un dollaro statunitense più debole e il possibile declino del suo status di valuta di riserva dominante sono temi di crescente rilevanza nel dibattito economico internazionale. Secondo Gilles Moec, AXA Group Chief Economist e Head of AXA IM Research, l’Amministrazione Trump, nel perseguire un indebolimento del dollaro, potrebbe arrivare a rinunciare al cosiddetto “privilegio esorbitante” che ha finora consentito agli Stati Uniti di adottare politiche fiscali espansive senza significativi vincoli finanziari.
L’euro come possibile alternativa
La sostituzione del dollaro come valuta di riserva globale non è un’operazione semplice. Tuttavia, Moec ritiene che, attraverso un rafforzamento dell’Unione dei mercati dei capitali e una maggiore integrazione politica, l’euro potrebbe assumere un ruolo più rilevante all’interno dell’ordine monetario internazionale. Ciò richiederebbe, tra le altre cose, la creazione di un mercato finanziario più profondo e liquido, con l’emissione congiunta di asset sicuri e un processo decisionale più snello all’interno dell’Unione Europea.
La proposta di tassare i flussi finanziari
Sul Financial Times, la giornalista Gillian Tett ha evidenziato una proposta che circola a Washington, secondo cui i flussi finanziari verso gli Stati Uniti potrebbero essere tassati per generare entrate aggiuntive e/o deprezzare il dollaro. Un’idea simile è stata avanzata anche da Stephen Miran in un recente saggio. Secondo Moec, una misura del genere aumenterebbe il costo di finanziamento del governo statunitense e, in ultima analisi, rappresenterebbe una vera e propria rinuncia al “privilegio esorbitante” che ha consentito per decenni agli Stati Uniti di mantenere politiche fiscali flessibili grazie al ruolo dominante del dollaro.
Lo shock Nixon e le possibili conseguenze
Un precedente storico significativo è rappresentato dallo “shock Nixon” del 1971, quando il presidente Richard Nixon sospese la convertibilità del dollaro in oro, scatenando conseguenze economiche di vasta portata, tra cui una maggiore inflazione. Moec sottolinea che una decisione simile oggi potrebbe non essere favorevole agli interessi economici statunitensi nel lungo periodo. Infatti, l’idea che la sopravvalutazione del dollaro abbia “svuotato” le forze produttive degli Stati Uniti non trova, a suo avviso, solide basi empiriche. Tuttavia, questi dibattiti stanno influenzando l’orientamento delle politiche economiche a Washington e contribuiscono alla correzione in corso del dollaro statunitense.
Quale futuro per il sistema monetario internazionale?
Se il ruolo del dollaro dovesse erodersi, non esisterebbe una soluzione predefinita per ridefinire il sistema monetario internazionale. Nel 2010, il Fondo Monetario Internazionale ha esplorato l’idea di ampliare il ruolo dei Diritti Speciali di Prelievo, ma l’attuazione di tale strategia si preannuncia complessa. Inoltre, le soluzioni cooperative richiederebbero un sostegno al multilateralismo che, secondo Moec, attualmente manca all’Amministrazione statunitense.
L’euro può davvero sostituire il dollaro?
L’Eurozona, dal canto suo, ha visto la sua capacità di affermare l’euro come valuta di riserva limitata dalla sua preferenza per le eccedenze delle partite correnti. Tuttavia, un cambiamento nella politica fiscale di Berlino potrebbe modificare questo scenario. Affinché l’euro diventi una valuta di riserva dominante, sarebbe necessario un rafforzamento dell’Unione dei mercati dei capitali, con una maggiore emissione congiunta di titoli sicuri e un mercato più liquido. Sebbene complesso, Moec sostiene che l’innalzamento dello status dell’euro non sia più un’ipotesi impensabile.