Siria, Erdogan monitora la situazione dei curdi, dopo l’accordo tra il governo provvisorio e le Forze democratiche
Le truppe di Ankara rimarranno nel Paese. Il Sultano resta alla finestra per verificare l'esito dell'accordo tra l'esecutivo e le Forze democratiche siriane e le milizie L'articolo Siria, Erdogan monitora la situazione dei curdi, dopo l’accordo tra il governo provvisorio e le Forze democratiche proviene da Il Fatto Quotidiano.

La Turchia seguirà da vicino come si svilupperà sul campo l’accordo recentemente firmato tra il governo provvisorio siriano e le Forze democratiche siriane (SDF) guidate dai curdi, ha affermato un funzionario del Ministero della Difesa nazionale. Le SDF sono l’ organizzazione paramilitare che raggruppa le milizie arabe e curde che nel 2015 riuscirono a respingere sul campo i tagliagole dell’Isis che stavano tentando di conquistare la Siria per farla diventare parte del Califfato islamico. La battaglia per liberare Kobane ne è l’esempio passato alla storia.
Durante la conferenza stampa settimanale, il portavoce del ministero, il contrammiraglio Zeki Aktürk, ha commentato l’accordo, affermando che la Turchia ne valuterà gli esiti pratici: “Osserveremo come questo accordo verrà implementato e il suo impatto effettivo sul campo. Monitoreremo attentamente le sue conseguenze positive o negative”, ha affermato. Aktürk ha ribadito che Ankara rimane impegnata a “sradicare le attività terroristiche in Siria” – riferendosi alle milizie curde Ypg siriane che difendono il territorio nel nord-est del Paese a maggioranza curda dagli appetiti di Ankara – assicurando che i militanti depongano le armi e facilitando l’espulsione dei combattenti stranieri dal Paese. Ha inoltre ribadito la posizione della Turchia nel preservare l’integrità territoriale e l’unità politica della Siria. In realtà si tratta di una affermazione solo parzialmente vera dato che il presidente Recep Tayyip Erdogan sta cercando di cambiare l’assetto demografico della Siria attraverso la ricollocazione dei 2 milioni di profughi siriani di etnia araba ancora in Turchia nel Rojava curdo, così da distanziare al massimo i curdi dal confine con la Mezzaluna.
Del resto l’esecutivo di transizione che controlla la Siria, dopo la fuga del dittatore Bashar Assad lo scorso dicembre, è asservito al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il Sultano è stato uno degli sponsor della “primavera araba” siriana (iniziata nel 2011 e subito repressa brutalmente dal regime) tramutatasi in una sanguinosa guerra civile e quindi proxi. La Turchia fin dall’inizio del conflitto ha infatti sostenuto politicamente e militarmente gli ex ribelli islamisti ora al potere.
Aktürk ha inoltre osservato che il neo-nominato addetto militare turco in Siria incontrerà il ministro della Difesa siriano e che una delegazione militare turca visiterà Damasco nei prossimi giorni.
I giornalisti filogovernativi hanno fornito ulteriori approfondimenti sulla posizione della Turchia sull’accordo. Scrivendo su Yeni Şafak, Nur Banu Aras ha affermato che Ankara sta affrontando il processo con cautela, ma rimarrà ferma sui principi chiave. “La Turchia osserverà attentamente l’attuazione di questo processo senza compromettere i suoi principi fondamentali”, ha scritto Aras. Ha aggiunto che Ankara continua a dare priorità all’integrità territoriale e alla sovranità della Siria, oltre a eliminare la minaccia dei gruppi guidati dai curdi e rafforzare l’autorità centrale a Damasco.
Ha anche osservato che la Turchia non ha intenzione di ritirare la sua presenza militare dalla Siria, affermando: “Il ritiro delle forze turche dalla Siria non è all’ordine del giorno. Le truppe turche rimarranno nel paese finché non sarà garantita la stabilità e Ankara è fiduciosa che nessuna minaccia alla sicurezza arriverà da sud”.
Nel frattempo, il columnist dell’Hürriyet, Abdülkadir Selvi, ha suggerito che le SDF dovrebbero prendere parte al sistema politico siriano come partito politico, mentre la presenza militare della Turchia nella regione continuerà. L’accordo del 10 marzo firmato dal presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa e dal capo delle SDF Mazloum Abdi prevede l’integrazione dell’amministrazione autonoma guidata dai curdi nell’est della Siria nello stato siriano.
L’accordo è stato firmato in mezzo a importanti sviluppi circa la questione curda in Turchia, mentre la coalizione di governo ha avviato un nuovo processo in cui il leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), Abdullah Öcalan, ha invitato il gruppo militante a deporre le armi a fine febbraio. Mentre la Turchia sostiene che l’appello di Öcalan riguardi anche le SDF, che considera un’estensione del PKK, i leader curdi siriani invece hanno dichiarato che non li riguarda.
L’accordo firmato tra Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim della Siria, e Mazloum Abdi, leader delle Forze democratiche siriane (SDF), mira a garantire la partecipazione delle comunità rappresentate dalle SDF al processo politico e a tutte le istituzioni statali, nonché l’integrazione della regione autonoma curda nella Siria orientale (Rojava in lingua curda, ndr) nello stato siriano.
In un’intervista Salih Muslim, portavoce del Partito dell’Unione Democratica (PYD), il partito dominante all’interno dell’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale (AANES), ha commentato così l’accordo del 10 marzo e il futuro dell’amministrazione autonoma: “Sì, è stato firmato un accordo, composto da otto articoli. Nel complesso, è un ottimo accordo. Ha aperto le porte alla ricostruzione di una struttura democratica nella nuova Siria. In questo senso, è un accordo storico per noi. Se gli articoli saranno veramente implementati, prenderà forma una nuova Siria e questo avrà un impatto sia internamente che esternamente. Per quanto riguarda il processo di implementazione, come affermato nell’articolo finale, saranno formati dei comitati. Saranno istituiti comitati per ogni distretto, così come per gli affari economici e militari. Inoltre, ci saranno comitati che discuteranno l’integrazione delle SDF e determineranno il modello di governance. Saranno creati nuovi comitati in base a diverse esigenze e questo processo sarà completato entro un anno per raggiungere un risultato finale”.
Per quanto concerne la forma statuale a cui i curdi aspirano ha spiegato: “Per ora non c’è una decisione sul federalismo o sull’autonomia (…) Il nostro obiettivo principale è rafforzare le amministrazioni locali all’interno di un sistema decentralizzato. Ci opponiamo a un approccio centralizzato e monolitico non solo nella governance, ma in tutte le aree. Il nome di questo modello di governance non è importante; in inglese, è definito governance ‘riflessiva’ e in turco, a volte è chiamato ‘federalismo lasco’. Tuttavia, la forma di governance sarà chiarita attraverso accordi e negoziati. Ma voglio sottolineare che non possiamo collegare direttamente l’accordo all’appello di Öcalan (…) Tuttavia, un fatto rimane: l’appello del leader curdo imprigionato avrà un impatto sull’intera regione perché è direttamente correlato alla questione curda. Siamo anche consapevoli della posizione della Turchia; ha ripetutamente tentato di giustificare i suoi attacchi alla regione muovendo accuse che ci collegano al PKK. Queste affermazioni non sono vere”.
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