Tutti gli ostacoli all’estrazione mineraria in Groenlandia
Nonostante il potenziale minerario, in Groenlandia mancano attività estrattive su larga scala: l'isola ospita solo due miniere operative. Colpa della geografia e dell'assenza di infrastrutture. L'analisi del Cesi.

Nonostante il potenziale minerario, in Groenlandia mancano attività estrattive su larga scala: l’isola ospita solo due miniere operative. Colpa della geografia e dell’assenza di infrastrutture. L’analisi del Cesi
La mancanza di attività estrattive su larga scala in Groenlandia è legata anche ad una serie di fattori complessi che comprendono variabili economiche, ambientali, sociali e geopolitiche. Il territorio, vasto e remoto, è caratterizzato da una popolazione estremamente sparsa e da infrastrutture minime, il che complica l’accesso ai giacimenti minerari e il trasporto delle risorse verso i mercati internazionali.
GLI OSTACOLI ALLE MINIERE IN GROENLANDIA
Le condizioni climatiche estreme, soprattutto nelle regioni settentrionali e orientali, aggravano ulteriormente queste difficoltà, influendo sui costi operativi e sulla fattibilità delle attività estrattive.
Sul piano economico, le operazioni minerarie richiedono investimenti ingenti per l’avvio e il mantenimento, e molti dei progetti individuati in Groenlandia si trovano ancora in fase di esplorazione o studio di fattibilità. La volatilità dei prezzi delle materie prime, inoltre, rende più difficile attrarre capitali da parte delle aziende minerarie, specialmente in un contesto in cui l’estrazione comporta costi elevati.
Dal punto di vista ecologico, la Groenlandia rappresenta un ecosistema fragile e vulnerabile agli impatti delle attività industriali. Le restrizioni ambientali, spesso stringenti, e l’opposizione da parte di organizzazioni ambientaliste e comunità locali hanno ritardato o bloccato molti progetti minerari, soprattutto in aree considerate sensibili. Infatti, al momento, la Groenlandia ospita solo due miniere operative: la Lumina Sustainable Materials, di proprietà parziale della Hudson Resources, che estrae anortosite, e la Greenland Ruby, di proprietà di un gruppo privato norvegese, che produce rubini e zaffiri rosa.
I PROGETTI CHIAVE
Tra i progetti chiave che hanno ottenuto le licenze di sfruttamento e che sono in fase di sviluppo, spiccano il progetto Dundas della londinese Bluejay Mining, situato nella Groenlandia nordoccidentale, e destinato all’estrazione di minerale di titanio da argilla di ilmenite, e il progetto dell’australiana Ironbark, che ha intenzione di sviluppare una miniera di zinco e piombo nella remota zona di Citronen, lungo la costa settentrionale della Groenlandia, una delle regioni più isolate del pianeta.
Contestualmente, le terre rare potrebbero diventare una delle risorse principali del settore minerario groenlandese, se progetti come quello australiano Tanbreez Kringlerne (noto localmente come Killavaat Alannguat) e quello canadese Neo Performance Materials Sarfartoq venissero sviluppati con successo.
I MOVIMENTI PER L’INDIPENDENZA
La questione si intreccia, inoltre, con il dibattito sull’indipendenza della Groenlandia, dato che il controllo delle risorse minerarie è un tema centrale nella politica locale. La popolazione è divisa tra chi vede nelle attività minerarie un’opportunità per lo sviluppo economico e chi teme le ripercussioni ambientali e sociali. A questo si aggiungono le dinamiche geopolitiche: la Groenlandia è oggetto di interesse strategico da parte di potenze come Stati Uniti, Europa e Cina, il che complica l’avvio di progetti in un clima di competizione globale per il controllo delle risorse critiche. La combinazione di questi fattori ha finora impedito che le potenzialità minerarie dell’isola si traducano in attività estrattive operative e redditizie.
A tal proposito, l’influenza crescente delle mire statunitensi, europee e cinesi sulla Groenlandia potrebbe alterare significativamente gli equilibri politici dell’isola, portando ad un clima di incertezze e alla possibile intensificazione dei movimenti indipendentisti. Nuuk, infatti, gode dal 1979 dei benefici dell’Home Rule e dal 2009 ha acquisito una forma di autogoverno che le consente di gestire autonomamente le politiche minerarie e lo sfruttamento delle risorse naturali. Le entrate annuali provenienti da tali attività ammontano a circa 3,9 miliardi di corone danesi (circa 2 miliardi di euro), costituendo circa il 20% del PIL dell’isola, un fattore che per una parte della popolazione potrebbe essere decisivo per favorire l’arrivo di nuovi investimenti e l’avvio di nuovi progetti. Negli ultimi dieci anni, il partito indipendentista ha visto crescere il proprio sostegno tra la popolazione locale e, alle elezioni del 2025, il tema dell’autodeterminazione e della separazione dalla Danimarca sarà al centro del dibattito. Se i movimenti secessionisti dovessero prevalere, potrebbe esserci un referendum sull’indipendenza, e il popolo groenlandese avrebbe la possibilità di scegliere tra diventare uno Stato sovrano o unirsi agli Stati Uniti come 51° stato. Al momento, l’attuale Governo ha già chiarito che è disposto ad intraprendere delle negoziazioni per favorire il settore minerario dell’isola.
L’INTERESSE DELLA CINA
La Cina, d’altro canto, non ha mai smesso di alimentare il suo interesse per la Groenlandia, investendo nel settore minerario e nelle infrastrutture.
Nel 2018, la China Communications Construction Company (CCCC) arrivò alle fasi finali di una gara per l’ampliamento degli aeroporti dell’isola, mentre nel 2016 Shenghe Resources provò ad acquisire una quota significativa di Greenland Minerals and Energy. Sebbene nessuno di questi progetti si concretizzò, la Cina continua a rimanere un attore importante nel panorama strategico dell’area, dando vita ad una “Via della Seta Artica” per rafforzare la propria posizione nelle risorse minerarie globali. Non va in tal senso dimenticato che nel contesto globale la Cina ha un ruolo dominante nel mercato delle terre rare e dei metalli critici. Produce circa il 98% del gallio, l’82% della grafite naturale e il 60% delle REE raffinate, fornendo circa il 72% delle importazioni americane di terre rare e il 42% della grafite, tutti elementi che potrebbero essere estratti anche in Groenlandia. L’Europa dipende completamente dalle importazioni cinesi per le terre rare pesanti. Questa situazione crea una vulnerabilità per la sicurezza nazionale, poiché le tensioni politiche tra le grandi potenze potrebbero compromettere l’accesso a queste risorse essenziali per l’industria tecnologica. In questo scenario, gli Stati Uniti e l’Europa sono sempre più motivati a diversificare le proprie catene di approvvigionamento.
LE MOSSE DI USA E UE
In dettaglio, sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno adottato misure concrete per ridurre la dipendenza dalla Cina. Gli Stati Uniti hanno preso provvedimenti significativi attraverso la creazione di alleanze strategiche con partner internazionali, come l’apertura di un consolato a Nuuk nel 2020 e il lancio della “Enterprise-Driven Growth Initiative” nel 2022. Tuttavia, nonostante gli sforzi, il settore minerario statunitense non ha mostrato grande dinamismo, con poche aziende statunitensi attive in Groenlandia, tra cui nessuna tra quelle con licenze minerarie nel 2021. Con l’amministrazione Trump, è prevedibile che ci sarà un atteggiamento più aggressivo nell’espandere gli interessi commerciali e minerari, come già paventato dallo stesso Presidente.
Anche l’Unione Europea svolge un ruolo centrale in tale scenario. Oltre ad essere direttamente collegata con la Danimarca, la Groenlandia firmò già nel 2012 un accordo sulle materie prime critiche, tema diventato centrale anche a seguito dell’implementazione del Critical Raw Material Act europeo. In quest’ottica, nel 2023, l’UE ha aperto un ufficio di rappresentanza a Nuuk, siglando un partenariato strategico con l’isola per lo sviluppo delle catene di valore sostenibili delle materie prime. Questo accordo è solo uno dei 13 che l’UE ha stipulato dal 2021 con l’obiettivo di diversificare l’approvvigionamento di risorse naturali.
Poiché Nuuk non fa parte dell’UE, la cooperazione rientra nel quadro della strategia esterna per le materie prime, regolata dal CRM Act. In quest’ottica, a marzo 2024, l’UE ha destinato 94 milioni di euro per investimenti in Groenlandia, parte di un piano più ampio che include 250 milioni di euro per il periodo 2021-2027, nonché 22,5 milioni di euro per lo sviluppo delle catene del valore nei settori energetico e minerario.
(Estratto da un rapporto del Cesi: qui il documento integrale)