Banca Mediolanum, pronti al deep impact
Stefano Volpato, direttore commerciale di Banca Mediolanum, è un ottimista per natura. Ma ciò non gli impedisce di essere realista e lui non rimane certo indifferente di fronte alla fotografia che un rinomato istituto di ricerca come il Censis scatta puntualmente ogni anno sulla situazione del nostro Paese. Nel rapporto del 2023 del Censis si... Leggi tutto

Stefano Volpato, direttore commerciale di Banca Mediolanum, è un ottimista per natura. Ma ciò non gli impedisce di essere realista e lui non rimane certo indifferente di fronte alla fotografia che un rinomato istituto di ricerca come il Censis scatta puntualmente ogni anno sulla situazione del nostro Paese. Nel rapporto del 2023 del Censis si parlava di “italiani sonnambuli”. In quello pubblicato nel 2024, i nostri connazionali vengono invece descritti come intrappolati nella “sindrome della medietà”. Cosa significa tutto ciò? E cosa comporta per chi esercita il mestiere del consulente finanziario? Per Volpato, che dirige una grande rete nazionale con migliaia di Family Banker, occorre non perdere più tempo e guardare con consapevolezza a cosa ci aspetta nei decenni a venire. Se non comprendiamo bene le conseguenze dei cambiamenti demografici e sociali in atto da tempo in Italia, rischiamo di trovarci di fronte a un Deep Impact, cioè a conseguenze traumatiche a livello economico e sociale, che riportano alla memoria l’asteroide che minacciava la Terra in un famoso film di Steven Spielberg, con protagonista Morgan Freeman. Ovviamente si tratta di una metafora ma, secondo il direttore commerciale di Banca Mediolanum, i consulenti finanziari si trovano di fronte a una sfida impegnativa. Devono aiutare i loro clienti a identificare questo deep impact e a prepararsi a gestirlo prima che avvenga, adottando i giusti comportamenti senza rimanere spensierati a ballare sul Titanic, non vedendo l’iceberg all’orizzonte. “È vero che molti cambiamenti nella nostra società sono striscianti, perché lenti e silenziosi, al contrario dell’asteroide del film”, dice Volpato, “ma, proprio per questa impercettibilità, le conseguenze di questi cambiamenti vanno comprese già oggi, prima che sia troppo tardi”.
Insomma, è venuto il momento di suonare l’allarme?
Guardi, a dare l’allarme non sono io ma le statistiche sulla società italiana. Le nascite calano, la quota di giovani nella popolazione decresce e aumentano le famiglie composte da un solo componente. A questi dati, ne possiamo aggiungere altri che sono diretta conseguenza dei primi. Il welfare pubblico fa fatica a rimanere sostenibile. Già oggi siamo il Paese europeo con la maggior quota di spese per la salute pagate dai cittadini privatamente, nonostante il nostro sistema sanitario offra una copertura universale. Per quanto riguarda le pensioni, poi, c’è un altro trend ben conosciuto: nei decenni a venire, gli assegni dell’Inps saranno ben inferiori agli stipendi: in media attorno al 65% delle ultime retribuzioni per i lavoratori dipendenti e all’incirca del 45% per gli autonomi.
Dunque?
Ecco che qui entrano in gioco le sfide di fronte alle quali si trovano i consulenti finanziari. In Italia c’è ancora una montagna di liquidità, quasi 1.600 miliardi di euro che restano depositati sui conti correnti senza essere investiti. È un numero che riassume tutta la carenza di cultura finanziaria che c’è nel nostro Paese. Sono risparmi che restano fermi e che non sono impiegati né per realizzare al meglio i progetti di vita delle persone, né per affrontare quegli eventi che certamente si manifesteranno o che possono renderci fragili. Poco tempo fa ho incontrato un mio collaboratore che non vedevo da tempo. Gli ho chiesto come stava e mi ha parlato della sua famiglia: sia lui che la moglie hanno dover gestire queste situazioni, pur dovendosi ancora occupare del lavoro o dei figli. Per questo dico spesso che i consulenti finanziari hanno anche una funzione sociale. Il loro compito è sì gestire i risparmi delle famiglie, ma anche adoperarsi perché le persone mantengano la propria dignità anche nel momento topico della loro vita, l’autonomia finanziaria dai propri cari, la serenità nell’ultimo tratto del loro cammino, condizioni che possono diventare gravissime senza un percorso che porta verso l’efficienza del risparmio.
In che senso?
Mi spiego meglio con qualche esempio. Oggi la ricchezza degli italiani, tra immobili e attività finanziarie, vale circa 11mila miliardi. Sa quanto varrebbe se fosse stata investita nei decenni scorsi con le stesse modalità di come investe il fondo sovrano norvegese?
Quanto?
Più o meno 29mila miliardi di euro, cioè quasi il triplo. Ho fatto questo esempio perché il fondo sovrano norvegese segue delle strategie molto semplici e basiche ma ha una caratteristica importante: ha una funzione sociale, ha lo scopo di creare ricchezza a favore delle generazioni future. Investe nell’economia reale guardando al medio e lungo periodo. Da qui mi collego a un altro esempio che voglio fare, citando dei dati che parlano da soli.
Quali dati?
Prendiamo l’ultimo trentennio: per contrastare l’erosione inflattiva e avere lo stesso potere di acquisto che avrebbero avuto 100 euro 30 anni fa, oggi dovremmo detenere una somma di 188 euro. Ebbene, chi allora ha investito l’equivalente di 100 euro in obbligazioni oggi si trova mediamente con un capitale che, in termini reali, vale 376 euro, ovvero più di tre volte tanto. Non è poco ma questa cifra non è minimamente paragonabile al capitale che si ritroverebbe chi avesse invece investito nell’economia reale. Una somma di 100 euro destinata allora agli investimenti nell’economia reale oggi avrebbe un valore di oltre 11 volte tanto, pari più o meno a 1.170 euro. Molti italiani non hanno ancora compreso qual è la forza esplosiva di questa forma d’investimento.
Per quale motivo, secondo lei?
C’è un insieme di fattori che hanno determinato questa situazione. In primo luogo, si è perso lo spirito che avevamo nel secondo dopoguerra che ha portato il nostro Paese a diventare una potenza industriale, dopo essere stato ridotto a macerie. Nel 1946, chi si affacciava alla finestra vedeva le conseguenze dei bombardamenti e sapeva bene che soltanto una cosa era possibile fare: rimboccarsi le maniche per costruire un futuro migliore. Oggi siamo un paese benestante ma abbiamo perso, oltre a quello spirito che dovremmo recuperare, anche il virtuosismo del risparmio. Anche per la politica retributiva, la quota di redditi che viene accantonata dalle famiglie si è ridotta al 6,3% circa, mentre una volta eravamo i più grandi risparmiatori del mondo. Nel 2011 gli italiani vantavano una ricchezza finanziaria pro capite quasi pari a quella degli americani, molto superiore a quella di francesi e tedeschi. Nel 2022 la ricchezza finanziaria degli americani è cresciuta del 150%, mentre la nostra solo dell’10,5%. La ragione di questo gap sta proprio nel fatto che gli altri hanno valorizzato meglio il loro patrimonio, investendo nell’azionario e nell’economia reale, senza lasciare il 30% della propria ricchezza parcheggiata sui conti correnti come hanno fatto gli italiani.
Ecco che qui torna in gioco il ruolo dei consulenti finanziari…
Esattamente. Spesso, quando parliamo di finanza comportamentale, ci limitiamo a prendere in considerazione l’atteggiamento dei risparmiatori di fronte alle fasi di volatilità dei mercati. Ma c’è un tema ancora più profondo che riguarda la comprensione del funzionamento dell’essere umano. Per questo dico sempre che chi fa il nostro mestiere deve riuscire a toccare il cuore e le coscienze delle persone. Giustissimo avere le competenze tecniche ma da sole ovviamente non bastano. Bisogna avere la capacità di far vedere al cliente il film della sua vita, fargli cogliere quali saranno le discontinuità nel suo percorso esistenziale e come potrà affrontarle al meglio con il proprio patrimonio. Per fare questo occorre parlare con un linguaggio incisivo, magari meno elegante, ma più semplice ed efficace. Dei cambiamenti demografici e sociali che ho descritto parlano sempre anche i media e le società di ricerca. Ma, se non li facciamo toccare davvero con mano ai nostri clienti, inevitabilmente certi concetti scivolano via senza lasciare il segno.
La consulenza in team sta crescendo. Qual è la vostra posizione?
Oggi ne parlano tutti ma il concetto di lavoro in team Banca Mediolanum lo ha sempre fatto proprio sin dalle origini. Aldilà degli slogan, quando abbiamo costruito la banca attorno al cliente, l’abbiamo costruita anche attorno al Family Banker. Lavorare da soli in questo settore è diventato anacronistico, anche per il complicarsi del contesto socio-economico. A disposizione del Family Banker, quindi, abbiamo messo specialisti del credito, specialisti della protezione, abbiamo creato una direzione wealth management proprio per rispondere a esigenze, che spaziano dalle tematiche fiscali fino alle problematiche societarie e al passaggio generazionale della ricchezza. Senza dimenticare le operazioni di finanza straordinaria della nostra investment banking per i progetti imprenditoriali dei nostri clienti.
Per l’inserimento dei giovani nella rete avete inaugurato da tempo il Programma Next. Come sta andando?
Molto bene. Abbiamo attualmente 586 giovani professionisti già operativi e in formazione, con circa 100 ingressi ogni anno in questo programma. Registriamo una risposta molto soddisfacente dai giovani per i quali prevediamo un percorso finalizzato ad acquisire le competenze tecniche necessarie a un consulente finanziario ma anche doti relazionali ed emotive che sono altrettanto fondamentali per chi fa questo mestiere. La nostra professione sta diventando sempre più attraente perché mette insieme la possibilità di gestire autonomamente il proprio tempo, di lavorare per obiettivi, con una forte valenza etico sociale. Credo che sia l’unica attività che permetta di soddisfare le prospettive di carriera e dia contestualmente la possibilità di essere incisivi nella vita delle persone. Credo insomma che si tratti della giusta risposta alle istanze di centinaia di migliaia di giovani.