“Dove è il mio cuore”: viaggio biografico tra i rifugi e i bivacchi intitolati alle donne

Il libro di Camilla Anselmi racconta le figure femminili alle quali sono dedicate le strutture d’alta quota, circa il 5 % del totale: sono alpiniste, regine e principesse, ma più spesso donne legate alla montagna per lavoro o per passione. 300 pagine preziose, traboccanti di storie inedite, illustrate da Luca Pettarelli L'articolo “Dove è il mio cuore”: viaggio biografico tra i rifugi e i bivacchi intitolati alle donne proviene da Montagna.TV.

Mar 23, 2025 - 15:09
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“Dove è il mio cuore”: viaggio biografico tra i rifugi e i bivacchi intitolati alle donne

«Mentre preparavo lo zaino per salire al bivacco Resegotti, improvvisamente mi sono chiesta chi fosse Resegotti. E quando ho poi scoperto che si trattava di una Luigina, ho pensato: devo sapere chi è!».

Eccola la scintilla che ha acceso in Camilla Anselmi, storica dell’arte e appassionata di montagna, il desiderio di rispondere a questa domanda: quanti potevano mai essere i rifugi che sulle Alpi italiane e in Appennino portavano il nome di una donna? Non ricordava di averne notati tanti. Allora bisognava andare alle origini, scavare nella memoria e nelle storie di famiglia e di interi territori. Ne è scaturita una lunga indagine storica che ha preso forma nel libro Dove è il mio cuore, appena uscito per Monte Rosa Edizioni nella collana Le Rose Selvatiche. Ripercorriamo con l’autrice Camilla Anselmi questo viaggio tra montagna e vita vissuta.

Com’è iniziato questo percorso?

«Avevo in testa un progetto che si è subito trasformato in un libro. Ho iniziato consultando i periodici del Club Alpino, dai più antichi ai più recenti. E grazie anche alle sezioni locali del Cai, radicate nei territori, ho potuto raggiungere la memoria vivente, cioè entrare in contatto con le famiglie, cercando i figli o i nipoti. È così che mi si sono aperte le porte degli archivi famigliari con le loro raccolte di fotografie, i diari, gli articoli. Ho contattato anche l’Università, come nel caso di Mariannina Levi, e altre istituzioni pubbliche».

È stato facile o complicato ricostruire le storie?

«Tutt’altro che facile! In particolare districarsi tra i cognomi. L’identità di una donna spariva nel momento stesso in cui si sposava e perciò non è stato semplice risalire a chi fosse nella vita precedente il matrimonio. A questo problema si è aggiunto quello delle intitolazioni collettive».

 Molti uomini a cui sono stati intitolati rifugi e bivacchi sono stati grandi alpinisti o personaggi storici, per le donne quali sono le ragioni?

«Per lo più morti tragiche in montagna o causate da malattie. Erano comunque donne legate in qualche modo alla montagna, la praticavano con assiduità e le famiglie ci tenevano a che ne rimanesse un segno tangibile»

 Vi sono disparità tra le regioni?

«Purtroppo sì. È incredibile che il Trentino Alto Adige abbia solo 2 strutture intitolate alle donne e il Friuli Venezia Giulia 3. Tra le regioni più piccole fa meglio la Valle d’Aosta con 6, stessa cifra del Veneto. In testa vi sono il Piemonte e la Lombardia entrambe con 14 tra bivacchi e rifugi tuttora in attività. Scendendo in centro Italia, l’Abruzzo ne conta 4, mentre l’Emilia-Romagna e la Toscana sono a zero, così come i rilievi montuosi delle regioni meridionali».

 In definitiva qual era l’obiettivo di questa ricerca?

«Partendo dalla constatazione che andiamo da un rifugio all’altro senza sapere nulla delle vite nascoste dietro i nomi a cui sono intitolati, volevo far emergere la storia di queste donne ed essere il più precisa e completa possibile. Alla fine ne è emerso anche il ritratto di una montagna che non c’è più. Sono convinta che sia nostra responsabilità conservare e far vivere la memoria, direi un dovere civico».

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