Da anni i governi non si occupano di parità per le donne ma solo di risposta securitaria

C’è un’immagine che mi viene in mente, ogni volta che, di fronte al fenomeno della violenza contro le donne, si varano nuove misure securitarie. Ed è legata al film I racconti dell’ancella (1990) ispirato al racconto di Margaret Atwood. In una società ferocemente misogina, ad una moltitudine di donne oppresse e segregate, ridotte ad essere […] L'articolo Da anni i governi non si occupano di parità per le donne ma solo di risposta securitaria proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mar 18, 2025 - 14:45
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Da anni i governi non si occupano di parità per le donne ma solo di risposta securitaria

C’è un’immagine che mi viene in mente, ogni volta che, di fronte al fenomeno della violenza contro le donne, si varano nuove misure securitarie. Ed è legata al film I racconti dell’ancella (1990) ispirato al racconto di Margaret Atwood. In una società ferocemente misogina, ad una moltitudine di donne oppresse e segregate, ridotte ad essere fattrici – o chiuse nei bordelli – viene consegnato uno stupratore e queste, lo fanno letteralmente a pezzi. Tutto avviene secondo un rituale che si ripete periodicamente. Le ancelle dopo aver sfogato la furia per l’oppressione di cui sono fatte oggetto, tornano silenti alla loro schiavitù. Fino alla successiva catarsi.

La consegna dello stupratore come un capro espiatorio non sovverte l’ordine stabilito nella società di Galead ma aiuta a perpetuarlo tamponando la fame di giustizia delle ancelle.

L’annuncio dell’introduzione del reato penale del femminicidio è arrivato in occasione dell’8 marzo, nella Giornata Internazionale della Donna, come fosse una sorta di pacchetto regalo proprio mentre venivano divulgati i dati di Istat e Cnel o altre ricerche come quella Sesso e potere che hanno rilevato persistenti disparità tra uomini e donne che da almeno vent’anni non sono contrastate da nessun intervento politico efficace.

Le donne continuano ad essere precarie, colpite dalla disoccupazione, più povere; le madri lavoratrici non di rado, sono messe nella condizione di dipendere economicamente dal partner. Il report sulla Piramide dell’odio ha rilevato che le donne sono ancora al primo posto per insulti e aggressioni verbali che le deumanizzano e le degradano sessualmente sui social. È un odio che tracima e legittima la subalternità delle donne e delle violenze che le colpiscono.

L’inasprimento delle pene può arginarlo? Le ricerche nazionali e internazionali sulla repressione di fenomeni criminali ne confutano da tempo l’efficacia.

La cultura del femminicidio è profondamente normalizzata. I settanta stupratori di Gisèle Pelicot non erano mostri ma uomini ben inseriti nella società, convinti che bastasse il permesso del marito per disporre del corpo di una donna inerte. Un cambiamento radicale richiede tempo e non può prescindere dai progetti sociali e dagli interventi educativi nelle scuole o dedicando risorse economiche al welfare, che invece continua a subire tagli come la Sanità e l’Istruzione.

Il femminicidio si previene anche sottraendo le donne alla vulnerabilità e al ricatto economico ma il diritto del lavoro è stato smantellato. I salari bassi, il precariato, rendono sempre più difficili i percorsi di uscita dalla violenza delle donne, nei centri antiviolenza lo tocchiamo con mano ogni giorno. E’ questo il contesto sociale in cui su inserisce il ddl sul reato di femminicidio che sanzionerebbe con l’ergastolo l’uccisione di una donna per motivi di odio. Ma il femminicidio non è solo l’uccisione di una donna da parte del partner.

Marcela Lagarde con una definizione sociologica straordinaria, indicò con parola femminicidio ‘’tutte le forme di discriminazione e violenza che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà non soltanto fisicamente’’. L’antropologa messicana superò il riferimento all’uccisione di una donna e indicò tra le cause del femminicidio anche ‘’le condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato’’ e che “ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.

Uno Stato che limita l’accesso all’aborto, espone le donne al rischio femminicidio. Le testimonianze e le denunce sulle violenze subite dalle donne, nei reparti di ivg, da parte degli obiettori di coscienza, hanno ricevuto la risposta dal governo Meloni: l’inserimento nei consultori di associazioni pro life per “tutelare la maternità”.

Il ddl sul femminicidio sostituisce, con le risposte securitarie a costo zero, il perseguimento di politiche che incidano fortemente sulle asimmetrie tra uomini. Da oltre vent’anni anni, tutti i governi che si sono succeduti, sia di centro destra che di centro sinistra, hanno disertato politiche contro la disparità concentrandosi sulla facile risposta penale.

Poi è arrivato il governo Meloni che guarda alle autocrazie che stanno cancellando i diritti delle donne e di altri soggetti, come a un modello di riferimento. Quale significato può assumere questo “atto simbolico” proposto da un governo che risponde solo con la repressione ai problemi sociali e certamente non vuole i cambiamenti chiesti dal movimento delle donne? Nei giorni scorsi, Milli Virgilio, presidente dell’associazione nazionale GIUdIT – Giuriste d’Italia – ha definito questo ddl una polpetta avvelenata. Non credo che abbia torto.

@nadiesdaa

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