Baku Steel, tutti i misteri sugli azeri che puntano all’ex Ilva (quali sono le vere mire?)
I commissari di Acciaierie d'Italia hanno scelto l'offerta migliore per l'ex Ilva: è quella della compagnia azera Baku Steel, che vuole anche installare un rigassificatore a Taranto. Ecco numeri, vertici, dettagli e dubbi su Baku Steel (chi sono gli azionisti?)

I commissari di Acciaierie d’Italia hanno scelto l’offerta migliore per l’ex Ilva: è quella della compagnia azera Baku Steel, che vuole anche installare un rigassificatore a Taranto. Ecco numeri, vertici, dettagli e dubbi su Baku Steel (chi sono gli azionisti?)
Secondo i commissari di Acciaierie d’Italia, la società in amministrazione straordinaria che gestisce l’ex Ilva di Taranto, l’offerta di acquisizione presentata dall’azienda azera Baku Steel è la migliore: hanno perciò chiesto al governo di poter avviare un negoziato formale ed esclusivo con il consorzio formato, oltre che da Baku Steel, anche dalla compagnia di investimento statale Azerbaijan Investment Company.
“La decisione è maturata al termine di un’attenta e approfondita analisi delle offerte di rilancio pervenute”, si legge in un comunicato. “Il processo di selezione ha valutato diversi fattori, tra cui la solidità finanziaria dei candidati, la sostenibilità industriale delle rispettive proposte e i benefici in termini di occupazione e per le comunità locali”.
COSA PREVEDE L’OFFERTA DI BAKU STEEL PER L’EX ILVA
Delle tre offerte ricevute per l’acquisizione di tutti gli asset di Acciaierie d’Italia, quella di Baku Steel era la più alta: 600 milioni di euro per gli impianti più altri 500 milioni per il magazzino.
La proposta azera, inoltre, garantisce circa 7800 occupati, rispetto ai circa diecimila addetti attuali, e la presenza di un altoforno e due forni elettrici (hanno un impatto emissivo minore ma non offrono una produzione altrettanto qualitativa): in prospettiva, l’altoforno verrà chiuso e sostituito con un terzo forno elettrico.
LE ALTRE DUE OFFERTE
Acciaierie d’Italia aveva ricevuto anche un’offerta d’acquisto da parte della società siderurgica indiana Jindal Steel, e un’altra ancora dal fondo d’investimento statunitense Bedrock Industries.
Jindal Steel ha offerto in tutto circa 600 milioni, compresa la valorizzazione del magazzino sui 500 milioni. Bedrock, invece, si è limitata al magazzino, con la parte cash pari a zero.
I PUNTI CRITICI: IL RIGASSIFICATORE A TARANTO E I VOLUMI PRODUTTIVI
Nonostante la somma più alta, l’offerta di Baku Steel è problematica per almeno tre motivi, come spiegato da Startmag.
Il primo è che nel 2024 l’Azerbaigian ha prodotto 350.000 tonnellate di acciaio, stando ai dati di World Steel Association. Nello stesso anno l’ex Ilva ha prodotto circa due milioni di tonnellate, un volume bassissimo per lo stabilimento ma comunque parecchio superiore all’intero output azero. Ci si chiede, dunque, se Baku Steel abbia le capacità industriali ed economiche per rilanciare l’ex Ilva – il precedente proprietario era il colosso indiano-lussemburghese ArcelorMittal, peraltro – e per realizzarne il piano industriale, che punta a una produzione di sei milioni di tonnellate di acciaio entro il 2026.
Il secondo aspetto “critico” della proposta di Baku Steel sta nel fatto che è legata all’installazione di un rigassificatore galleggiante nel porto di Taranto. L’infrastruttura dovrebbe servire a rifornire di combustibile l’acciaieria, per “aggirare” il problema degli alti prezzi dell’energia nel nostro paese. L’Azerbaigian è già uno dei nostri principali fornitori di gas naturale (che attraversa il Trans-Adriatic Pipeline, o Tap) e anche di petrolio greggio. Senza contare che, a seguito del distacco dalla Russia, i rigassificatori per il gas liquefatto sono diventati cruciali per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nazionale.
La proposta di Baku Steel è problematica, infine, per motivi geopolitici: l’Azerbaigian non è uno stato democratico – il presidente, Ilham Aliyev, è al potere dal 2003 – ed è in buoni rapporti politici ed economici con la Russia; Taranto è un’importante postazione militare per la Marina italiana.
COME FUNZIONERÀ LA GOVERNANCE DI ACCIAIERIE D’ITALIA?
Non è chiara la ripartizione del capitale di Acciaierie d’Italia dopo l’eventuale ingresso di Baku Steel. Il Corriere della Sera ha scritto che la compagnia azera potrebbe coinvolgere Jindal Steel con una quota del 10 per cento “per evitare qualsiasi tipo di ricorso”. Anche il governo italiano, attraverso l’agenzia Invitalia, avrebbe una quota del 10 per cento. Infine, dovrebbe esserci la partecipazione del governo azero attraverso la società statale Azerbaijan Investment Company.
La governance della “nuova” Acciaierie d’Italia, insomma, si preannuncia già complessa.
I VERTICI DI BAKU STEEL E IL MISTERO SUGLI AZIONISTI
Baku Steel – si legge sul sito dell’azienda – conta oltre duemila dipendenti e ha una capacità produttiva annua di 800.000 tonnellate di acciaio. I suoi principali mercati di esportazione sono l’Europa, il Medioriente e l’America.
Il direttore generale, dal 2021, è Kamal Ibrahimov.
Formalmente, Baku Steel è una closed joint-stock company (Csjc). Significa che le sue azioni sono detenute da un numero limitato di soggetti e che non possono essere scambiate o trasferite liberamente.