“Così prepariamo la classe dirigente del futuro”: colloquio con Marcello Presicci, co-fondatore della scuola politica Vivere nella Comunità

Anche l’Italia ha la sua Ena (l’École nationale d’administration francese che dal 2022 ha assunto la denominazione di Insp, ovvero Institut national du service public). È una Scuola politica, fondata nel 2018, che deve il suo nome, Vivere nella Comunità, al professor Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale e ministro per la Funzione pubblica […]

Feb 20, 2025 - 18:14
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“Così prepariamo la classe dirigente del futuro”: colloquio con Marcello Presicci, co-fondatore della scuola politica Vivere nella Comunità

Anche l’Italia ha la sua Ena (l’École nationale d’administration francese che dal 2022 ha assunto la denominazione di Insp, ovvero Institut national du service public). È una Scuola politica, fondata nel 2018, che deve il suo nome, Vivere nella Comunità, al professor Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale e ministro per la Funzione pubblica nel Governo Ciampi tra il 1993 e il 1994: l’obiettivo, come per l’Ena, è formare la nuova classe dirigente (politica e non) del nostro Paese. Un compito importante e decisivo per provare a dare una svolta al futuro dell’Italia in diversi campi. «Vogliamo aiutare i nostri giovani ad avere una formazione completa e strutturata in vari ambiti, non solo nel loro perimetro formativo di specializzazione universitario», spiega a TPI il segretario generale e co-fondatore Marcello Presicci. 

Professore, qual è l’obiettivo della Scuola politica Vivere nella Comunità?
«La Scuola è nata nel 2018 con lo scopo di rafforzare le competenze della futura classe dirigente e dei manager che lavoreranno non solo nel campo politico/istituzionale, ma soprattutto nel settore pubblico e privato. Preciso che non si tratta di un’operazione di business dal momento che i partecipanti prendono parte alla Scuola in maniera del tutto gratuita grazie al sostegno delle imprese che supportano l’iniziativa (tra cui CDP, Ferrovie dello Stato, Intesa Sanpaolo, A2A, IREN, ANIA, ACEA). La ragione per cui abbiamo creato la Scuola politica Vivere nella Comunità è semplice: vogliamo aiutare i nostri giovani ad avere una formazione completa e strutturata in vari ambiti, non solo nel loro perimetro formativo di specializzazione universitario. Desideriamo supportarli nell’elaborazione di nuove logiche di pensiero poiché siamo convinti che una classe dirigente preparata possa governare meglio i processi e le scelte strategiche per il nostro Paese, al di là delle ideologie e dei colori politici. Quello su cui ci concentriamo è la costruzione di un nuovo nucleo di civil servant che desiderino aiutare il nostro Paese a crescere. È un progetto unico e inedito in Italia ed è totalmente al servizio della comunità». 

Quali sono le competenze che deve avere un leader politico?
«Ne cito cinque: il coraggio, l’umiltà, la pazienza, l’equanimità, il realismo. La leadership politica è tale quando genera cambiamento e indica una visione verso cui muoversi. Non si riduce a buona gestione come nelle tecnocrazie, ma si impegna per generare un impatto quanto più favorevole alla comunità». 

Perché ci sono così pochi leader politici in Italia e non solo?
«Negli ultimi venti anni le condizioni favorevoli all’affermazione del populismo in Europa sono state create dalla congiunzione di due processi: la crisi dei partiti di massa e il passaggio dalla “democrazia dei partiti” alla “democrazia del pubblico”. Successivamente gli effetti della globalizzazione hanno provocato rapidi cambiamenti in tutti i contesti nazionali, creando nuovi problemi e nuove fratture sociali, difficili da gestire per i partiti tradizionali. Quest’ultimi quindi non hanno formato e individuato figure all’altezza della situazione. Oggi quindi paghiamo il prezzo dell’assenza di leader a tutti i livelli, ovviamente con qualche statistica eccezione positiva». 

C’è un problema di classe dirigente, non solo politica, in Italia? E in Europa?
«Vi è certamente un problema connesso alla qualità della classe dirigente in Italia e in Europa. Il progetto che i grandi “padri fondatori” elaborarono, ad esempio per l’Europa, ha subìto una sorte al ribasso. Quella che doveva diventare una eccezionale unione tra gli Stati del continente, via via anche politica, si è ridotta alla creazione di un mercato senza dazi e alla retorica presentazione di un’unione che in realtà è molto disomogenea. Ciò per colpa della scarsa qualità politica della classe dirigente europea ad iniziare dall’attuale presidente della Commissione europea. Purtroppo non solo i vertici di questa Commissione europea hanno scarse capacità politiche (ad eccezione del nostro vicepresidente, Fitto), ma anche i rappresentanti dei Paesi europei non brillano per le loro doti politiche e gestionali. Basta analizzare i terribili errori compiuti recentemente sul terreno delle politiche energetiche e del comparto industriale». 

Quali sono i più grandi leader della storia da cui un giovane dovrebbe prendere esempio?
«Negli anni del dopoguerra ci furono politici italiani di grande levatura. Nella sfera politica citerei certamente Alcide De Gasperi e Aldo Moro. In quella religiosa Joseph Ratzinger e Madre Teresa. In quella politica americana John F. Kennedy e George Washington». 

Con la vostra Scuola preparate la nuova classe dirigente, non solo politica. Cosa cercano le grandi aziende oggi? Di quali competenze hanno bisogno?
«Grazie al mio lavoro di Senior Advisor per le relazioni istituzionali ho la fortuna di dialogare quotidianamente con le figure apicali di molte grandi aziende italiane e internazionali. Osservo ultimamente come le aziende stiano ricalibrando e ripensando il proprio modello di leadership. Credo che una cultura aziendale sana e orientata alle performance sia legata ormai a doppio filo alle competenze soft di “servant leadership” quali: intelligenza emotiva, gentilezza, comunicazione efficace, lavoro di gruppo e capacità di ascolto. Il problema oggi sono le élite, le classi dirigenti. Latitano statisti e leader». 

Quali sono i professori della vostra Scuola? Ci può fare qualche nome?
«La faculty che compone la nostra Scuola è assolutamente prestigiosa. Possiamo annoverare alcune tra le migliori menti e manager del nostro Paese come: Carlo Messina, Paolo Boccardelli, Giuliano Amato, Sabino Cassese, Francesco Profumo, Stefano Lucchini, Bernardo Giorgio Mattarella, Roberto Diacetti, Marta Cartabia, Andrea Sironi, Magda Bianco, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Renato Loiero, Massimo Lapucci e molti altri. Proprio grazie alla presenza del presidente Paolo Boccardelli e del vicepresidente Massimo Lapucci, la Scuola Politica ha aumentato la sua importanza, la sua autorevolezza e la sua reputazione». 

Quanto dura il corso della scuola?
«La durata del percorso multidisciplinare è di sei mesi. Da novembre ad aprile». 

Chi vi può accedere e come?
«Può accedere chiunque non abbia ancora completato il 40esimo anno d’età e sia laureato. Basta inviare domanda di partecipazione e compilare il bando che è presente sul sito della Scuola (www.scuolapoliticanuovomillennio.it)». 

Per un leader politico è fondamentale la comunicazione, il saper parlare agli elettori. Questa capacità si impara? Se sì, come?
«Come giornalista professionista prima e come docente poi, mi occupo di aspetti connessi alla comunicazione da vent’anni. Come è noto, la politica è l’arte di governare, di rappresentare le istituzioni perseguendo gli interessi e i valori della popolazione nel suo complesso. La politica è anche lo scontro dialettico tra opposte ideologie, visioni del mondo, programmi. È indubbio però che, ad una dimensione amministrativa e programmatica, si affianchi almeno una terza dimensione della politica: quella comunicativa. Nel rapporto tra sistema politico, mass media ed elettori, e tra razionalità ed emotività, risiede l’importanza della comunicazione nello scenario politico attuale. In primis, è necessario per il leader o aspirante tale comunicare in modo convincente ed esaustivo, sfruttando le modalità online ed offline. In secondo luogo, è necessario per il candidato o politico eletto carpire le emozioni e i sentimenti del proprio elettorato, trasmettendo empatia alla comunità politica che si ambisce a rappresentare. Sono doti che possono essere affinate nel tempo ma che certamente fanno parte delle peculiarità personali di un leader». 

Quali sfide attendono oggi la classe dirigente del nostro Paese (politica e non)?
«Nei prossimi dieci anni l’Italia e l’Europa dovranno affrontare una serie di sfide complesse e interconnesse, che richiederanno risposte politiche, economico-sociali ed innovative. Primo: demografia e invecchiamento della popolazione. Secondo: transizione energetica e transizione digitale. Terzo: sostenibilità del welfare e riforma del mercato del lavoro. Sono sfide enormi che dovranno essere affrontate con nuovi leader e con una classe dirigente all’altezza di questo compito. Purtroppo, come abbiamo già sottolineato, l’attuale non è delle migliori se paragonata a quella dei decenni scorsi». 

Che consiglio darebbe a una persona che aspira a diventare un leader politico o un dirigente d’azienda?
«Posso riportare quelli che sono i suggerimenti utili che spesso condivido con i miei studenti. Uno dei consigli primari è quello di investire molto nel networking sapiente, nella costruzione cioè di una rete relazionale trasversale di valore. Essere sempre pronti poi all’ascolto attivo del prossimo e infine di essere “ambasciatori della gentilezza”. Un leader gentile è in grado di affrontare i conflitti in modo empatico, mantenendo il focus sulla risoluzione piuttosto che sull’accusa; per questo essere gentili non significa evitare il confronto, ma affrontarlo con rispetto, facilitando il dialogo e creando un ambiente in cui i conflitti possono essere gestiti in maniera costruttiva e propositiva. Vi sono poi le capacità relazionali e comunicative, determinanti in qualsiasi settore, pubblico o privato. Occorre poi coltivare una propensione specifica, il “lifelong learning”, ossia l’apprendimento costante nel tempo atto ad incrementare il proprio spettro di competenze. Infine eliminare la cultura dell’errore e della colpa, poiché il fallimento è parte centrale della crescita di un individuo e di un leader». 

Lei, oltre che co-fondatore della Scuola politica Vivere nella Comunità, è presidente del board della Fondazione Educazione Finanziaria e Risparmio dell’Abi e presidente del board della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Quanto sono importanti l’economia e la finanza al giorno d’oggi?
«Molto. E lo saranno sempre di più. Personalmente in ogni incarico che ricopro vi è una connessione stabile con il settore finanziario in virtù dell’importanza dell’economia in vari settori, come quello politico, culturale o artistico. Credo sia presente un fil rouge dietro tutte le questioni economiche centrali nella discussione pubblica: dall’austerità all’inflazione, dalla disoccupazione alla crescita, dalla concorrenza al debito fino – ad esempio – alla tassazione nel mercato dell’arte. La conoscenza del settore finanziario è il primo passo per comprendere al meglio ad esempio la geopolitica e la geoeconomia, due sfere di consapevolezza assolutamente imprescindibili per i futuri leader».