Path of Fury Episode I – Tetsuo’s Tower Recensione: Azione e Kung Fu in VR

Sia che siate assidui lettori del nostro portale, che semplici appassionati dei titoli per realtà virtuale, c’è la concreta possibilità che vi siate già imbattuti nel titolo che prenderemo in esame oggi. Path of Fury Episode I – Tetsuo’s Tower, titolo VR disponibile da questo 13 marzo su Meta Quest 3, merita di essere approfondito […] L'articolo Path of Fury Episode I – Tetsuo’s Tower Recensione: Azione e Kung Fu in VR proviene da Vgmag.it.

Mar 23, 2025 - 15:17
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Path of Fury Episode I – Tetsuo’s Tower Recensione: Azione e Kung Fu in VR

Sia che siate assidui lettori del nostro portale, che semplici appassionati dei titoli per realtà virtuale, c’è la concreta possibilità che vi siate già imbattuti nel titolo che prenderemo in esame oggi. Path of Fury Episode I – Tetsuo’s Tower, titolo VR disponibile da questo 13 marzo su Meta Quest 3, merita di essere approfondito e conosciuto, non fosse altro per il suo creatore: il gioco edito da Abonico Game Works è infatti frutto della mente del designer Leonard Menchiari, giunto agli onori della cronaca per il pluripremiato picchiaduro a scorrimento Trek to Yomi.

Appena un mesetto fa avevo avuto la possibilità di raccontarvi i primi due livelli del gioco: un concentrato di citazionismo, sia nei confronti dei classici film di kung fu ambientati nella Hong Kong degli anni ’80, che degli immortali arcade on-rails come Time Crisis, Virtua Cop e The House of the Dead.

Ma cosa succede quando si prende in esame l’intera esperienza? Quelle ottime premesse si sono concretizzate in un titolo di valore, o la promessa di un’autentica esperienza kung fu in realtà virtuale si è infranta come un pugno mal assestato? Indossiamo il visore e scopriamolo insieme in questa recensione dal sapore nostalgico.

Path Of Fury
fatevi sotto, sono pronto al combattimento!

Path of Fury Episode I – Tetsuo’s Tower: l’anima cinematografica

Trovo fondamentale partire con l’analisi di questo titolo arcade, ponendo un piccolo disclaimer: molte considerazioni, specialmente relative all’origine del genere degli arcade on rail, nonché dettagli sui primi momenti della trama, sono contenute nel Provato. Vi invito quindi ad andare a recuperare anche quell’articolo, nel caso in cui vogliate approfondire certi aspetti secondari ma comunque degni di nota di questo videogioco.

Metto subito in evidenza il DNA cinematografico dell’opera, che si conferma come il principale punto di forza di tutta l’esperienza. Dall’introduzione fino alle scene d’intermezzo nei momenti più avanzati dell’avventura, Path of Fury ricrea perfettamente l’estetica dei film di arti marziali anni ’80. I dialoghi, semplici ma incisivi, sono posizionati strategicamente nella narrazione per introdurre un boss o motivare uno scontro, creando il giusto pathos per le battaglie che ci attendono.

Riconfermo il buon utilizzo della colonna sonora che accompagna l’intera esperienza di gioco: una fusione di sonorità synthwave e ritmi tribali percussivi che si integra perfettamente sia con l’impatto sonoro dei colpi inflitti ai nemici sia con le esclamazioni dei numerosi membri della yakuza che affronteremo. La musica dimostra una notevole capacità di adattamento al contesto: durante i combattimenti più intensi, il ritmo accelera e diventa più incalzante, mentre nelle sequenze che richiedono un approccio più strategico, il silenzio costruisce sapientemente la tensione prima di un attacco improvviso.

La trama segue una struttura lineare e diretta: il protagonista deve scalare la Dragon Tower per affrontare il boss finale, avanzando stanza dopo stanza attraverso scontri sempre più impegnativi, il tutto immerso in un’ambientazione malfamata, oscura e illuminata da luci al neon soffuse.

il rosso delle luci al neon accendono lo scontro

Un sistema di combattimento ambizioso ma imperfetto

Il sistema di combattimento rappresenta il cuore pulsante dell’esperienza. Come già evidenziato nel provato, il gioco non offre movimento libero ma utilizza una struttura on-rails: il giocatore viene spostato automaticamente tra posizioni predefinite, mentre l’attenzione resta focalizzata interamente sui combattimenti.

Ogni colpo è gestito attraverso un sistema che evidenzia le zone d’impatto, richiedendo precisione e tempismo. Gli attacchi si dividono in colpi rapidi, medi e caricati, con una meccanica interessante: più si attende prima di colpire, più l’area d’impatto si restringe, richiedendo maggiore precisione per garantire che il colpo vada a segno.

Interessante anche l’idea dei guantoni colorati – uno rosso e uno blu – che teoricamente dovrebbero corrispondere a specifici tipi di colpi. Purtroppo questa meccanica si rivela sostanzialmente inutile nella pratica, poiché il gioco non impone alcuna restrizione reale: si può colpire come si preferisce, vanificando questa potenziale profondità strategica.

Per prepararsi agli scontri, il gioco mette a disposizione una stanza che funge da hub, dove è possibile allenarsi su un manichino di legno e selezionare diverse tipologie di avversari che troveremo nel corso dell’avventura, tra i quali figurano poliziotti, membri della yakuza, e guardie della torre. Sono inoltre presenti anche tre arene endless per migliorare il proprio punteggio e confrontarsi in una classifica globale. Sempre all’interno della nostra stanza, è possibile selezionare il capitolo che più ci interessa giocare nonchè attivare un timer, utile per affinare le nostre doti da speed runner.

finalmente l’angolo perfetto, peccato che non sempre i colpi entrino con facilità…

Quando la tecnica tradisce l’intenzione

Ecco che però ben presto, le fondamenta della torre di Tetsuo iniziano a scricchiolare! Se sulla carta il combat-system mostrava potenziale, nella pratica si rivela spesso frustrante e mal implementato. Il problema principale riguarda la registrazione dei colpi: capita frequentemente di colpire chiaramente l’avversario senza che il gioco lo riconosca, mentre altre volte si subisce danno nonostante una parata apparentemente perfetta. Questa imprecisione compromette il ritmo degli scontri e rende l’esperienza insoddisfacente. Questa situazione emerge prepotentemente negli scontri contro i mid boss che hanno pattern di attacco più complessi e per questo più duri da mandare al tappeto.

Un altro difetto significativo riguarda il sistema di posizionamento del giocatore. Path of Fury non sfrutta il room scale, ma impone un punto fisso in cui restare. Allontanarsi troppo causa un reset automatico dell’area di gioco, mentre piccoli spostamenti che non attivano il reset possono compromettere la corretta registrazione di colpi e parate. Questa limitazione può persino essere sfruttata per “rompere” il gioco: avanzando leggermente verso i nemici e assumendo la posizione di guardia, è possibile in molte situazioni, bloccare automaticamente tutti gli attacchi senza nemmeno dover parare manualmente.

Dal punto di vista grafico, come abbiamo già ribadito, il gioco si ispira chiaramente agli arcade anni ’80. Se lo stile low poly risulta coerente con questa visione, l’illuminazione spesso eccessivamente scura, penalizza la leggibilità delle scene e riduce il coinvolgimento. I modelli poligonali, seppur dotati di un certo fascino, appaiono grezzi e con texture di qualità insufficiente – un problema particolarmente evidente in VR, dove la prossimità fisica amplifica ogni imperfezione. Anche le animazioni dei personaggi risultano legnose e poco reattive, compromettendo l’illusione di trovarsi in un combattimento fluido e realistico.

Path of Fury
che bel sorriso

Un sistema di salvataggio che aumenta la frustrazione

Giocando a Path of Fury, emerge un’altra fonte di frustrazione: il sistema di salvataggio. Il gioco non salva al termine di ogni livello, ma solo in specifici checkpoint prestabiliti che sono posizionati a cavallo fra più livelli. Ciò sicuramente rievoca l’ispirazione arcade delle vecchie sale giochi. Ecco che però questa scelta obbliga spesso a ripetere più volte alcuni stage prima di tornare al punto della propria morte, generando un senso di frustrazione che sarebbe stato evitabile e che invece trasforma le ore di gioco, in workout tutt’altro che semplici da portare a termine.

Certo, è possibile ricaricare il livello in corso se la situazione si mette male, ma nelle fasi più concitate, gli attacchi nemici possono impedire questa operazione. Di conseguenza, ritrovarsi a dover ripetere due livelli precedenti aumenta artificialmente la difficoltà del titolo senza aggiungere reale profondità all’esperienza.

L’assenza di un sistema di progressione significativo rende l’esperienza ancora più monotona nel lungo periodo. Sarebbe bastato poco per aggiungere spessore al gameplay: una meccanica di parata perfetta che rallentasse il tempo, colpi speciali o potenziamenti sbloccabili avrebbero potuto arricchire notevolmente l’esperienza. Purtroppo, nulla di tutto ciò è presente: il combattimento rimane sostanzialmente invariato dall’inizio alla fine, senza offrire vere ricompense a chi cerca di affinare la propria tecnica.


Path of Fury Episode I – Tetsuo’s Tower aveva tutte le carte in regola per essere un’esperienza VR avvincente e adrenalinica, ma si perde in una realizzazione approssimativa che non riesce a mantenere le promesse iniziali. Il combat-system, interessante sulla carta, risulta impreciso e facilmente manipolabile, mentre l’aspetto tecnico delude le aspettative. Il gioco mantiene tuttavia alcuni punti di forza intravisti nei primi livelli – in particolare l’atmosfera cinematografica e la colonna sonora – ma non riesce a evolvere questi elementi in un’esperienza davvero coinvolgente e soddisfacente. 


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