Dazi Usa, stop agli ordini. Prosecco e agroalimentare in bilico, allarme dei Consorzi

Secondo gli esperti, i mercati potrebbero riorganizzarsi come accadde con il gas. Ma gli Stati Uniti rimangono il primo canale di export per vini italiani. Perdite e previsioni

Mar 29, 2025 - 20:20
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Dazi Usa, stop agli ordini. Prosecco e agroalimentare in bilico, allarme dei Consorzi

A ridosso del 2 aprile, quando entreranno in vigore i dazi imposti da Trump, diversi importatori americani corrono ai ripari. È il caso di Total Wine&More, che in una lettera del 14 marzo annuncia alle cantine italiane del proprio portfolio la sospensione momentanea degli acquisti.

Con l’avvicinarsi dell’attesa data in cui il presidente Donald Trump intende applicare dazi su tutte le importazioni negli Stati Uniti, si consolida l'incertezza sul rischio finanziario associato. E, così, dopo una rincorsa negli ultimi due mesi per fare scorta dei prodotti agricoli italiani, primo fra tutti il vino, nelle ultime due settimane gli ordini sono fermi.

A rischio il Prosecco

La seconda amministrazione Trump ha minacciato dazi fino al 200%, mettendo a rischio circa 135 milioni di bottiglie di Prosecco. I timori dei produttori italiani sono stati messi nero su bianco sul tavolo del Masaf, dove nell’ultima settimana sono giunte diverse richieste, dal Chianti Docg al Nobile di Montepulciano.

Sulla stessa scia si sono mossi i tre Consorzi di tutela – Prosecco Doc, Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg e Asolo Prosecco Docg – denunciando una “grave” situazione al ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Le paure, però, si estendono all’intero settore agroalimentare.

L’allarme dei Consorzi: esportazioni in bilico

L’incertezza regna sovrana, causando un arresto degli ordini anche in assenza di un provvedimento dell’amministrazione americana. Nella lettera recapitata al titolare del Masaf, i tre consorzi del Prosecco sottolineano che occorrono diverse settimane perché gli ordini giungano negli Usa.

Ordini che potrebbero vedere lievitare i dazi fino al 200% “on the water", ovvero lungo il percorso tra Italia e America, rischiando di mettere in crisi gli stessi importatori, “senza contare le gravissime ripercussioni sulle aziende mittenti” aggiungono.

Il Prosecco Doc esporta negli Stati Uniti circa 130 milioni di bottiglie, pari a circa il 23% dell’export dell’intera denominazione, generando un fatturato alla produzione di circa 500 milioni di euro. Il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg esporta oltre 3,5 milioni di bottiglie. Mentre la Docg Asolo Prosecco esporta circa il 75% della produzione che, nel 2024, è stata di 32 milioni di bottiglie.

Usa, il principale mercato dei vini italiani

Nel 2024, le esportazioni di vino italiano verso gli Stati Uniti hanno raggiunto un valore significativo, consolidando il mercato statunitense come uno dei principali per il vino italiano. L’export verso il territorio americano ha raggiunto i 2 miliardi di euro nel 2024, un valore che rappresenta circa il 24% dell'export totale di vino italiano secondo l’Osservatorio Federvini.

Sempre lo scorso anno, l'export agroalimentare italiano verso gli Stati Uniti ha raggiunto un valore di circa 7,8 miliardi di euro, registrando una crescita del 17% rispetto all'anno precedente. Questo incremento è stato trainato da prodotti di punta del Made in Italy, come vini, formaggi Dop, olio d'oliva e pasta.

Stando a tali cifre, i tre Consorzi di tutela sottolineano che il venir meno di un mercato simile “comporterebbe la necessità di individuare Paesi alternativi dove collocare queste produzioni e, nell’emergenza, questo comporterebbe di sicuro una pesante contrazione del valore, con ripercussioni per le nostre aziende, sia in termini economici sia sociali”.

Sostituire il mercato Usa? “Impossibile”

Tuttavia, già nel 2024 l’export agroalimentare ha subito un leggero calo a causa di una situazione “abbastanza complessa", evidenzia David Doninotti, segretario generale Aice (Associazione italiana commercio estero Confcommercio). “Adesso, con le nuove misure protezionistiche, potrebbe esserci un calo ulteriore”, avvisa Doninotti, spiegando che il Governo sta cercando di riorientare la sua politica promozionale all'export su altri Paesi, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. Ma sostituire il mercato americano “è impossibile” sottolinea.

Export: a rischio 2 miliardi per l'Italia

Se nel 2024 l’intero comparto agroalimentare italiano ha raggiunto circa gli 8 miliardi di euro di export verso gli Stati Uniti, questo potrebbe subire un calo “di 1-2 miliardi” con l’eventuale introduzione delle tariffe. Così l’export italiano, e più in generale europeo, potrebbe registrare nuovi mercati nel futuro, considerando paesi dove è già in vigore un accordo di libero scambio con l’Unione Europea.

Si cercano altre strade: la (non) reazione dell’Europa

E, quindi, le nuove mete potrebbero diventare Canada, Giappone e Corea dove non ci sono barriere commerciali, “e si potrebbe spingere di più, tenendo presente anche che tra due settimane apre l’Expo Osaka. Il 13 aprile è prevista l’inaugurazione, potrebbe essere un veicolo” spiega Doninotti.

E poi c'è sempre la Cina, che sta mandando “un messaggio - almeno a parole - di apertura verso l’Europa a livello esclusivamente commerciale” osserva. Il problema maggiore resta l'incertezza. Tra i dazi già annunciati c’è l'automotive, ma è probabile che si aggiungano i farmaci, che secondo Doninotti potrebbe essere un grosso problema per l'Italia. L'Europa potrebbe non reagire immediatamente ai dazi del 2 aprile, secondo l'indicazione emersa dal Consiglio europeo del 20 marzo. L’auspicio di Doninotti è che il Vecchio Continente non risponda subito e attenda che la situazione si stabilizzi, evitando così un’eventuale escalation.

Riorganizzare l’export, come fu per il gas

Il 12 marzo sono entrati in vigore i dazi sull’acciaio, mentre il 2 aprile sono previste tariffe anche verso l’automotive. Ma il settore auto ha registrato in termini di export +22,4% a febbraio 2025, perché “i trader americani provano a comprare le macchine prima che arrivino i dazi” mette in chiaro Lucio Poma, capo economista di Nomisma, aggiungendo che gli operatori “se possono, fanno magazzino”.

Quello che accade, come già accaduto nel 2018 con la prima amministrazione Trump, è una riorganizzazione dei mercati di esportazione. “Se i dazi durano tre mesi”, i mercati di riferimento restano invariati, ma se dovessero durare un anno o due anni, le economie strutturalmente “si riorganizzano il loro, come abbiamo fatto per il gas”, ricorda Poma.

L'amministrazione americana sa che i dazi danneggiano anche l’economia interna, infatti si tratta di “un movimento un po' disperato”, ovvero un segnale di debolezza degli Stati Uniti di fronte alla crescita economica del colosso cinese.

Dazi sinonimo di liquidità

I dazi sono anche sinonimo di liquidità, perché si tratta di una tassa che deve pagare l'importatore per poter importare il bene. Inoltre, i dazi funzionano “se c'è un effetto sostituzione”. Poma riporta l’esempio risalente al 2018 sul Parmigiano Reggiano, che Trump aggredì attraverso i dazi.

Nel 2019, l'amministrazione Trump ha effettivamente imposto un dazio del 25% sul Parmigiano Reggiano e altri formaggi italiani, poi sospesi nel 2021 con l'amministrazione Biden in seguito a un accordo tra Unione europea e Stati Uniti. Su un ristorante medio americano quella tariffa sul Parmigiano Reggiano “ha avuto un certo effetto, ma non su quelli più importanti” spiega Poma.

Quindi, i dazi potrebbero colpire prevalentemente certe tipologie di prodotti o certe zone. “Se si vende vino in una zona medio povera si sentirà di più, ma se si vende vino a Manhattan non se c’è grande impatto” spiega ancora Poma, ribadendo che al momento è difficile stimarne l'effetto.