Avvocati, il 64% in studio da solo Tutti i nodi delle aggregazioni
L’indagine Cassa forense Censis . In società o associazione solo il 9,8%: prevalgono i modelli tradizionali e pesa la difficoltà di ripartire i profitti. Tra i giovani meno giudiziale e più apertura al mercato estero La maggior parte degli avvocati opera ancora in uno studio monopersonale: questo è il modello organizzativo adottato dal 64% dei […] L'articolo Avvocati, il 64% in studio da solo Tutti i nodi delle aggregazioni proviene da Iusletter.

L’indagine Cassa forense Censis . In società o associazione solo il 9,8%: prevalgono i modelli tradizionali e pesa la difficoltà di ripartire i profitti. Tra i giovani meno giudiziale e più apertura al mercato estero
La maggior parte degli avvocati opera ancora in uno studio monopersonale: questo è il modello organizzativo adottato dal 64% dei professionisti legali, con una ulteriore prevalenza (71%) per la fascia di età tra i 50 e i 64 anni. Qualcuno (solo uno su dieci) è titolare di uno studio che ospita collaboratori. Dato che si riflette anche al contrario: il 10,4% lavora come collaboratore di studio in maniera prevalente, per arrivare nel 5,7% dei casi alla monocommittenza, ovvero all’impiego in collaborazione esclusiva.
Al lato opposto, quello della aggregazione, in uno studio associato o in una Sta (società tra avvocati), si trova meno di uno su dieci tra i legali (9,8 per cento).
Restituisce l’immagine di una avvocatura legata ancora in prevalenza a modelli organizzativi tradizionali il Rapporto 2025 di Cassa forense in collaborazione con Censis. Quest’ultimo ha integrato i dati demografici e reddituali della Cassa con una ricerca svolta su oltre 28mila avvocati, per indagare la condizione lavorativa, le modalità di esercizio della professione e le preoccupazioni sul futuro di questa categoria oggi composta da oltre 233mila professionisti, sempre più anziani: 48,9 anni l’età media 2024, quasi cinque in più in dieci anni.
Dall’indagine emerge, appunto, una condizione di sostanziale “solitudine” prevalente dell’avvocato: non solo la maggior parte lavora ancora con la formula dello studio unipersonale, ma tre su dieci non condividono neanche i locali e le spese con i colleghi.
Il Censis ha provato anche a indagare le ragioni di questa sostanziale difficoltà a esercitare la professione in modo congiunto, e quindi anche multidisciplinare, che il mercato chiede sempre di più. E quello che è emerso è che a pesare è soprattutto la difficoltà a delineare un sistema di ripartizione congruo dei profitti tra i partner (indicata dal 35,7% degli intervistati), seguita dal nodo dei costi (29,2%). Solo il 17,8% teme anche l’ostacolo della fiscalità: ma questo anche perché l’indagine è stata condotta a gennaio, quando era già in vigore la neutralità fiscale proprio sulle aggregazioni tra professionisti.
I giovani
Il quadro cambia se si guarda ai professionisti sotto i 40 anni. Nella fase di ingresso nella professione e in quella immediatamente successiva, infatti, gli avvocati sperimentano attività e assetti organizzativi diversi, con un peso importante del lavoro per altri legali.
Quanto ai modelli organizzativi, tra gli avvocati sotto i 40 anni gli studi unipersonali sono meno diffusi di quanto accade tra i colleghi più anziani: ne sono titolari il 38,8% degli intervistati, contro la media del 64%, appunto.
Una situazione che però non sembra tanto dovuta alla scelta di far parte di una realtà più strutturata: gli under 40 membri di uno studio associato o di una società tra avvocati sono il 10,1% del totale, in linea con il dato medio del 9,8 per cento. Piuttosto, dal rapporto emerge che quasi la metà di chi ha meno di 40 anni, di fatto, lavora per altri avvocati: si dichiara collaboratore prevalente il 28,7% degli intervistati (contro la media del 10,4%) e il 18,3% lavora in regime di monocommittenza (la media è del 5,7%). Mentre solo il 4,1% degli avvocati “giovani” è titolare di uno studio con collaboratori (la media è del 10,1%).
Gli under 40 appaiono comunque un po’ più aperti alle aggregazioni professionali rispetto ai colleghi più anziani: mentre il 15% di chi ha tra i 40 e i 64 anni dichiara di non vedere vantaggi nell’aggregarsi, la quota scende al 9,2% tra chi ha meno di 40 anni.
I giovani si differenziano dai più anziani anche per il tipo di attività. Chi ha meno di 40 anni, intanto, trae in modo quasi paritetico il suo fatturato dall’attività giudiziale (50,7%) e da quella stragiudiziale (49,3%), mentre nelle fasce d’età più avanzate il giudiziale ha un peso maggiore. Nella provenienza del fatturato scende la componente locale (63,5%, in media il 70,9%), mentre crescono quelle nazionale (18%) e internazionale (4,6% ma la media è del 2,4%). Il 21,1% è fatturato verso altri avvocati.
Una situazione meno autonoma, quindi, rispetto a quella dei colleghi più anziani, che si specchia nei redditi annui: se la media complessiva è di 47.678 euro, il reddito per chi ha meno di 30 anni si ferma a 15.981 euro, sale a 22.364 euro per chi ha tra i 30 e i 34 anni e arriva a 31.555 euro tra i 35 e i 39 anni. Ciò anche se, rispetto al 2022, i redditi 2023 per gli under 40 sono cresciuti di oltre il 10%, più che nelle fasce d’età più mature.
Il Pil dell’avvocatura
Del resto l’intera categoria è attraversata da profondi divari economici. Basti pensare che al Pil dell’avvocatura (il volume d’affari Iva 2023) che ha raggiunto i 15,5 miliardi (+5,2 %sul 2022) contribuisce per ben un terzo una sparuta pattuglia di 3.596 avvocati che hanno dichiarato volumi oltre i 500mila euro. Mentre la grande massa (il 34%) di chi fattura zero o meno di 17mila euro (compreso chi non ha comunicato alcunché) ha contribuito al Pil per poco meno del 3 per cento. «Certo la professione è trainata dai soggetti più forti – riconosce il presidente di Cassa forense, Valter Militi – percepiamo che i grandi studi sono trainanti anche perché stanno esplorando nuovi ambiti, ma l’avanzamento economico è presente in tutte le fasce di reddito e in tutte le Regioni, perché tutta la categoria ha capito che deve cambiare pelle».
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