Vi spiego la mossaccia di Erdogan in Turchia

Quella che sembra una prova di forza da parte di Erdoğan è una prova di debolezza. Estratto da Appunti di Stefano Feltri.

Mar 29, 2025 - 09:35
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Vi spiego la mossaccia di Erdogan in Turchia

Erdogan ha fatto arrestare il sindaco di Istanbul, İmamoğlu: prova di forza o di debolezza? Estratto da Appunti di Stefano Feltri

Qualche anno fa, nel 2019, la giornalista turca Ece Temelkuran ha pubblicato un libro tradotto in italiano da Bollati Boringhieri con il titolo Come sfasciare un paese in sette mosse – La via che dal populismo porta alla dittatura.

L’idea alla base di quel libro era che la degenerazione della democrazia turca in qualcosa di diverso non fosse un problema soltanto dei turchi, ma che indicasse una traiettoria possibile per tutte le democrazie.

Il malcontento per i partiti tradizionali genera le premesse per l’emergere di movimenti populisti che si propongono come una alternativa. E sappiamo che i movimenti funzionano se hanno un capo carismatico.

Se quel capo arriva al potere contestando le procedure e i riti della competizione politica consolidata, poi avrà la tentazione di riscrivere le regole appena avrà la possibilità di farlo. E le riscriverà per consolidare il proprio potere e penalizzare gli avversari.

Le sette mosse analizzate dal giornalista turca Ece Temelkuran sono appunto 1) creare un movimento, 2) disgregare la logica e spargere terrore nella comunicazione; 3) abolire la vergogna e affermare senza ritegno delle post-verità, cioè delle bugie utili; 4) smantellare meccanismi giudiziari e politici di controllo del potere esecutivo, 5) progettare i cittadini ideali) 6) lasciare che i cittadini ridano dell’orrore, e alla fine 7) costruire il Paese a immagine del capo indiscusso.

Dopo essere arrivato al potere nel 2002, Recep Tayyip Erdoğan ha governato la Turchia per un decennio come leader riformatore e interessato a tenere un piede in Occidente, nel suo secondo decennio ha seguito le sette mosse per trasformare una democrazia in una dittatura.

E ha aggiunto l’ottava mossa, copiata da Vladimir Putin: se c’è qualcuno che ti può sfidare a elezioni che non puoi controllare del tutto, fallo sparire. Putin usa il veleno o l’assassinio, Erdoğan per ora si ferma all’aresto con accuse false.

E così venerdì ha fatto arrestare il sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, proprio alla vigilia delle primarie del Partito popolare repubblicano (CHP) che dovevano sancirne l’indicazione come futuro candidato presidenziale nel 2028. Quando Erdoğan, in teoria, non si potrà ripresentare alle elezioni anche se già una volta ha modificato la Costituzione per estendere il suo potere.

İmamoğlu si è ripreso sui social in diretta mentre si metteva la cravatta in previsione dell’arresto, sulla base di accuse che tutti considerano inventate, di corruzione e terrorismo, e dopo che Erdoğan già si era mosso per cercare di bloccarlo invalidando il suo diploma universitario, che è un requisito per candidarsi alla presidenza.

Da giorni migliaia di persone protestano a Istanbul, soprattutto giovani. La rivista Foreign Affairs titola: “Adesso la Turchia è diventata una dittatura a tutti gli effetti”

Prova di debolezza

Quella che sembra una prova di forza da parte di Erdoğan è una prova di debolezza. Il presidente turco pensava di poter controllare l’economia così come controlla la politica, cambiando le regole per decreto, licenziando o arrestando chi non è d’accordo con lui. Ma non funziona.

Le ricette non tradizionali di Erdoğan per la politica economica e monetaria hanno spinto il Paese verso il collasso. L’idea che si potesse avere una politica monetaria espansiva, combinata con spesa pubblica clientelare e che per qualche misteriosa ragione l’inflazione rimanesse bassa si è rivelata una pericolosa illusione.

Erdoğan ha cercato di rimediare, prima che fosse troppo tardi.

Adesso crescita e inflazione andavano un po’ meglio, ma la nuova stretta autoritaria farà collassare il già fragile quadro economico: la lira turca sta precipitando nei confronti del dollaro, l’inflazione stava scendendo ma è pur sempre al 40 per cento (nell’eurozona è al 2,3 per cento) e ora peggiorerà con le nuove tensioni politiche, la Borsa smetterà di crescere.

Come dimostra la parabola turca, e come dimostrerà presto quella americana, non importa quanto popolare o dispotico possa essere l’uomo forte al comando: l’economia è sempre più forte.

La Turchia è il grande vincitore nei nuovi equilibri in Medio Oriente, soprattutto dopo il crollo improvviso del regime ostile di Bashar al-Assad in Siria, ed è un alleato cruciale dei Paesi occidentali nella Nato. Ma la centralità geopolitica non basta a garantire quella stabilità che soltanto una democrazia funzionante e sana può garantire.

C’è un paradosso in questa storia che forse è l’unico segnale di speranza, o di consolazione per i manifestanti. La carriera politica di Erdoğan, già popolare sindaco di Istanbul, decolla dopo un arresto nel 1998 per un discorso considerato un attacco allo Stato.

Erdoğan finisce in carcere per dieci mesi, gli viene vietato di ricoprire incarichi politici a vita. Quando esce è era più solo un politico emergente, è un politico con una storia da raccontare, una storia di riscatto nella quale tutto il Paese poteva riconoscersi.

Forse l’arresto di İmamoğlu è la premessa per l’apertura di un nuovo ciclo politico, nonostante Erdoğan. O forse è la fine della democrazia turca e un avvertimento per la sorte che rischiano tutte le nostre democrazie insidiate da uomini forti e movimenti nazionalisti.

(Estratto d Appunti)