Spy story all’italiana: ecco cosa sta succedendo nell’ombra del Deep State

Sessant’anni dopo lo scandalo del Sifar, nuove campagne di dossieraggi oscuri vengono alla luce nell’Italia governata dai «patrioti» di Giorgia Meloni. Solo che mentre all’epoca del generale De Lorenzo la fabbrica delle schedature clandestine era una sola – radicata nei meandri dei Servizi segreti militari – oggi le agenzie più o meno occulte che spiano […]

Mar 7, 2025 - 12:34
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Spy story all’italiana: ecco cosa sta succedendo nell’ombra del Deep State

Sessant’anni dopo lo scandalo del Sifar, nuove campagne di dossieraggi oscuri vengono alla luce nell’Italia governata dai «patrioti» di Giorgia Meloni. Solo che mentre all’epoca del generale De Lorenzo la fabbrica delle schedature clandestine era una sola – radicata nei meandri dei Servizi segreti militari – oggi le agenzie più o meno occulte che spiano politici, imprenditori, giornalisti, e chissà chi altro, spuntano come funghi una dopo l’altra da Milano a Roma.

E il quadro complessivo è reso ancor più torbido dal fermento che attraversa il mare oscuro del Deep State, dove certe apparenti lotte intestine stanno portando i Servizi – un tempo percepiti come qualcosa di legittimamente invisibile all’opinione pubblica – a finire a ritmo ormai quotidiano sulle prime pagine dei giornali, tra dimissioni a sorpresa, fughe di notizie ed esposti.

Dimissioni ed esposti
«È fondamentale un momento di chiarezza in quelli che paiono regolamenti di conti all’interno dei Servizi di intelligence, che svolgono un ruolo fondamentale per la stabilità, la sicurezza e la democrazia del Paese», ha osservato alcune settimane fa il vicepremier Matteo Salvini, interpellato sulla vicenda del misterioso spionaggio ai danni del giornalista Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, e di Luca Casarini, capo missione dell’ong Mediterranea Saving Humans.

Nel momento in cui scriviamo non è ancora dato sapere se qualcuno all’interno degli apparati dello Stato abbia dato l’ordine di mettere sotto controllo i telefoni di cronisti e attivisti invisi al Governo. 

Sappiamo invece con certezza, su tutt’altro fronte, che il Dis – il Dipartimento Informazioni per la Sicurezza che sta al vertice dei Servizi Segreti – ha presentato il mese scorso un esposto contro il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, evento mai visto prima nella storia della Repubblica.

Lo Voi è finito nel mirino dell’intelligence per una fuga di notizie, dopo che il quotidiano Domani è entrato in possesso di documenti secondo cui la Procura capitolina ha scoperto che nel 2023 tre funzionari dell’Aisi – i Servizi interni, dipendenti dal Dis – hanno raccolto informazioni su Gaetano Caputi, capo di gabinetto della presidente del Consiglio Meloni.

Il procuratore di Roma – detto per inciso – è anche lo stesso magistrato che ha messo sotto indagine Meloni e Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, per il caso del rilascio e rimpatrio del torturatore libico Almasri.

Al vertice del Dis, dallo scorso gennaio, c’è il prefetto Vittorio Rizzi, nominato da Palazzo Chigi dopo le dimissioni a sorpresa di Elisabetta Belloni, la quale secondo diverse ricostruzioni avrebbe avuto frizioni con Mantovano e con Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri (poche settimane dopo Belloni è stata nominata consigliera diplomatica della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen).

Risale a circa un anno fa, invece, l’avvicendamento imposto dal Governo al comando dell’Aisi, dove il pensionamento del generale Mario Parente, in carica da otto anni, è stato accelerato per far posto a Bruno Valensise, ex numero 2 del Dis e primo direttore dell’Agenzia non proveniente dalle fila dei Carabinieri o della Polizia.

Prima ancora, nel marzo 2023, era stato accompagnato alla porta il professor Roberto Baldoni, dimessosi dalla guida dell’Agenzia nazionale per la Cybersicurezza – struttura dipendente da Palazzo Chigi – dove è stato rimpiazzato dal prefetto Bruno Frattasi, che fino ad allora mai si era occupato di sicurezza online.

Tutto ciò avviene mentre almeno quattro Procure italiane sono impegnate in inchieste su presunte attività di spionaggio abusive nelle quali, talvolta, sono coinvolti anche funzionari infedeli dello Stato.

Il caso Striano
Verso la fine di ottobre 2022, circa una settimana dopo il giuramento del Governo Meloni, il Domani pubblica un’inchiesta a puntate in cui evidenzia un presunto potenziale conflitto d’interessi a carico del neo-ministro della Difesa Guido Crosetto. Il quotidiano, in particolare, ricostruisce una serie di compensi ricevuti da Crosetto, negli anni e nei mesi precedenti alla nomina nell’esecutivo, per le sue attività di consulenza nel settore della difesa (lo stesso campo nel quale adesso si troverà a operare come ministro). Il co-fondatore di Fratelli d’Italia, che respinge con forza la tesi del conflitto d’interessi, presenta un esposto alla Procura di Roma chiedendo di indagare su come i giornalisti siano riusciti a entrare in possesso di quelle informazioni sensibili non pubbliche sul suo conto.

Da qui parte l’inchiesta che porterà a scoprire le presunte attività di dossieraggio condotte da un tenente della Guardia di Finanza, Pasquale Striano, e dal magistrato Antonio Laudati, entrambi per anni in servizio alla Direzione nazionale Antimafia e Antiterrosimo (Dnaa). 

Essendo coinvolto Laudati, l’inchiesta viene presto trasferita alla Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone, competente per i fascicoli sui magistrati romani. Lo scorso gennaio, tuttavia, il Tribunale del Riesame di Perugia dispone il ritorno degli atti nella capitale, dove le indagini preliminari sono tutt’ora in corso.

Per Striano e Laudati si ipotizzano i reati di falso, accesso abusivo a sistema informatico e abuso d’ufficio. Ma gli iscritti sul registro degli indagati sono in tutto una quindicina. Fra questi ci sono anche un uomo dell’Aise e tre giornalisti del Domani, Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine: questi ultimi sono accusati di accesso abusivo e rivelazione di segreto per il semplice fatto di aver pubblicato notizie di interesse pubblico («A pubblicare le notizie i giornalisti non commettono mai un reato. Se quelle notizie sono frutto dei reati di qualcun altro, non sta ai giornalisti accertarsene», fa notare Alessandra Costante, segretaria generale della Federazione Nazionale della Stampa).

Secondo gli inquirenti, Striano e Laudati, mentre erano in sevizio alla Procura Antimafia, avrebbero  raccolto in modo abusivo informazioni riservate su ministri, politici, imprenditori e personaggi dello sport e dello spettacolo, da Maria Elisabetta Casellati a Matteo Renzi, da Francesco Lollobrigida ad Andrea Agnelli, da Letizia Moratti a Carlo Bonomi, passando per Fedez, Massimiliano Allegri e Cristiano Ronaldo. Si parla complessivamente di oltre 200mila documenti scaricati tra il 2019 e il 2022.

Le informazioni raccolte venivano poi inviate ad altre persone tra cui un investigatore privato, un amministratore di condominio e un ex ufficiale della Finanza ora impiegato nel settore privato. 

Circa un anno fa, il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo chiede di essere sentito su questa vicenda dalla Commissione parlamentare Antimafia: durante l’audizione, il magistrato afferma che le condotte di Striano gli sembrano «difficilmente compatibili con la logica della deviazione individuale», lasciando intendere che dietro quei dossieraggi ci fosse una regia ben precisa.

Laudati, da parte sua, tramite il proprio avvocato, fa sapere di aver sempre agito «sotto il pieno controllo del procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo», che all’epoca dei fatti era Federico Cafiero De Raho, oggi deputato del Movimento 5 Stelle. De Raho però rimanda al mittente le accuse definendole «calunnie» e avverte che tutelerà il proprio onore nelle sedi giudiziarie.

La domanda resta per il momento inevasa: c’era qualcuno dietro Striano e Laudati? E se sì, chi?

La vicenda Equalize
Sabato 26 ottobre 2024 l’Italia scopre l’esistenza di un’altra presunta centrale di spionaggio clandestina, questa volta a pochi passi dal Duomo di Milano. Quel giorno la Procura meneghina e la locale Direzione distrettuale Antimafia (Dna) danno pubblicamente notizia di un’inchiesta su un «gigantesco mercato nero delle informazioni riservate» che avrebbe avuto il suo perno nella Equalize srl, una società di investigazioni finanziarie e reputazionali con sede in via Pattari 6, esattamente dietro la Madonnina.

Gli indagati sono in tutto una sessantina, tra cui spiccano Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera Milano e titolare della Equalize, Carmine Gallo, ex super poliziotto e socio di minoranza della società, e Nunzio Samuele Calamucci, esperto informatico, socio di un’agenzia di investigazioni e consulente di Pazzali e Gallo.

L’ipotesi di reato principale è associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie di reati, fra cui accesso abusivo al sistema telematico, atti di corruzione, intercettazione illecita, detenzione illecita di apparecchi per le intercettazioni.

Negli atti d’indagine si parla di «creazione di vere e proprie banche dati parallele vietate (…) per finalità di profitto oppure a scopo estorsivo e ricattatorio, per condizionare e influenzare all’occorrenza soprattutto i settori della politica e dell’imprenditoria, ovvero per danneggiare l’immagine dei competitor professionali e imprenditoriali».

Per il pm milanese Francesco De Tommasi, la presunta associazione a delinquere godeva di «appoggi di alto livello, in vari ambienti, anche quello della criminalità mafiosa e quello dei Servizi segreti, pure stranieri» e aveva una struttura «a grappolo», in modo che ogni componente e collaboratore avesse «contatti nelle forze dell’ordine e nelle altre pubbliche amministrazioni» con cui «reperire illecitamente dati».

Tra i bersagli di questi dossieraggi, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente del Senato Ignazio La Russa, il senatore Matteo Renzi, l’ex governatrice della Lombardia Letizia Moratti, Paolo Scaroni, ex amministratore delegato di Eni e attualmente presidente di Enel e del Milan, ma anche i giornalisti Gianni Dragoni (Sole 24 Ore) e Giovanni Pons (La Repubblica) e il cantante Alex Britti.

I magistrati parlano di attività «inquietante» a tal punto da poter «tenere in pugno» cittadini e istituzioni» e «condizionare» dinamiche «imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie».

«Un pericolo per la democrazia di questo Paese», lo definisce la Procura di Milano. L’inchiesta è ancora aperta.

La Squadra Fiore
Il 29 ottobre 2024, mentre sui giornali tiene ancora banco la vicenda Equalize, si viene a sapere che anche la Procura di Roma sta indagando su un’ulteriore agenzia clandestina di spionaggio, di cui farebbero parte esponenti passati (e forse anche attuali) delle forze dell’ordine e dei Servizi. L’inchiesta è partita nella primavera precedente e viaggia in parallelo a quella di Milano con il coordinamento della Direzione nazionale Antimafia.

I reati ipotizzati sono accesso abusivo a sistema informatico, violazione delle norme sulla privacy ed esercizio abusivo della professione. 

Gli investigatori hanno individuato un lussuoso appartamento affacciato su piazza Bologna, nel quartiere Nomentano della capitale, che fungerebbe da quartier generale per questa organizzazione segreta attiva nella raccolta di notizie riservate su persone e imprese italiane allo scopo di venderle a chi è interessato, in alcuni casi lavorando anche per committenti esteri.

Il gruppo in questione viene ribattezzato “Squadra Fiore”, dal nome della chat su WhastApp che riunirebbe in suoi membri. Tra questi ci sarebbe anche un militare in servizio all’Agenzia nazionale per la Cybersicurezza, struttura dipendente dalla Presidenza del Consiglio.

L’esistenza di questa “fabbrica di dossier” capitolina sarebbe stata confermata agli inquirenti anche da Samuele Calamucci, l’informatico indagato a Milano per il caso Equalize e ritenuto uno degli elementi di punta della rete di “spioni” milanese. Calamucci ora è indagato anche a Roma insieme a Carmine Gallo, socio di Equalize ed ex funzionario della Polizia di Stato.

Tra le vittime delle attività di spionaggio della Squadra Fiore ci sarebbe Leonardo Maria Del Vecchio, figlio 29enne del defunto patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio. Lo stesso giovane imprenditore sarebbe stato, al contrario, tra i clienti che avevano commissionato indagini private alla Equalize. Uno strano incrocio, che impone di fare una importante nota a margine: Del Vecchio junior è tra i soci della Delfin, la holding di famiglia – guidata da Francesco Milleri – attuale protagonista di alcuni fra i principali tentativi di scalate nel panorama finanziario italiano, da Generali a Mediobanca passando per Banca Montepaschi di Siena. Non si può escludere, insomma, che i presunti dossieraggi che avrebbero coinvolto – anche suo malgrado – Del Vecchio siano da ricollegare a quelle manovre.

Lo scandalo Paragon
Lo scorso 31 gennaio un portavoce di Meta, il gruppo tecnologico di Mark Zuckerberg che controlla Facebook, Instagram e Whatsapp, rende noto di aver scoperto che i software di spionaggio della società israeliana Paragon Solutions – recentemente acquisita da un fondo statunitense – sono stati utilizzati per controllare decine di utenti di Whatsapp, tra cui giornalisti e membri della società civile. 

Meta – fa sapere il portavoce – ha bloccato la campagna di spionaggio e ha avvertito con un messaggio le persone che sono state spiate: in tutto una novantina in Europa, di cui sette in Italia. Tra queste ci sono il giornalista Francesco Cancellato, l’attivista Luca Casarini e don Mattia Ferrari, cappellano dell’ong Mediterranea.

Chi ha dato ordine di spiarli? Non si sa, ma è un dato di fatto che Paragon Solutions accetti come propri clienti solo enti governativi. E tra questi ci sono i Servizi italiani.

La sera del 5 febbraio, Palazzo Chigi interviene con una nota ufficiale in cui «esclude che siano stati sottoposti a controllo da parte dell’intelligence, e quindi del Governo» i soggetti tutelati dalla legge sui Servizi segreti, inclusi i giornalisti.

Ma il mistero si infittisce ulteriormente il giorno seguente, quando la versione online del giornale britannico The Guardian rivela che Paragon Solutions, dopo aver appreso che tra le persone controllate c’erano un giornalista e due attivisti, ha «interrotto il proprio rapporto di clientela con l’Italia» per violazione dei termini del contratto.

Passano poche ore e il giornale israeliano Haaretz riferisce che l’azienda di spyware aveva due clienti nel nostro Paese: un’agenzia di polizia e un’organizzazione di intelligence.

Il 12 febbraio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani risponde a un question time alla Camera affermando che «nessuno ha rescisso in questi giorni alcun contratto nei confronti dell’intelligence». Due giorni dopo, il 14 febbraio, l’Ansa, citando fonti interne ai Servizi, dà notizia che «il contratto tra Paragon e l’intelligence italiana è stato sospeso in attesa di verifiche».

In parlamento le opposizioni chiedono di fare chiarezza, ma il 18 febbraio il sottosegretario Mantovano fa calare la scure del segreto di Stato. In una lettera al presidente della Camera Lorenzo Fontana, il sottosegretario spiega che il ministro Ciriani ha già «fornito le uniche informazioni pubblicamente divulgabili»: tutto il resto è da ritenersi «classificato». 

Il giorno seguente il ministro della Giustizia Carlo Nordio ignora lo stop imposto da Palazzo Chigi pur di precisare davanti all’aula di Montecitorio che la Polizia penitenziaria, dipendente dal suo dicastero, non ha mai avuto in uso i software di Paragon. Anche le Procure più importanti e le forze dell’ordine fanno filtrare sulla stampa di non aver mai utilizzato lo spyware in questione.

Nel frattempo vengono sentiti dal Copasir i direttori dell’Aisi e dell’Aise: entrambi ammettono l’utilizzo del software-spia israeliano, ma – giurano – sempre nel rispetto delle regole concordate con l’azienda.

Ma allora, se non sono stati i Servizi e non sono state le forze di polizia, chi è stato a spiare Cancellato, Casarini e don Ferrari?

L’auto di Giambruno
La notte tra il 30 novembre e il primo dicembre 2023, nei pressi della casa di Meloni all’Eur, una poliziotta di vigilanza nota due individui armeggiare con una torcia vicino all’auto di Andrea Giambruno, ex compagno della premier e giornalista di Mediaset.

Davanti alla richiesta di chiarimento dell’agente, i due si qualificano come colleghi e se ne vanno. La poliziotta fa comunque rapporto, e dell’accaduto vengono informati Meloni, il capo della Polizia Vittorio Parisi, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi e il sottosegretario Mantovano. Scattano le indagini dell’Aisi e anche il procuratore di Roma Lo Voi apre un fascicolo d’inchiesta.

Secondo il Domani, inizialmente uno dei due individui viene identificato come un agente dell’Aisi che fa parte della scorta della presidente del Consiglio. Anche l’altro viene indicato come agente segreto. I due vengono quindi immediatamente trasferiti all’Aise. Dopo qualche settimana, tuttavia, analizzando le rispettive celle telefoniche, si sarebbe scoperto che quella sera nessuno dei due agenti si trovava nella zona di casa Meloni. L’Aisi avrebbe segnalato invece la presenza sul posto di un ricettatore di auto usate. Una versione a cui però, secondo il Domani, né Lo Voi né Meloni credono. L’inchiesta va avanti.

Un romanzo
Dunque, ricapitolando, negli ultimi due anni abbiamo visto: funzionari dell’Aisi che raccolgono informazioni sul capo di gabinetto di Meloni; il direttore dell’Aisi che viene sostituito anzitempo; la numero uno del Dis che si dimette; il suo successore che, poche settimane dopo l’insediamento, presenta un esposto contro una Procura della Repubblica; almeno quattro Procure che indagano su presunte agenzie di dossieraggio clandestine; giornalisti e attivisti misteriosamente spiati con un software in uso ad apparati dello Stato. Ce n’è abbastanza per scrivere un romanzo di spionaggio.

Diceva Oscar Wilde che «le informazioni riservate sono la fonte di ogni grande fortuna moderna». Nemmeno il brillante scrittore vissuto in età vittoriana, però, poteva immaginare quanto la sua osservazione si sarebbe rivelata vera poco più di un secolo dopo.