3 segni dell’antropocene che dureranno più dell’umanità stessa
I paleontologi dell'antropocene del futuro studieranno i nostri rifiuti come reperti archeologici: cosa penseranno della nostra civiltà? L'articolo 3 segni dell’antropocene che dureranno più dell’umanità stessa è tratto da Futuro Prossimo.

I dinosauri hanno dominato la Terra per 165 milioni di anni, ma di loro ci restano solo ossa e impronte. E noi? Beh, noi umani, nonostante la nostra breve permanenza nell’antropocene, lasceremo una traccia molto più evidente e duratura: i “tecnofossili”. Dagli smartphone ai reggiseni di poliestere, dalle pale eoliche ai sistemi di metropolitana sotterranei. Oggetti che, se sepolti nel posto giusto, potrebbero sopravvivere fino a quando il Sole non ingloberà la Terra.

È la tesi affascinante e inquietante di Sarah Gabbott e Jan Zalasiewicz, due professori dell’Università di Leicester che hanno appena pubblicato un libro (“Discarded: How Technofossils Will be Our Ultimate Legacy”) su questa nostra involontaria eredità geologica. Un’eredità che racconta tanto dei nostri successi quanto dei nostri eccessi.
Il primo segno indelebile dell’antropocene: tecnofossili più resistenti del legno

Ci sono oggetti che stiamo creando nell’antropocene che dimostrano una resistenza al tempo davvero sorprendente. Prendiamo i polimeri simili alla plastica: alcune alghe verdi creano composti quasi identici al polietilene, e li ritroviamo in rocce di 48 milioni di anni fa sostanzialmente intatti. Un telefono cellulare, se sepolto rapidamente nell’ambiente giusto (come una discarica con rivestimenti in plastica), ha buone probabilità di fossilizzarsi.
Mi fa sorridere pensare che il mio vecchio Nokia potrebbe essere studiato da qualche paleontologo del futuro come noi oggi studiamo un’ammonite. Con una differenza sostanziale: mentre i fossili biologici raccontano storie di adattamento evolutivo, i nostri tecnofossili dell’antropocene racconteranno una storia di accumulo compulsivo, di sovrapproduzione, di ricambio continuo di oggetti non per necessità ma per consumismo sfrenato.
Stiamo creando cose che saranno più durevoli della roba che produce la biologia. Per questo ragionamento, probabilmente dureranno a lungo.
Il secondo segno: enigmi rettangolari di silicio

Un aspetto particolarmente intrigante dell’antropocene sarà l’interpretazione che i paleontologi futuri daranno dei nostri oggetti. Come osserva Gabbott, i nostri smartphone sono essenzialmente rettangoli indecifrabili: cosa ne capiranno? La complessità di questi oggetti non ha equivalenti nel mondo biologico, e i dati digitali che contengono saranno probabilmente impossibili da decodificare.
Ancora ironia: la società che ha prodotto la più grande quantità di informazioni della storia umana rischia di essere quella che ne lascerà meno in forma comprensibile. I nostri cloud storage, anche se sopravvivessero fisicamente, rappresenterebbero scatole nere impenetrabili. Mi viene da pensare che forse un libro stampato (magari proprio quello di Gabbott e Zalasiewicz, che vi consiglio di leggere) potrebbe rivelarsi più utile per comprendere chi eravamo di qualsiasi hard disk.
Questi dispositivi sono solo rettangoli. Si chiederanno, che cos’è questo? Non avevo realizzato quanto possano essere effimeri i nostri dati digitali.
Il terzo segno: meraviglie monumentali sotterranee

Il terzo grande segno dell’antropocene saranno le strutture giganti e surreali. Zalasiewicz descrive pale eoliche dismesse, lunghe come campi da calcio, tagliate a pezzi e impilate una accanto all’altra. Un pattern che, fossilizzato, apparirà su qualche futura scogliera come un geroglifico incomprensibile. E poi ci sono le parti sotterranee delle nostre città: metropolitane, tubature, cavi elettrici. Immaginate il profilo sotterraneo di Amsterdam o New Orleans delineato sulla parete di un canyon.
Trovo affascinante questa visione quasi lovecraftiana di rovine futuristiche fossilizzate. Le nostre più grandi opere ingegneristiche ridotte a curiosi fossili in strati rocciosi, studiati da civiltà che forse non capiranno mai davvero cosa fossero. Eppure, come nota giustamente Zalasiewicz, c’è una connessione inquietante tra questo futuro remoto e il nostro presente problematico: le nostre discariche, i nostri rifiuti nascosti sottoterra non spariscono magicamente, ma diventano potenziali fossili tossici che potrebbero tornare alla superficie dopo decine di milioni di anni.
Quando pensate a quali parti di una città verranno preservate, sono tutte le parti sotterranee: i sistemi di metropolitana, l’elettricità, gli scarichi.
Antropocene: cosa resterà?
La conclusione che traggo da questo discorso sull’antropocene? Stiamo creando un’eredità geologica senza precedenti nella storia del pianeta, un’impronta che racconterà di noi molto più a lungo di qualsiasi nostra realizzazione culturale. E quello che racconterà, come ammette Gabbott, è la storia di “una specie che ha prodotto cose in numeri enormi, consumando risorse senza conoscere le conseguenze a valle”.
Uno “spoon river” di incredibile complessità. Un epitaffio geologico che forse dovrebbe farci riflettere più spesso sulla domanda cruciale: abbiamo davvero bisogno di un altro paio di occhiali da sole? O di un altro telefono cellulare? Perché, a differenza di ciò che pensiamo, queste cose non scompariranno mai davvero. Noi sì, loro no.
L'articolo 3 segni dell’antropocene che dureranno più dell’umanità stessa è tratto da Futuro Prossimo.