Clienti su, ricavi giù La scommessa di Tim invertire il mercato

Un’impresa può perdere un terzo del fatturato mentre la domanda dei suoi servizi decuplica? Sì, se lavora nell’industria delle telecomunicazioni. Nell’ultimo decennio l’avvento dei social network, della digitalizzazione, dello streaming e ora dell’intelligenza artificiale ha portato a un aumento del traffico dati del mille per cento in Europa, e anche di più in Italia. Le […] L'articolo Clienti su, ricavi giù La scommessa di Tim invertire il mercato proviene da Iusletter.

Apr 7, 2025 - 16:20
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Clienti su, ricavi giù La scommessa di Tim invertire il mercato

Un’impresa può perdere un terzo del fatturato mentre la domanda dei suoi servizi decuplica? Sì, se lavora nell’industria delle telecomunicazioni. Nell’ultimo decennio l’avvento dei social network, della digitalizzazione, dello streaming e ora dell’intelligenza artificiale ha portato a un aumento del traffico dati del mille per cento in Europa, e anche di più in Italia. Le aziende che hanno reso possibile questo boom però non ne hanno beneficiato, benché abbiano avviato enormi investimenti per sostenerlo. Fra il 2010 e il 2023 i ricavi degli operatori italiani sono diminuiti del 35%, con un crollo della telefonia mobile (-47%). Riuscirà Poste Italiane, neo-azionista di maggioranza di Tim, a risolvere il paradosso delle telecomunicazioni?

«Il contesto di mercato è drammatico — osserva Marco Grieco, responsabile Consumer, Telco e Technology per il Sud Est Europa di Oliver Wyman — . Negli ultimi dieci anni c’è stato un calo vertiginoso non soltanto dei margini di profitto ma anche dei ricavi, malgrado il lancio di nuovi prodotti come 4G, 5G e fibra». Sono due le ragioni principali della crisi delle telco europee e, soprattutto, italiane. «Il crollo è dovuto a due fattori che, nell’insieme, hanno spinto le compagnie a competere soprattutto, se non solo, sul prezzo — ragiona Grieco —. Da un lato, il passaggio da modelli a consumo a modelli a pacchetto, con dati e minuti illimitati, ha reso sostanzialmente indistinti e interscambiabili le offerte; dall’altro, i regolatori hanno imposto la convivenza di molti operatori sul mercato, impedendo il consolidamento».Il rilancio

La prima leva per il rilancio è quindi la distinzione dell’offerta e, in questo, l’asse Poste-Tim potrebbe aiutare. La prima compagnia telefonica del Paese stava già lavorando su quella che l’admministratore delegato Pietro Labriola ha definito una customer platform: un ecosistema che, partendo dalla connettività, abbracci l’energia, l’intrattenimento e altri prodotti ancillari. La strategia mira a differenziare l’offerta di Tim dai concorrenti e far sì che la società diventi il punto di riferimento per più servizi in modo da rafforzare la relazione con i clienti e ridurre il peso del prezzo nelle loro scelte. Poste consentirà di accelerare, e di molto, questo piano. Da mero attore delle spedizioni, infatti, negli ultimi anni il gruppo si è trasformato in un conglomerato che spazia dalle assicurazioni ai pagamenti, passando per la gestione del risparmio. Tutti settori in cui sono immaginabili collaborazioni con Tim che, d’altra parte, con i suoi servizi di connettività potrebbe potenziare la super-app di Poste, come l’ha definita l’ad Matteo Del Fante. «Le compagnie italiane stanno cercando di arricchire e differenziare l’offerta, proponendo servizi energetici e assicurativi in abbinamento alla tradizionale telefonia», nota Grieco e anticipa: «Il prossimo passo potrebbe andare verso i media. Sinora gli operatori si sono limitati a stringere accordi di distribuzione con produttori di contenuti come le piattaforme streaming. In futuro, però, non escludo che queste collaborazioni possano evolvere in partecipazioni azionarie di società di telecomunicazione in gruppi media. O viceversa».

La riparazione del mercato della telefonia italiano richiede però anzitutto di affrontare il secondo motivo del suo crollo: l’eccesso di concorrenza nelle linee fisse e mobili. Quattro operatori infrastrutturati e una miriade di operatori virtuali si affollano in un mercato dove il numero di clienti è stabile da anni e dove la gara si gioca sul massimo ribasso.

Non a caso, nell’annunciare la salita al 24,8% di Tim, Poste ha sottolineato anche la volontà di «promuovere il consolidamento» dell’industria delle telecomunicazioni italiana. Iliad è indicato da tutti come il principale indiziato a prendere parte a questo sforzo.

Il gruppo francese ha del resto già provato a muovere nel risiko delle tlc. In passato ha tentato di comprare per due volte Vodafone Italia, finendo poi scavalcata dall’offerta di Fastweb. Qualche settimana fa, poi, si è avvicinato a Tim, proponendo anche al governo un piano di aggregazione con l’ex monopolista con il sostegno del fondo Cvc. Stando alle ricostruzioni circolate a inizio febbraio, conferendo le proprie attività italiane in Tim, Iliad mirava a ottenere circa il 35% del capitale del gruppo.

Quel progetto non è tramontato con l’ingresso di Poste, almeno per quanto riguarda Iliad; ma certo andrà ripensato nei suoi aspetti finanziari e industriali alla luce del nuovo assetto azionario di Tim. Da un lato, infatti, difficilmente Iliad potrà ambire a prendere il controllo o la quota di maggioranza relativa di Tim, scalzando Poste. Dall’altro, il gruppo fondato da Xavier Niel non ha mai venduto per uscire da un mercato europeo e, quindi, altrettanto difficilmente accetterà un ruolo di comprimario nell’operazione.

La quadra potrebbe, forse, trovarsi in un riassetto normativo. Secondo indiscrezioni, il governo sta valutando di alzare dal 25 al 30% la soglia oltre la quale scatta per un socio l’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto sull’intero capitale. Se approvata, una simile modifica permetterebbe a Poste di aumentare la propria partecipazione, aumentando le opzioni e il margine di negoziato al tavolo di un’eventuale trattativa con Iliad.

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