Azione revocatoria dell’atto di scissione societaria e competenza: le Sezioni Unite fanno chiarezza
Cassazione civile, Sezioni Unite, 26/02/2025, n. 5089 Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha risolto il contrasto interpretativo relativo all’individuazione della competenza per materia del giudice con riferimento all’azione revocatoria di un atto di scissione societaria. In particolare, la Corte è stata chiamata a valutare se l’azione revocatoria, esperita […] L'articolo Azione revocatoria dell’atto di scissione societaria e competenza: le Sezioni Unite fanno chiarezza proviene da Iusletter.

Cassazione civile, Sezioni Unite, 26/02/2025, n. 5089
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha risolto il contrasto interpretativo relativo all’individuazione della competenza per materia del giudice con riferimento all’azione revocatoria di un atto di scissione societaria. In particolare, la Corte è stata chiamata a valutare se l’azione revocatoria, esperita ai sensi dell’art. 2901 c.c. e 66 l.f., nei confronti di un atto di scissione societaria sia da ricomprendere nelle cause e procedimenti “relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario”, di cui alla lett. a) del secondo comma dell’art. 3 d.lgs. n. 168 del 2003, per i quali è stabilita la competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa, o se dette domande, non rientrando nell’ambito di applicazione della norma citata, siano soggette alla disciplina ordinaria sul riparto di competenze.
In particolare, sia l’ordinanza della sezione specializzata in materia di impresa che ha richiesto il regolamento di competenza, sia l’ordinanza interlocutoria resa dalla sezione ordinaria hanno preso le distanze dal precedente orientamento della Suprema Corte, secondo cui l’azione revocatoria dell’atto di scissione societaria, diretta alla declaratoria di inopponibilità al creditore del detto negozio, rientra tra le controversie devolute alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, riguardando in via diretta le società coinvolte e, in particolare, i fenomeni modificativi ed estintivi del loro assetto (orientamento espresso, da ultimo, da Cass. civ., 5 febbraio 2020, n. 2754). È stato infatti osservato che l’esperimento dell’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, di un atto di scissione societaria non rimette in discussione l’esistenza, la validità e gli effetti propriamente costitutivi, modificativi e organizzativi direttamente discendenti dal negozio impugnato, ma ha ad oggetto unicamente l’efficacia o inefficacia relativa dell’atto in questione, e quindi la sola sua giuridica opponibilità o inopponibilità al terzo ad esso estraneo. In sostanza, secondo il Giudice proponente l’istanza di regolamento, ciò che rileva è la funzione meramente ripristinatoria della garanzia patrimoniale della società debitrice connaturata all’azione revocatoria, la quale è esperita in vista del soddisfacimento delle ragioni creditorie di un terzo estraneo all’atto di scissione.
Le Sezioni Unite, nel dirimere la questione, hanno anzitutto osservato come il problema della competenza a giudicare dell’azione revocatoria dell’atto di scissione societaria abbia assunto un particolare rilievo, sul piano pratico, all’indomani del noto arresto con cui la Corte ha riconosciuto ammissibile tale azione (Cass. 4 dicembre 2019, n. 31654, poi confermata da Cass. 29 gennaio 2021, n. 2153; Cass. 6 maggio 2021, n. 12047).
Al tema dell’ammissibilità ha infatti fatto seguito la questione della competenza, da valutarsi alla luce della disciplina contenuta nel d.lgs. n. 168 del 2003, per come modificato dal D.L. n. 1 del 2012, convertito in L. n. 27 del 2012. Con tale ultimo intervento, il legislatore ha inteso ampiare la competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale previste dal d.lgs. n. 168 del 2003, al fine di istituire delle vere e proprie sezioni specializzate in materia di impresa, alle quali affidare la trattazione di quelle controversie in cui – tenuto conto dell’elevato tasso tecnico della materia – era maggiormente sentita l’esigenza della specializzazione del giudice. In tale prospettiva, sono state dunque assegnate alla competenza delle sezioni specializzate le cause e i procedimenti che, ai sensi della lett. a) del comma 2 del novellato art. 3, sono “relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché’ contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni di cui agli articoli 2445, terzo comma, 2482, secondo comma, 2447-quater, secondo comma, 2487-ter secondo comma, 2503, secondo comma, 2503-bis, primo comma, e 2506-ter del codice civile”.
La norma modula quindi le competenze avendo riguardo alle “cause” e ai “procedimenti” che sono “relativi ai rapporti societari“. Tale locuzione, precisa la Suprema Corte, ha innegabilmente un significato ampio e deve ritenersi che il legislatore del 2012, al pari di quello del 2003, abbia inteso lasciare all’interprete il compito di meglio circoscrivere quest’elemento della fattispecie normativa.
Nel procedere a una tale opera di delimitazione concettuale, le Sezioni Unite ritengono che il legislatore abbia inteso dunque assegnare alla competenza delle sezioni specializzate i giudizi in cui venisse in questione la società come organizzazione, attribuendo rilievo a quei rapporti che sono alla base della venuta ad esistenza della società, della sua modifica, della sua cessazione e che, nel corso della vita della società concernono i modi di partecipazione dei soci all’operazione stessa. In tal senso, la norma fissa una regola di competenza destinata ad essere operante allorquando la controversia tragga origine dal contratto di società e debba essere regolata secondo la disciplina di questo o secondo le pertinenti prescrizioni normative.
Dal punto di vista soggettivo, inoltre, il tenore dell’art. 3 d.lgs. n. 168/2003 consente di affermare che tali giudizi siano devoluti alla competenza della sezione specializzata anche quanto siano promossi da (o vedano comunque coinvolti) terzi che non siano soci, né soggetti che rivestano la qualifica di organi della società.
La Suprema Corte procede quindi ad esaminare le tipologie di azioni che, secondo i principi precedentemente espressi, sono idonee ad essere devolute alla competenza del Tribunale delle imprese (ad esempio, le diverse forme di opposizione da parte dei creditori sociali e dei possessori di obbligazioni, o le azioni di responsabilità contro gli amministratori, o in ogni caso le controversie che, pur non avendo ad oggetto rapporti societari, interessassero rapporti di rilevanza societaria). Da tale esemplificazione si ricava, ad avviso dei giudici di legittimità, che la competenza del Tribunale delle imprese quanto ai “rapporti societari” può non dipendere tanto dalla tipicità dell’azione esperita, quanto, piuttosto, dalla particolare caratterizzazione giuridica degli atti o dei fatti dell’organizzazione corporativa dedotti a fondamento della domanda; ciò che in questi casi radica la competenza è, in altri termini, la causa petendi dell’azione, che deve in qualche modo essere riconducibile al rapporto societario.
Alla luce di tale tracciato argomentativo, il Collegio ritiene che, nel caso dell’esperimento dell’azione revocatoria della scissione, quel che viene in rilievo, a monte, è il pregiudizio che, per effetto di un negozio produttivo di un effetto traslativo, risentono i creditori della società scissa, i quali si dolgono della diminuzione della garanzia patrimoniale offerta dal debitore.
Ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’azione revocatoria è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale attraverso cui sono resi inefficaci, nei confronti del creditore, gli atti di disposizione del patrimonio posti in essere dal debitore che arrechino pregiudizio alle ragioni del creditore stesso; in pendenza di fallimento l’azione revocatoria è esperibile anche dal curatore a tutela dei crediti della massa, ai sensi degli artt. 66 e 67 l.f. In entrambi i casi, rispetto al riparto della competenza, il potere revocatorio ha una valenza neutra, poiché chi lo esercita non è parte di un rapporto endosocietario; né detto potere incide direttamente sull’organizzazione societaria, al contrario del potere di proporre opposizione ai sensi del combinato disposto degli artt. 2503, 2503-bis e 2506-ter c.c.
Pertanto, anche alla luce degli orientamenti precedentemente espressi dalla Corte in merito ad altre situazioni di competenza ratione materiae e alla natura di trasferimento patrimoniale della scissione societaria (come tale idonea a produrre effetti traslativi, come chiarito da Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2016, n. 23225), i giudici di legittimità osservano che la competenza del Tribunale delle imprese non può basarsi sul ruolo che l’atto di scissione gioca nella partita relativa alla complessiva rimodulazione dell’assetto societario, atteso che la domanda revocatoria ha riguardo alla dimensione traslativa dell’atto (di cui si chiede di neutralizzare gli effetti nei confronti del solo creditore), ma non all’incidenza di esso sull’organizzazione societaria, la quale può certamente essere messa in discussione dal creditore, ma solo attraverso l’apposito rimedio dell’opposizione ex artt. artt. 2506-ter, 2503 e 2503-bis c.c.
Nel caso dell’azione revocatoria il creditore si limita invece a domandare che lo spostamento patrimoniale posto in essere con l’atto di scissione sia dichiarato privo di efficacia nei propri confronti. Alla tipizzazione legale dell’azione revocatoria è dunque concettualmente estranea alcuna attitudine a porre in discussione l’assetto determinato dalla scissione.
Ciò, tuttavia, non basta ad escludere che l’azione revocatoria della scissione societaria possa essere devoluta alla competenza del Tribunale delle Imprese.
Infatti, in base al citato principio per cui detta competenza può ricavarsi, per i rapporti che non sono endosocietari e che coinvolgono i terzi, dalla causa petendi della domanda proposta, risulta decisivo il fatto che a fondamento della domanda revocatoria di cui si discute vi è comunque un atto corporativo, il negozio di scissione, che deve essere produttivo di un pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore e rispetto al quale è necessario poi ricorrano, in via alternativa, le condizioni soggettive di cui all’art. 2901, comma 1, nn. 1 e 2, c.c.
In tale prospettiva, la causa petendi, costituita riveste dunque valore qualificante ai fini della competenza, atteso che l’atto di scissione viene in discorso per il pregiudizio che arreca alla garanzia patrimoniale del creditore, nel concorso delle condizioni soggettive contemplate dall’art. 2901 c.c. (date, a seconda dei casi, dalla consapevolezza del detto pregiudizio e dalla dolosa preordinazione dell’atto a nuocere alle ragioni del creditore stesso).
Alla luce di quanto precede, le Sezioni Unite affermano dunque che la competenza del Tribunale delle imprese va affermata in ragione di questa connotazione sostanziale della pretesa azionata, che indirizza la causa verso un accertamento che investe l’atto di scissione, quale atto endosocietario, se pure nella prospettiva necessitata dalla specificità dell’azione proposta.
Tale conclusione, peraltro, si accorda la finalità perseguita dal legislatore, perché rimette al giudice specializzato l’apprezzamento dell’eventus damni, il quale, nel caso in esame, implica il delicato raffronto tra i valori patrimoniali attivi e passivi oggetto di trasferimento e programmati dal progetto di scissione, oltre che la valutazione delle altre condizioni soggettive sopra accennate.
Ne deriva che l’azione revocatoria ordinaria dell’atto di scissione è dunque di competenza della sezione specializzata in materia di impresa.
Tuttavia, le Sezioni Unite precisano che, nel caso in cui l’azione revocatoria sia esperita dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 66 l.f., si rende necessaria un’ulteriore valutazione in merito alla confluenza, nella medesima vicenda, di due competenze apparentemente concorrenti: quella del Tribunale fallimentare e quella del Tribunale delle imprese.
In tal caso, ad avviso del Collegio, la domanda di revocatoria ex art. 66 l.f. deve essere proposta avanti al Tribunale fallimentare, prevalendo, sul punto, la competenza del detto ufficio rispetto a quella della Sezione specializzata in materia di impresa.
Infatti, benché l’azione revocatoria ordinaria promossa dal curatore non sia, propriamente, un’azione che deriva dal fallimento, secondo la previsione dell’art. 24 l.f., ma piuttosto un’azione che il curatore trova nella massa fallimentare e si identifica con quella che i creditori avrebbero potuto esperire prima del fallimento (tant’è che la dichiarazione di fallimento del debitore non ha alcuna incidenza sui requisiti sostanziali dell’azione, che rimangono quelli previsti dall’art. 2901 c.c.), la circostanza che l’azione di cui all’art. 66 l.f. sia espressamente devoluta alla competenza del tribunale fallimentare comporta che tale competenza sia inderogabile e prevalga su tutte le altre competenze confliggenti, ancorché a loro volta inderogabili. In tal senso, dunque, la competenza del tribunale delle imprese è destinata a soccombere rispetto a quella del giudice fallimentare (cfr. Cass. civ., sez. VI, 24 ottobre 2017, n. 25163).
Alla luce di quanto precede, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
“L’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. dell’atto di scissione societaria, diretta alla declaratoria di inopponibilità del negozio al creditore, è devoluta alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa, poiché, pur non introducendo una controversia relativa a rapporti tra società, soci e organi sociali, e pur non risultando diretta ad incidere, come l’opposizione ex artt. artt. 2506-ter, 2503 e 2503-bis c.c., sulla scissione, privandola di efficacia erga omnes, investe un tipico atto dell’organizzazione societaria, che, in quanto produttivo di un pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore e in quanto posto in essere in presenza delle condizioni soggettive previste alternativamente dal comma 1, nn. 1 e 2, del cit. art. 2901 c.c., entra a far parte della causa petendi dell’azione proposta, qualificando il corrispondente giudizio come relativo a un rapporto societario“.
“L’azione revocatoria ex art. 66 L.Fall. dell’atto di scissione societaria è devoluta alla competenza del Tribunale fallimentare, la quale prevale su quella del Tribunale delle imprese“.
L'articolo Azione revocatoria dell’atto di scissione societaria e competenza: le Sezioni Unite fanno chiarezza proviene da Iusletter.