Tra voli, stadi e sponsor fossili: il vero impatto climatico del calcio
Tra viaggi, nuovi stadi e sponsor fossili, il calcio è uno dei maggiori produttori di emissioni di anidride carbonica che uccidono il Pianeta L'articolo Tra voli, stadi e sponsor fossili: il vero impatto climatico del calcio proviene da Valori.

Il calcio è lo sport più diffuso al mondo, dalle super leghe d’élite dei Paesi più ricchi fino ai campionati dilettantistici di una sperduta isola in mezzo all’Oceano Pacifico. Ha un’audience complessiva globale stimata in oltre tre miliardi e mezzo di persone. E secondo un sondaggio della Fifa di inizio millennio lo praticano trecento milioni di persone in oltre duecento Paesi. Anche perché la Fifa di Paesi ne riconosce 211, le Nazioni Unite si fermano a 193. Non è difficile quindi immaginare che, essendo il calcio lo sport più diffuso, sia anche quello che produce le più alte emissioni di anidride carbonica, deleterie per il Pianeta.
Anche solo limitandoci ai tornei di alto livello, quelli seguiti dagli spostamenti in massa di milioni di tifosi, ogni anno si giocano decine di migliaia di partite. Ma questo non vuol dire che il calcio debba inquinare per forza, ci sarebbero molti modi per limitare l’impatto del pallone sulla crisi climatica globale. E questi modi aiuterebbero anche il calcio a tornare dai suoi veri proprietari: i tifosi. Solo che questi non vengono presi in considerazione, perché sono in contrasto con la dottrina neoliberale che ci governa.
Fifa e Uefa: promesse green, ma il calcio continua a inquinare
Fifa e Uefa da almeno vent’anni hanno aderito a tutte le campagne possibili per la riduzione delle emissioni e per il contrasto della crisi climatica. E hanno sempre detto che i loro tornei sarebbero diventati a emissioni zero dal 2030. O al massimo dal 2040. Nel 2024 la Uefa ha lanciato addirittura il suo Carbon Footprint Calculator per aiutare i club a gestire le proprie emissioni di CO2. «Il calcolatore incarna la nostra ambizione a dimostrare che il calcio può essere parte della soluzione nello sforzo globale per ridurre le emissioni», ha spiegato la vicepresidente Uefa Laura McAllister.
Ma il calcolatore è ancora in fase di sviluppo, da più di due anni. E soprattutto non serve a nulla. Innanzitutto perché si limita ad analizzare alcune emissioni dirette, ma non si interessa minimamente delle emissioni indirette, giocando così al ribasso con i numeri. E poi perché Fifa e Uefa, come tutte le altre federazioni calcistiche continentali, predicano bene e razzolano male. Sul contrasto alla crisi climatica e non solo, visto il loro manifesto disprezzo per i diritti umani.
E così da un lato aderiscono alle campagne per le emissioni zero, e dall’altro firmano accordi di sponsorizzazione con multinazionali fossili come Saudi Aramco e Gazprom. Oppure con compagnie aeree altamente inquinanti come Emirates, Etihad, Qatar Airways e via dicendo. Oppure, ancora peggio, aumentano il numero di partite delle loro competizioni, dai Mondiali alla Champions League. O si inventano addirittura nuovi tornei come il Mondiale per Club. Dove è chiaro che aumentando partite e tornei internazionali, quelli dove si viaggia di più, aumentano a dismisura le emissioni.
Il calcio inquina quanto l’Austria: i dati sulle emissioni globali
Già ora è assai difficile stimare la quantità di gas serra prodotti globalmente dal calcio. Una ricerca di Earth basata sui pochi dati messi a disposizione dalla Fifa stima che l’industria calcistica globale produca più di 30 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente ogni anno. All’incirca le emissioni totali generate da un Paese in via di sviluppo. Un’enormità. Ma probabilmente queste cifre sono ancora troppo basse.
Un’altra ricerca del New Weather Institute e del Scientists for Global Responsibility, intitolata Dirty Tackle – the growing carbon footprint of football, va infatti ben oltre. E pur sostenendo di pubblicare dati al ribasso, guarda anche alle emissioni indirette del pallone, arrivando a una stima di circa 64-66 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno. Più del doppio. Questo significa che il calcio ogni anno produce la stessa quantità di emissioni dell’Austria, un Paese industriale e sviluppato nel cuore dell’Europa. O che ne emette circa il 60% in più dell’Uruguay, la prima nazione ad ospitare la Coppa del Mondo. Oppure, ancora, che le sue emissioni sono pari a quelle derivanti dalla combustione di 150 milioni di barili di petrolio. Questo calcolo è dovuto al fatto che questa ricerca, per la prima volta, stima l’inquinamento prodotto dal calcio considerando anche le sponsorizzazioni. Quegli «accordi commerciali che stimolano la domanda dei consumatori promuovendo prodotti e stili di vita altamente inquinanti». Più o meno nel modo in cui la sponsorizzazione del tabacco nello sport in passato incoraggiava il fumo.
«Nonostante il suo fascino di massa e il pubblico globale, il calcio sta ancora lottando per comprendere il suo vero impatto ambientale. A causa di dati frammentari e dell’esclusione di aree chiave della sua impronta di anidride carbonica, in particolare le emissioni sponsorizzate. Questa ricerca documenta prove convincenti che il calcio è un importante inquinatore e il suo contributo ai cambiamenti climatici è in crescita. Dimostra inoltre che ci sono poche indicazioni che i decisori siano preparati a valutare adeguatamente il problema dell’inquinamento del gioco. Per non parlare dell’adottare le misure necessarie per ridurlo», spiega Stuart Parkinson di Scientists for Global Responsibility, responsabile della ricerca Dirty Tackle.
Qatar 2022: perché il Mondiale è stato un disastro ambientale
Secondo la ricerca di Earth, al netto delle sponsorizzazioni e al netto delle deliranti dichiarazioni della Fifa e del suo presidente Gianni Infantino sul fatto che la competizione sarebbe stata a «emissioni zero», la Coppa del Mondo maschile di Qatar 2022 ha prodotto circa 3,63 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente. I trasporti hanno rappresentato il 52% del totale (1,89 milioni di tCO2e). Mentre gli alloggi hanno generato il 20% delle emissioni totali (728.404 tCO2e). Le costruzioni di strutture temporanee (162.556 tCO2e) e permanenti (654.658 tCO2e) hanno rappresentato il 23% del totale. Altri fattori che hanno contribuito sono logistica, media, materiali e merci, nonché elettricità, riscaldamento e raffreddamento.
A questi vanno però aggiunti, secondo la ricerca Dirty Tackle del New Weather Institute e del Scientists for Global Responsibility, gli accordi di sponsorizzazione. Quelli tra il calcio e l’industria petrolifera e del gas, come abbiamo scritto su Valori, sono i più remunerativi. Ma nel computo delle emissioni prodotte vanno aggiunte anche le altre aziende inquinanti, dagli aerei all’automotive. Tra i partner e gli sponsor inquinanti della Fifa per Qatar2022 figuravano Hyundai-Kia, Qatar Airways, Qatar Energy, McDonald’s, Mengniu Dairy, Saudi Tourism Authority e Visit Las Vegas. Accordi di sponsorizzazione che insieme sono stati responsabili di emissioni di gas serra per oltre 16 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente.
Per capirci, dice la ricerca, le emissioni di una singola partita di calcio della Coppa del Mondo maschile di Qatar 2022 equivalgono a quelle di 40mila auto nel Regno Unito guidate per un anno intero.
Sponsor fossili e sportwashing: chi finanzia l’inquinamento nel calcio
Ma la questione degli sponsor interessa ovviamente anche i club. Basta dare uno sguardo a una partita di Champions League per vedere che la maggior parte delle squadre gioca con sponsor di compagnie aeree. La ricerca ha quindi calcolato che i quattro maggiori accordi di sponsorizzazione tra club europei e compagnie aeree nel 2023 (Paris St Germain, Real Madrid, Manchester City e Arsenal, al quinto posto il Milan) sono stati insieme responsabili di emissioni di gas serra per oltre 8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Per non parlare delle federazioni e delle leghe. La compagnia aerea Lufthansa è lo storico sponsor della Federcalcio tedesca e della nazionale. E da luglio la Serie A è sponsorizzata da Enilive, in una gigantesca operazione di sportwashing di cui abbiamo scritto su Valori.
Ma torniamo alla Fifa, e ai suoi meravigliosi programmi per ridurre le emissioni. Appena finito il Mondiale di Qatar 2022, la Fifa ha stretto un accordo di sponsorizzazione quadriennale del valore di circa 100 milioni di dollari l’anno con Saudi Aramco, la più grande società petrolifera e del gas al mondo. Lo ha fatto, casualmente, pochi mesi dopo che l’Arabia Saudita ha ottenuto il Mondiale 2034. Saudi Aramco da sola è responsabile del 4,5% del budget globale di emissioni annuali disponibili dall’Accordo di Parigi, come riporta il Guardian. E chi è al secondo posto di questa speciale e infausta classifica? Ma ovviamente Gazprom che, oltre a sponsorizzare i Mondiali 2018 in Russia, è stata per anni sponsor principale della Uefa e della Champions League.
Più tornei, più partite: così Fifa e Uefa alimentano le emissioni
Ma non è finita qui. Perché, se la Uefa ha deciso di allargare la Champions League e di raddoppiare il numero di partite e di trasferte da giocare in Europa, la Fifa è andata oltre. Si è inventata il Mondiale per Club per 32 squadre e 63 partite. La prima edizione quest’estate negli Stati Uniti, in diverse località da New York a Los Angeles. E non solo. Ha infatti deciso per la Coppa del Mondo del 2026 di portare le squadre da 32 a 48 e il numero di partite da 64 a 104, giusto per aumentare un poco le emissioni.
Ma forse non era abbastanza e così ha anche deciso che i Mondiali del 2026, come quelli del 2030, non si giocheranno in un solo Paese ma in diverse località il più distante possibile tra loro. Tre Paesi nel primo caso: Messico, Stati Uniti e Canada. E ben cinque nel secondo: Spagna, Portogallo, Marocco, Argentina e Uruguay. Così ci sarà la certezza di aumentare le distanze e i viaggi aerei. E quindi l’inquinamento e le emissioni prodotte. Alla faccia del net zero.
Viaggi e trasferte nel calcio: il peso (reale) delle emissioni
Al netto delle sponsorizzazioni, le attività che contribuiscono maggiormente all’inquinamento prodotto dal calcio sono infatti gli spostamenti delle squadre e degli spettatori per le partite. Come spiegano gli autori della ricerca Dirty Tackle: «Abbiamo trovato prove evidenti che l’espansione dei tornei calcistici internazionali e l’aumento dei viaggi aerei che ne conseguono stanno aumentando le emissioni».
La quasi totalità di queste emissioni è dovuta alle attività delle competizioni internazionali e alle leghe nazionali d’élite, dalla Premier alla Bundesliga, fino alla Serie A. Queste, da sole, sono responsabili del 93% delle emissioni totali prodotte dal calcio. Una ricerca della Bbc del 2023 prevedeva infatti che il calendario gonfiato delle partite avrebbe portato squadre e tifosi a volare per circa 3,2 miliardi di chilometri durante la stagione 2024-25.
«Come 4mila viaggi sulla Luna andata e ritorno»
Un aumento consistente rispetto a 2,4 miliardi nel 2022-23. Cifre che equivalgono a 4mila viaggi sulla Luna andata e ritorno. E che si traducono nel rilascio di quasi mezzo milione di tonnellate di gas serra che causano il riscaldamento globale. Se i viaggi dei tifosi per le trasferte, tra macchine, pullman e aerei, producono poco meno della metà delle emissioni prodotte dal sistema calcio, anche i viaggi dei club non scherzano. Come abbiamo scritto su Valori ci sono degli esempi che sarebbero ridicoli, se non fossero tragici. Come il Psg che per andare in trasferta vola a Nantes, 300 kilometri di distanza per un’ora e mezza di treno. O il Manchester United che prende l’aereo per andare a Leicester e l’Arsenal che lo prende per Norwich. Voli che sono durati meno di un quarto d’ora.
Una ricerca dello scorso anno di Josimar raccontava poi come Tottenham e Newcastle abbiano impiegato aerei privati per inutili esibizioni amichevoli. E in effetti la questione delle partite amichevoli che i club giocano d’estate, spaziando dal Sudest asiatico al Nord America, sta diventando assurda. Se da un lato i club prendono l’aereo per distanze minime quando ci sono le necessarie trasferte di campionato, dall’altro in estate macinano migliaia di chilometri per match per nulla necessari. In merito, una ricerca di Play the Game parla di centinaia di migliaia di km percorsi da ogni club. E di centinaia di tCO2e emesse da ciascuno ogni estate. Qui la responsabilità è ovviamente dei singoli club, ma leghe e associazioni potrebbero e dovrebbero fare qualcosa.
Meno partite e stadi: le soluzioni per un calcio meno inquinante
Le soluzioni dovrebbero partire da qui. Invece di espandere i tornei, per numero di competizioni, di partite e di chilometri da percorrere, bisognerebbe ridurre tutto. La diminuzione del numero dei partite e dei viaggi favorirebbe anche il benessere dei giocatori. E perché no, l’attrattività delle partite, che in un calendario sempre più ipertrofico e ipertrofizzato rischiano di essere sempre meno avvincenti. Su questo dovrebbero responsabilizzarsi i singoli club, vedi il caso delle inutili amichevoli estive, ma intervenire soprattutto Fifa e Uefa. E le altre federazioni e associazioni continentali. Per adesso, infatti, i loro interventi stanno andando tutti nella direzione sbagliata.
La riduzione del numero di partite e competizioni interesserebbe anche la questione della costruzione di nuovi stadi. O del rinnovamento di quelli esistenti. Secondo la ricerca Dirty Tackle, costruzione e rinnovamento degli impianti sarebbero responsabili per il 12% delle emissioni totali prodotte dal calcio. Una stima ovviamente fatta al ribasso visto che, come Fifa e Uefa utilizzano le furbe compensazioni del mercato dei carbon credit per abbassare le emissioni dei loro tornei, così fa l’edilizia.
Qui le compensazioni vanno per la maggiore. E come abbiamo visto nel paradigmatico caso della demolizione o della ricostruzione dello stadio di San Siro, è evidente che nonostante tutte le belle parole e i piani verdi che li accompagnano, i progetti di costruzione di nuovi mostri di cemento sono deleteri. Quasi sempre di tratta di pure operazioni di greenwashing. Sono davvero molto pochi gli esempi virtuosi: uno di questi, pur con tutte le sue contraddizioni, è sicuramente quello del Forest Green.
Le soluzioni per ridurre le emissioni nel calcio sono le stesse per restituirlo ai tifosi
La questione viaggi e stadi apre anche a un’altra questione, più generale, quella della fine del calcio inteso come tessuto connettivo della comunità. Come raccontato più volte su Valori, le trasformazioni neoliberali del calcio ne hanno fatto un prodotto di consumo sempre più lontano dalle comunità locali. A partire dagli altissimi prezzi dei biglietti per le partite, con i nuovi stadi che sono costruiti pensando ai box di lusso per i clienti e non al sostegno dei tifosi.
Fino alle nuove frontiere del merchandising, assai inquinante, con terze e quarte maglie pensate per invadere un mercato del fashion lontano, che nulla ha a che fare con il sostegno della squadra. Una soluzione a questi problemi, e a quelli dell’inquinamento, potrebbe essere – come suggerito dalla ricerca del New Weather Institute e del Scientists for Global Responsibility – concentrare la vendita dei biglietti sui tifosi locali. Ovviamente a prezzi calmierati. E, altrettanto ovviamente, ciò non accadrà mai.
Dulcis in fundo, la questione delle sponsorizzazioni. Come scrive Dirty Tackle, «dovrebbe esserci una rapida eliminazione graduale di tutti gli accordi di sponsorizzazione calcistica con aziende fortemente inquinanti. Porre fine agli accordi con aziende fossili, compagnie aeree e produttori di suv dovrebbe essere una priorità particolare. La Fifa, le sei confederazioni continentali e i club d’élite devono assumere un ruolo di leadership. Un rapido piano di eliminazione graduale dovrebbe essere una condizione per l’ingresso della squadra nelle competizioni d’élite. I nuovi accordi con aziende a basse emissioni di CO2 dovrebbero diventare rapidamente la norma».
Ma anche qui, nel tardo capitalismo dove la libertà di attraversare i confini è riservata alle merci e non agli esseri umani, dove manca la libertà (intesa come possibilità) di cura e istruzione, l’unica libertà che ci è data, la libertà di impresa e commercio, impedirebbe ogni possibile vincolo. Il calcio per come è pensato adesso, all’interno del sistema neoliberale, è destinato a inquinare sempre di più.
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