“Adolescence” ci mostra i doveri nell’educare un figlio e le conseguenze di non saperlo fare oggi

Il successo di “Adolescence” è dovuto al fatto che tocca un tema molto serio su cui l’opinione pubblica non si è ancora fatta un’idea abbastanza chiara, ma ha un vitale bisogno di farsela. Era necessario uno show così crudo per far sì che genitori di grandi e piccoli facessero coming out sulle loro ansie e paure legate al mondo digitale, e che come società ci si iniziasse a porre delle domande su come arginare la radicalizzazione online tra i soggetti più delicati e suggestionabili. L'articolo “Adolescence” ci mostra i doveri nell’educare un figlio e le conseguenze di non saperlo fare oggi proviene da THE VISION.

Mar 24, 2025 - 18:11
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“Adolescence” ci mostra i doveri nell’educare un figlio e le conseguenze di non saperlo fare oggi

Jamie è un tredicenne della working class britannica colpevole di aver ucciso a coltellate una sua coetanea senza un apparente motivo. Dopo lo choc iniziale di famiglia e inquirenti, che vorrebbero credere alla sua innocenza, si aprono delle piste per cercare di capire il movente del delitto: la vittima aveva bullizzato Jamie su Instagram, umiliandolo più volte nei commenti. Di base non si tratterebbe di un movente solido, ma una serie di indizi, e il fatto che si tratti di un tredicenne con un’idea confusa del rapporto tra i sessi, ci dicono che può essere una pista. Il ragazzo è a detta di tutti molto sveglio, eppure. 

Adolescence racconta, di fatto, la storia di un delitto nato online, ma soprattutto denuncia il nostro fallimento nel riconoscere e contrastare il potere distruttivo del mondo digitale sulle nuove generazioni. Non è un thriller né un legal drama, il fulcro della trama è una disperata ricerca delle cause del delitto dentro e fuori l’assassino, ed è una visuale spaventosa perché non ha un approdo solido. Senza dare delle risposte dogmatiche o inevitabilmente posticce, la serie, uscita di recente su Netflix, affronta temi complessi che riguardano i più giovani e non solo: misoginia, genitorialità, radicalizzazione, bullismo, salute mentale. Le quattro puntate, girate interamente in piano sequenza, hanno il pregio di fotografare l’agghiacciante vicenda da diverse angolature – i genitori, la scuola, gli amici, la condizione socio-psicologica del ragazzo –, con estrema sensibilità e senza giudizio. Allo stesso tempo, dipingono un quadro crudo e impietoso della società in cui viviamo, sottolineando un senso di incredulità e impotenza che si estende dalle famiglie alle istituzioni.

In una delle numerose interviste rilasciate per il lancio dello show, il creatore nonché interprete del padre di Jamie, Stephen Graham, ha ricordato il famoso adagio “it takes a village to raise a child”.  Il problema, sottolinea, è che un intero villaggio può anche rovinarlo, un bambino, perché le responsabilità di un femminicidio nei primi anni della pubertà non possono che essere anche collettive. Per quanto la storia raccontata in Adolescence sia di finzione, gli episodi di violenza misogina tra giovani sono in ascesa nel Regno Unito come altrove, così come la rabbia maschile più in generale, espressa principalmente online. A contribuire al diffondersi di un odio che nasconde un malessere profondo, è quella che viene soprannominata la maschiosfera, ovvero l’insieme di influencer, blog, forum, contenuti in genere che celebrano il maschilismo tossico. Non a caso, nello show viene nominato il noto creator misogino accusato di stupro e traffico di minori, Andrew Tate, seguito, più o meno assiduamente, dall’80% dei ragazzi britannici tra i 16 e i 17 anni. Non mancano inoltre i riferimenti al mondo incel, con cui Jamie, come tutti i suoi coetanei, era entrato in contatto.

A testimonianza di quanto il problema della misoginia sia dilagante, c’è un recente studio secondo cui il 90% degli insegnanti delle scuole secondarie e il 68% di quelli delle primarie vorrebbero ricevere del materiale che li aiuti ad affrontare il tema tra i banchi di scuola. L’episodio di Adolescence ambientato nell’edificio scolastico frequentato da Jamie, del resto, restituisce tutto il disorientamento di un’istituzione disarmata e caotica, popolata di insegnanti volenterosi ma troppo stanchi per fare la differenza. Anche per questo lo scrittore Jack Thorne, co-sceneggiatore insieme a Graham, ha dichiarato alla BBC che vorrebbe che la serie venisse mostrata sia nelle scuole che in Parlamento. “È fondamentale, perché la situazione non potrà che peggiorare”, ha detto. Thorne ha anche aggiunto di aver ricevuto molti messaggi da persone che non sentiva da anni “per condividere le loro conversazioni genitori-figli”, persino il preside della scuola dei suoi ragazzi lo avrebbe fermato sul cancello per chiedergli “cosa può fare”.

Il successo della serie, tra i contenuti più visti della piattaforma a livello globale, è dovuto al fatto che tocca un tema molto serio su cui l’opinione pubblica non si è ancora fatta un’idea abbastanza chiara, ma ha un vitale bisogno di farsela. Era necessario uno show crudo come Adolescence per far sì che  genitori di grandi e piccoli facessero coming out sulle loro ansie e paure legate al mondo digitale, e che come società, almeno in ambito britannico, ci si iniziasse a porre delle domande su come arginare la radicalizzazione online tra i soggetti più delicati e suggestionabili.

Mentre in Italia Valditara è alle prese con il problema delle maestre con un profilo Only Fans, il Primo Ministro britannico Sir Keir Starmer ha recentemente dichiarato davanti alla Camera dei Comuni di aver guardato il “bellissimo” drama con i suoi figli adolescenti, aggiungendo che la violenza perpetrata da giovani uomini che sono influenzati da ciò che vedono online è “abominevole e va affrontata”. Starmer sembra aver in parte colto l’appello dei creatori della serie ma bisogna ancora capire come e se agirà: il problema, infatti, è complessissimo. Alzare il limite di età per l’accesso a piattaforme gaming e social può essere un punto di partenza, così come è essenziale affrontare il tema della violenza di genere fin dai primi anni di scuola, ma la realtà è che i risultati di provvedimenti del genere si vedranno solo tra diversi anni.

Le teorie sul fatto che la vita digitale sia dannosa per i più giovani, benché ancora controverse, sono numerose, ma continua a dominare l’idea che sia crudele privare i ragazzi della modernità, e che abbia più senso insegnare loro ad affrontarla. Un ragionamento in linea di massima sensato, ma che forse sottovaluta la portata del problema e il ruolo già debole degli adulti e della società nel complesso nel risolverlo. Un genitore che impedisce ai propri figli minorenni di avere libero accesso alle piattaforme, oggi, ammesso che ne esistano, sarebbe completamente isolato nella sua battaglia. Ricorderebbe un po’ quelle mamme radicali che negli anni Novanta dichiaravano di non aver mai comprato la Nutella. La reazione di tutti gli altri era sempre scandalizzata, “che pesante”, “un po’ ogni tanto non fa mica male”. Eppure, oggi, la maggior parte dei genitori dà per assodato che sia meglio non nutrire i propri figli con delle creme industriali ricche di zuccheri e grassi. La speranza è che il discorso intorno ai danni delle piattaforme, con il passare degli anni, diventi analogamente meno superficiale e più informato.

Personaggi come Andrew Tate, simbolo di un discorso d’odio molto più esteso, non dovrebbero arrivare ai nostri figli, punto. Non si tratta di avere un atteggiamento censorio, ma di provare a estirpare ciò che è oggettivamente dannoso. In questo, bisognerebbe chiedere l’intervento delle istituzioni in maniera molto chiara e decisa, e prodotti come Adolescence possono aiutare. Parte del problema è però anche l’atteggiamento di noi adulti, di resa e normalizzazione, verso il mondo digitale. Apriamo i social con sempre maggiore noia e frustrazione – ne siamo schiavi in prima persona – eppure non riusciamo a farne a meno. È più facile immaginare la fine del mondo che la fine di Instagram, si può dire parafrasando la famosa frase attribuita a Mark Fisher. L’età d’oro dell’internet libero si è conclusa da un bel pezzo, dobbiamo solo trovare il coraggio di dichiarare definitivamente la sua fine per il bene della società “reale”.

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