Come è cambiato l’outlook Usa dopo 100 giorni di presidenza Trump
Il 2 aprile scorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha nuovamente scosso i mercati globali annunciando dazi commerciali molto elevati, motivati dal desiderio di colpire il deficit commerciale americano. Un’iniziativa che ha sorpreso molti analisti e che lo stesso presidente ha definito “Liberation Day”. Ma l’effetto è stato tutt’altro che liberatorio per gli... Leggi tutto

Il 2 aprile scorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha nuovamente scosso i mercati globali annunciando dazi commerciali molto elevati, motivati dal desiderio di colpire il deficit commerciale americano. Un’iniziativa che ha sorpreso molti analisti e che lo stesso presidente ha definito “Liberation Day”. Ma l’effetto è stato tutt’altro che liberatorio per gli economisti e gli investitori, che hanno immediatamente rivisto al ribasso le prospettive economiche per gli Stati Uniti, evocando scenari di recessione.
«Il colpo per l’economia americana è stato forte», afferma Tim Drayson, Head of Economics di Legal & General (L&G). «La misura ha infranto le aspettative di un approccio più moderato e ha messo in dubbio l’intenzione degli Stati Uniti di attenuare le accuse di pratiche commerciali scorrette».
A seguito delle forti pressioni esercitate dai mercati, Trump ha parzialmente fatto marcia indietro, sospendendo l’entrata in vigore dei dazi per 90 giorni. Tuttavia, secondo Drayson, questa pausa non è sufficiente per rassicurare investitori e partner commerciali: «Il 10% “universale” rimane in vigore, insieme ad altri dazi, e le imposte sull’import cinese hanno raggiunto il 145%. Questo ripensamento ha solo evitato una crisi più profonda, ma non ha scongiurato la possibilità di una recessione».
L’incertezza, infatti, resta alta. La finestra negoziale di tre mesi appare più come una tregua temporanea che una reale apertura al dialogo. «Più si prolunga l’attesa per un accordo, più la volatilità aumenterà», avverte Drayson, sottolineando che i mercati non possono operare in condizioni di ambiguità e instabilità politica.
Il quadro che si delinea è quello di un’economia colpita da uno “shock dell’offerta”, come lo definisce Drayson. «Gli Stati Uniti sono stati investiti da un cambiamento improvviso e sfavorevole nelle condizioni di produzione e scambio, causato da una politica commerciale imprevedibile. Questo non solo getta un’ombra sul futuro, ma rende potenzialmente ogni nazione un bersaglio dei dazi americani».
Le conseguenze si vedono già nelle decisioni delle imprese, che sospendono investimenti e piani di espansione, temendo ulteriori ondate protezionistiche. «La fiducia sta già iniziando a sgretolarsi, come mostrano gli ultimi sondaggi», commenta l’economista di L&G, che avverte: «Anche se non vedremo segnali di deterioramento economico immediati, non bisognerà illudersi che il pericolo sia passato».
Secondo Drayson, Trump resta attento all’umore dei mercati e dell’elettorato. Potrebbe quindi mitigare la sua linea se i sondaggi dovessero indicare un’opinione pubblica contraria ai dazi. «Non è da escludere che si torni a rapporti più distesi con Paesi come Messico e Canada e che si punti su accordi bilaterali meno aggressivi», osserva.
Un’altra possibile reazione potrebbe essere una nuova riduzione delle tasse, ma Drayson rimane scettico: «Qualsiasi supporto fiscale in questa fase avrebbe un impatto limitato. E con l’obiettivo di rilanciare il manifatturiero, è probabile che i dazi si manterranno tra il 15% e il 20% fino alla fine dell’anno».
Le tensioni commerciali potrebbero anche scatenare ritorsioni. «Non solo da parte dei governi, ma anche dai consumatori», spiega Drayson. «In Canada, per esempio, l’atteggiamento anti-americano ha ribaltato le elezioni a favore dei liberali, e il turismo verso gli Stati Uniti è crollato».
Anche se un compromesso dovesse essere raggiunto, l’impatto di queste settimane di tensione si farà sentire a lungo. Come conclude Drayson, «qualunque sia l’esito dei negoziati, i danni in termini di incertezza e volatilità sono ormai fatti e continueranno a pesare sull’economia americana».