Adozioni, unioni civili e genitorialità: in Italia gli avanzamenti normativi sono soggetti a una anomalia

In queste settimane si sono susseguite alcune notizie che confermano l’anomalia di un Paese, il nostro, in cui i sia pur piccoli avanzamenti normativi dipendono dalla Magistratura o da altri organi dello Stato, ma non da Parlamento e governo, che dell’azione legislativa sono o dovrebbero essere i titolari. La prima cosa alla quale fare riferimento […] L'articolo Adozioni, unioni civili e genitorialità: in Italia gli avanzamenti normativi sono soggetti a una anomalia proviene da Il Fatto Quotidiano.

Apr 18, 2025 - 23:08
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Adozioni, unioni civili e genitorialità: in Italia gli avanzamenti normativi sono soggetti a una anomalia

In queste settimane si sono susseguite alcune notizie che confermano l’anomalia di un Paese, il nostro, in cui i sia pur piccoli avanzamenti normativi dipendono dalla Magistratura o da altri organi dello Stato, ma non da Parlamento e governo, che dell’azione legislativa sono o dovrebbero essere i titolari.

La prima cosa alla quale fare riferimento è la sentenza della Corte Costituzionale n. 33 del 29 gennaio 2025, depositata e pubblicata in G.U. alla fine del mese di marzo, che rimuove il divieto di accesso per le persone single riguardo all’adozione internazionale: una Sentenza realmente innovativa e destinata a introdurre nuovi elementi di ragionamento riguardo a norme che risentono di impostazioni stantie nel momento in cui riservano questa possibilità soltanto alle coppie eterosessuali coniugate.

Eppure, fatti salvi gli elementi di importantissima novità, alcune questioni rimangono irrisolte e non potranno non emergere in future riflessioni o, come auspicabile, in future ulteriori questioni di legittimità costituzionale. Se è infatti del tutto evidente che la preclusione dell’accesso alle adozioni per le persone non coniugate è discriminatorio, come potrebbe mai pensarsi che tale discriminazione opera per le adozioni internazionali e non per quelle nazionali? Beninteso, non è certo un elemento di anomalia che possa addebitarsi alla Consulta, che si limita ad esaminare il caso che le viene sottoposto e su quello emette la propria sentenza. Ma il problema esiste e dovrà essere sollevato.

E ancora: come potrebbe giustificarsi in futuro che l’accesso sia consentito alle persone single e non a quelle unite civilmente? Dovremmo forse rassegnarci alla soluzione paradossale secondo la quale per poter accedere all’adozione internazionale due persone unite civilmente tra loro dovrebbero preventivamente sciogliere l’unione? Non appare in alcun modo difendibile un’impostazione di tal fatta, anche perché sarebbe fortemente lesiva della libertà nelle scelte matrimoniali – oltre che palesemente discriminatoria. Ci troviamo quindi di fronte a una sentenza che non possiamo considerare definitiva ma solo interlocutoria, al di là dell’indubbio passo in avanti che costituisce già allo stadio attuale.

Il secondo nodo venuto al pettine in questo breve lasso di tempo è relativo alla questione, ormai annosa perché risalente al 2019, della formazione dei documenti di identità delle persone minori con genitori dello stesso sesso. La questione nasce a seguito di un decreto a firma dell’allora ministro dell’Interno del governo cosiddetto giallo-verde che, in maniera palesemente ideologica, prevedeva il cambio di dicitura nei documenti in questione da “genitori” a “madre” e “padre”.

Al netto del martellamento mediatico realizzato a suo tempo, che spacciava come vera la dicitura “genitore 1” e “genitore “2” esistente esclusivamente nella propaganda fascio-leghista, quel provvedimento aveva chiari intenti ideologici e discriminatori perché metteva le persone minori con genitori dello stesso sesso nella condizione di non poter ottenere il documento d’identità (con conseguente lesione di una serie di diritti a partire da quello alla mobilità) o di ottenerlo al prezzo di un falso ideologico commesso dal genitore che si doveva qualificare come “madre” o “padre” pur essendo il secondo papà o la seconda mamma.

La Corte di Cassazione con la sentenza 9216/2025 ha quindi risolto il caso di specie ordinando la corretta formazione del documento di identità e dichiarando “immotivata e discriminatoria” la decisione assunta col decreto del ministro dell’Interno. Ovviamente la sentenza rappresenta una soluzione per il caso concreto, ma ha un’evidente valenza generale e perciò è auspicabile un adeguamento tout-court della modulistica da parte del Ministero: sarebbe fantasioso se, come suggerito da qualche sito giuridico fiancheggiatore dell’attuale maggioranza, si pretendesse che i genitori che dovessero trovarsi nella medesima situazione promuovessero analoghi ricorsi nonostante l’esistenza di una sentenza della Suprema Corte inequivocabile nella sua formulazione.

Ultimo ma non ultimo, arriva il richiamo del Presidente della Repubblica che, nel firmare la legge che sancisce i risarcimenti per le vittime di crolli stradali, invita il Parlamento e il governo a rimuovere gli aspetti discriminatori presenti: nello stabilire la priorità nel diritto ai risarcimenti, infatti, la norma prevede al primo posto il/la coniuge, al secondo figlie e figli e al terzo il/la partner dell’unione civile: giustamente il Capo dello Stato rileva che la mancata parificazione di coniuge e partner dell’unione civile è contraria al dettato di legge e palesemente discriminatoria.

Si potrebbe pensare a una (grave) svista se non fosse che l’attuale maggioranza di governo è ossessionata dall’idea di discriminare tra diversi modelli familiari appellandosi alla difesa della “famiglia tradizionale” da attacchi esistenti solo nelle loro peggiori fantasie.

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