Cesare Cremonini, i Lùnapop e lo streaming: «Oggi si conta quanto un disco viene cliccato, non ascoltato»
Il cantautore parla del suo tour negli stadi e degli incontri con Vasco Rossi a Bologna: «Mi ha detto che camminare è importante» L'articolo Cesare Cremonini, i Lùnapop e lo streaming: «Oggi si conta quanto un disco viene cliccato, non ascoltato» proviene da Open.

Cesare Cremonini non si sente in credito con la fortuna. «Ho sofferto, ho lottato e ho vissuto per questo. E la ricetta per farcela l’ho scoperta cammin facendo. I numeri di oggi per me rappresentano quella campanella dell’intervallo della scuola che ti chiama verso il cortile, a giocare. Ad assaporare le cose. È questo ciò di cui ho più bisogno ora», dice oggi in un’intervista al Corriere della Sera. Il suo ultimo album, Alaska Baby, ha venduto molto e ora prepara un tour negli stadi per la prossima estate.
Gli incontri con Vasco Rossi
«Quando c’è il sole scendo a piedi a Bologna, che mi abbraccia e mi protegge come un figlio. L’ultima volta in cui ci sono andato ho incontrato Vasco Rossi sotto ai portici. “Camminare è importantissimo”, mi ha detto. L’ho abbracciato forte. Cammino molto anche io», dice a Walter Veltroni. A cui racconta: «Roberto De Luca, presidente di Live Nation, venne a vedermi quando ormai pensavo di non farcela. Mi disse: “Sei il più bravo che abbiamo sul palco, iniziamo da qui.” Era il 2010, avevo già trent’anni, ma decisi di tentare».
Della sua infanzia dice: «Sono cresciuto nella bolla familiare di un padre già anziano mentre ero bambino, una madre molto più giovane di lui e un fratello maggiore con cui ho condiviso tutto. Durante le notti in cui dormivamo ancora nella stessa stanza mi chiamava. “Ce’, vieni qui”. Io mi infilavo sotto le sue coperte restando sveglio a sbirciare, da un lembo del lenzuolo rialzato, il buio intorno a noi. Una parte della mia fantasia si è accesa sotto quelle coperte legandosi al silenzio della notte».
L’attenzione del pubblico
E ancora: «Io non vivo per ricevere l’attenzione del pubblico, ma la cerco costantemente, perché so che solo lui può completare il ciclo di una mia opera e anche della mia vita. La mia carriera insegna che il pubblico non ascolta solo con le orecchie, lo fa sempre anche con gli occhi. Comprende, vede l’invisibile e sa proteggerti. La musica fa lo stesso con l’amore. Le storie possono finire ma le canzoni testimoniano i luoghi visitati insieme».
Ha cominciato a scrivere canzoni a 11 anni: «Iniziai a scriverle in una lingua tutta mia, usando i suoni più che le parole. Mia madre si infuriava perché le registravo sopra i nastri che mio padre usava per i suoi convegni medici, disegnando a mano le copertine. Ma a tredici anni dissi ai miei compagni di scuola, con cui avevo messo in piedi una band, che pensavo fosse ridicolo non cantare in italiano. Volevo diventare un cantante come lo erano i miei miti: Lucio Battisti, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Vasco Rossi, e Lorenzo, che è stato centrale per la mia generazione».
Vorrei
La prima canzone che lo fece sentire bravo, racconta, «nacque, nota per nota, su un pentagramma di fantasia immaginato sul soffitto, come ne “La regina degli scacchi”. Si chiamava “Vorrei”. Ero a Maratea, luogo di luci e di spettri della mia infanzia. Quella forma verbale, il condizionale usato in amore, era una parola gentile. “Vorrei” al posto di “Voglio”». Poi parla di Jovanotti, che fu il primo ad aprirgli una porta con “Mondo” nel 2010: «Mi disse: “Gli stadi un giorno saranno il tuo terreno di gioco”. Oggi ho la grande fortuna di poter creare progetti con una visione molto più larga. Non faccio solo musica, cerco sempre di fare qualcosa anche per la musica».
Lo streaming
Sulla vendite, dice che «Chi si vanta di copie vendute oggi non ha capito come funziona. Ho iniziato a fare musica con i CD, ho vissuto l’epoca del digitale e ora sono nella stagione dello streaming. Le certificazioni oggi riempiono le casse della discografia ma sono svuotate di significato, perché non raccontano più quante persone ascoltano un disco, ma quante volte viene cliccato. La musica senza materia si è trasformata nella slot machine dell’industria».
I Lùnapop
Poi parla dei Lùnapop: «Arrivammo dal basso da indipendenti, attraverso le radio fino in cima, facendo venire i capelli bianchi ai capi della discografia che si chiedevano: “Da dove arrivano questi?”. Ma anche quella separazione non avvenne per caso. Mi tagliai i capelli rossi e partii per un lungo viaggio tra l’Argentina e New York. Mi misi alla ricerca di Bob Dylan, iniziai a leggere Pasolini e a studiare Gaber, mi innamorai del cinema e dei libri. Quando bussai alla porta di casa ero malconcio, vestito con dei jeans stracciati, una t-shirt bucata e una giacca dylaniana da freddo americano e da geloni. Avevo un quaderno con me in cui c’erano le canzoni di “Maggese”, che fu d’ispirazione per tanti giovani artisti nati qualche anno più tardi».
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