Dazi, l’economista Bianchi: “Possiamo liberarci dalla dipendenza Usa”
“È il momento di investire a livello europeo. Nuove rotte commerciali? Puntiamo su Canada, Messico e Asia”

Roma, 6 aprile 2025 – “È il momento delle grandi visioni, non quello di andare a piatire da soli condizioni migliori. I dazi di Trump possono essere uno stimolo. Se l’Europa saprà sviluppare una politica comune, con investimenti forti e mirati, potrà rafforzarsi e uscire dalla dipendenza dell’economia americana”. Per l’economista Patrizio Bianchi, ex ministro dell’Istruzione nel governo Draghi, il famoso Liberation Day proclamato dal presidente Usa potrebbe essere doppio. “Il loro e – ironizza – il nostro”.
Professore, Fitch ha mantenuto il rating BBB dell’Italia con un outlook positivo, nonostante i nuovi dazi americani, spiegando che la nostra economia è “ampia, diversificata e ad alto valore aggiunto”. È un’analisi condivisibile?
“Solo un pezzettino. Rispetto ad altri Paesi abbiamo un’economia più complessa e diversificata. Non volendo o non potendo crescere di dimensione, abbiamo scelto di puntare sul segmento del lusso e della qualità, che hanno un alto valore aggiunto e sono meno sensibili all’aumento dei prezzi”.
In che senso?
“Se applico un aumento del 25% a un’auto familiare, questo inciderà pesantemente sulla domanda. Se vendo una Ferrari o una Lamborghini, che sono beni esclusivi, la domanda sarà meno sensibile. Ma l’analisi di Fitch solleva anche diversi problemi che non possiamo ignorare”.
Quali?
“La dimensione delle nostre imprese, innanzitutto. Ormai si è esaurita la spinta delle grandi famiglie storiche e le nuove imprese iper-specializzate e ad alto valore aggiunto devono consolidarsi. Non solo a livello italiano, ma a livello europeo. Fitch ci sta dicendo che dobbiamo tornare a ragionare sulla produzione, su come sono fatte le fabbriche. L’Europa deve trovare il modo di essere indipendente dagli Usa rispetto alla digitalizzazione e alla decarbonizzazione legata all’energia”.
Ma come possiamo competere con i colossi Usa?
“Facendo i conti su quello che abbiamo già, come i centri di ricerca e i tecnopoli di Bologna, Trieste, Ispra, Bruxelles e Lussemburgo. Anche perché coi tagli alla ricerca imposti da Trump, molti studiosi stanno pensando di lasciare gli Usa. Dobbiamo attirarli, invece che piangerci addosso”.
Tornando a Fitch, non è che alla fine il nostro tessuto produttivo, che ha come spina dorsale le piccole e medie imprese, ci renda più resistenti ai dazi?
“Può darsi benissimo anche questo. In ogni caso dobbiamo sostenere le piccole piccole imprese, che devono poter operare in territori molto strutturati. E bisogna investire in ricerca e formazione, le vere chiavi di svolta”.
I dazi potrebbero favorire la ricerca di nuove rotte commerciali. Quali mercati dovrebbe privilegiare l’Italia?
“Intanto dobbiamo vendere di più in Europa. Poi bisogna puntare su Canada, Messico e Asia: tutte quelle aree che avevano come riferimento gli Stati Uniti. Sono operazioni complesse e serve una struttura operativa europea, ma si possono fare”.
Il ministro Giorgetti ha detto di valutare la possibilità di sospendere il patto di stabilità Ue per fare fronte ai dazi. È una buona idea?
“No, l’Europa deve trovare le soluzuioni possibili, tenendo conto di tutti gli obblighi. Serve un piano dagli orizzonti larghi”.