Si fa presto a dire «green»

Tutti a riempirsi la bocca con la sostenibilità, ma quando si passa dalle parole ai fatti cade la maschera. E con le nuove normative europee serve una strategia di comunicazione solida per tutelarsi dal greenwashing L'articolo Si fa presto a dire «green» proviene da Economy Magazine.

Mar 22, 2025 - 09:33
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Si fa presto a dire «green»

C’è un gap da colmare, quando si tratta di sostenibilità: quello della credibilità. «Il pubblico è assuefatto e iper-critico rispetto ai claim di sostenibilità o di un’imprenditoria che si auto-proclama sostenibile», conferma a Economy James Osborne, Head of Sustainability di Lundquist. Se ne sono accorti anche a Bruxelles, quella stessa Bruxelles che ha spinto sull’acceleratore del Green Deal, puntando a rendere l’Unione Europea carbon neutral entro il 2050 e chiedendo a tutti di contribuire verso questo obiettivo. «È in corso un aspro dibattito politico sul costo delle scelte sostenibili e della transizione ecologica, che alcuni sfruttano per mettere in dubbio le scelte stesse; e ci sono stati interventi normativi, in particolare a livello europeo, per arginare il fenomeno di greenwashing che hanno introdotto un aspetto di compliance alla comunicazione di sostenibilità e al marketing di prodotti “eco”».

Ecco, appunto: negli ultimi anni, i cosiddetti green claims (dichiarazioni ambientali) hanno acquisito un’importanza crescente nel panorama della comunicazione aziendale, sia commerciale che corporate, riflettendo l’interesse delle consumatrici e dei consumatori per la sostenibilità. Parallelamente, si è avuta anche la spinta europea per un’economia sempre più circolare, con prodotti più durevoli, più facilmente riparabili e maggiormente riciclabili. L’interesse dell’Europa per l’ambito comunicativo rientra in questo quadro di azioni e sottende che consumatrici e consumatori saranno aiutati nel compiere scelte di acquisto più sostenibili se avranno a disposizione informazioni trasparenti, corrette e comprensibili. Le nuove direttive sulle dichiarazioni ambientali, quindi, vanno in questa direzione con un duplice obiettivo: garantire che le comunicazioni ambientali delle aziende siano affidabili, comparabili e verificabili e proteggere i consumatori dal greenwashing.

Cosa cambia

Il greenwashing, fenomeno che da sempre mina la credibilità della comunicazione di sostenibilità, è oggi al centro di due nuove direttive europee: la Direttiva (UE) 2024/825 («Empowering Consumers for the Green Transition») e la proposta di direttiva «Green Claims Directive». Queste normative puntano a contrastare pratiche scorrette, fornendo criteri stringenti per le dichiarazioni ambientali e creando un sistema di monitoraggio più rigoroso. La Direttiva Europea “Empowering Consumers”, in vigore dal 26 marzo 2024 e con recepimento da parte degli Stati membri entro il 27 marzo 2026, aggiorna l’elenco delle pratiche commerciali sleali della Direttiva 2005/29/CE, mentre la proposta «Green Claims Directive», ancora in fase di approvazione definitiva, integra regole specifiche per le dichiarazioni ambientali. Il 2025 si prospetta quindi un anno cruciale per le aziende per gettare le basi o fortificare i pilastri già esistenti di una strategia di comunicazione della sostenibilità che regga all’urto di queste nuove normative.

Cosa significa per le aziende? Le nuove direttive europee sulle dichiarazioni ambientali influenzano l’intero ecosistema informativo delle aziende, richiedendo coerenza in ogni aspetto della comunicazione, dai siti web ai materiali cartacei. È fondamentale coordinare la strategia comunicativa su tutti i livelli e implementare processi interni di verifica che coinvolgano tutte le funzioni aziendali. Questo approccio integrato non solo facilita la conformità alle normative, ma migliora anche l’immagine aziendale e offre un vantaggio competitivo in un mercato sempre più attento alla sostenibilità, sia B2tb che B2c. «Lavorando a stretto contatto con molte aziende, siamo consapevoli della fatica di costruire canali comunicativi snelli e sempre aperti tra le diverse funzioni, che spesso lavorano in modo parallelo e poco collaborativo tra di loro», spiega Beatrice Muciaccia, Sustainability consultant di Lundquist. «Eppure, questo passo è fondamentale, così come dare a tutte e tutti una base di conoscenza dei principi generali di sostenibilità, una vera e propria alfabetizzazione, che coinvolgere internamente le dipendenti e i dipendenti sul proprio piano Esg aziendale. L’errore di comunicazione, il dato impreciso, il messaggio fuorviante, tutti possono contribuire a intercettare queste problematiche o a evitarle, se adeguatamente formati».

E dunque? Innanzitutto, occorrono definizioni più chiare e criteri dettagliati: i “green claims” dovranno essere misurabili, verificabili, rilevanti, con evidenze scientifiche a supporto e con dati comparabili secondo lo stesso metodo di raffronto, e le stesse tipologie di prodotto. E poi ci sono divieti espliciti: sarà vietato utilizzare termini vaghi come “sostenibile, ecologico, eco-friendly, a basso/minore impatto” senza prove concrete, altresì sarà vietato amplificare benefici limitati a un singolo aspetto del prodotto o dichiarare neutralità climatica basata solo sulla compensazione delle emissioni. La nuova direttiva “Empowering consumers” inserisce nell’Annex 1 una vera e propria black list di pratiche scorrette (alcune delle quali nel riquadro in queste pagine). Quanto ai nuovi sistemi di certificazione: saranno introdotti sistemi di verifica indipendenti per monitorare le dichiarazioni ambientali. Infine, le nuove norme pongono limitazioni alle etichette private: solo le etichette approvate a livello europeo saranno ammesse, garantendo uniformità e trasparenza.

Come preparasi

Per affrontare al meglio il cambiamento, le aziende devono adottare un approccio proattivo e strategico. Ecco le linee guida di Lundquist:

1. Migliorare la qualità delle dichiarazioni ambientali. Le dichiarazioni devono essere supportate da dati solidi e aggiornati, evitando generalizzazioni e riferimenti ambigui. È essenziale specificare l’oggetto del claim, fornire evidenze scientifiche provate da enti terzi indipendenti e considerare l’intero ciclo di vita del prodotto.

2. Creare una cultura aziendale della sostenibilità. La comunicazione sulla sostenibilità non può essere delegata a un singolo dipartimento. Serve un approccio integrato che coinvolga tutti, in primis responsabili ESG e rendicontazione, ufficio legale, marketing, produzione, R&D e compliance. La formazione interna è cruciale per garantire competenze diffuse e un canale di comunicazione sempre aperto tra tutte le funzioni aziendali. Altrettanto fondamentale è un coordinamento con tutti i consulenti esterni, che nella comunicazione di solito abbondano, quali agenzie creative e digitali, consulenti, esperti di pubbliche relazioni: tutti devono remare nella stessa direzione ed essere formati sul tema specifico della sostenibilità.

3. Rafforzare la trasparenza. Oltre a evitare il greenwashing, le aziende sono chiamate a combattere il fenomeno del greenhushing, ovvero il silenzio strategico sulle azioni positive per paura di critiche. Comunicare in modo chiaro e onesto migliora la fiducia dei consumatori e ispira il mercato a fare sempre meglio.

4. Monitorare l’evoluzione normativa. Con l’introduzione di regole più stringenti, è fondamentale restare aggiornati sulle direttive e sugli standard internazionali (es. ISO 14020 e 14063). L’adozione di sistemi di certificazione ufficiali sarà un vantaggio competitivo.

5. Costruire una supply chain di fiducia e buone pratiche condivise. La collaborazione tra i membri della supply chain è sempre più essenziale, poiché un flusso di dati e informazioni accurato e coordinato garantisce trasparenza e conformità alle normative, migliorando l’affidabilità delle dichiarazioni. Un’accortezza particolarmente importante per quei settori con catene del valore particolarmente lunghe e spezzettate, su scala globale. Inoltre, una comunicazione efficace tra i vari attori della catena ottimizza l’efficienza operativa e rafforza la fiducia reciproca.

Prepararsi per tempo non significa solo evitare sanzioni, ma cogliere un’opportunità: distinguersi nel mercato come un’azienda affidabile e trasparente, sia verso consumatori finali che verso gli attori della propria supply chain e clienti B2b. «La comunicazione della sostenibilità è sempre più la ricerca di un equilibrio tra forma e sostanza», conclude Laila Bonazzi, Sustainability Senior consultant di Lundquist. «Forma, perché nella comunicazione bisogna continuare a essere attrattivi, a spiccare, a farsi notare anche con la creatività e la distintività. Sostanza, perché in questo specifico ambito la base è rappresentata da prove ed evidenze, che siano comunicate in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, al fine di assicurare che il destinatario del messaggio non sia indotto in errore. È ovvio, poi, che ogni canale ha il suo linguaggio, ma i messaggi devono essere coerenti e condivisi da tutti».

Giù la maschera

Alcuni casi di greenwashing sono già stati identificati e, talvolta, anche sanzionati.  Il 4 febbraio, per esempio, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha irrogato in solido alle società General Logistics Systems B.V., a capo del Gruppo GLS in Europa, General Logistics Systems Italy S.p.A. e General Logistics Systems Enterprise S.r.l. una sanzione di 8 milioni di euro. Per l’Autorità l’iniziativa di sostenibilità ambientale “Climate Protect”, con cui Gls ha costruito la propria immagine green “è stata organizzata, finanziata e comunicata senza la trasparenza, il rigore e la diligenza richiesti ad operatori di un settore molto inquinante, quale quello della spedizione, trasporto e consegna di merci”. Lo si legge in un comunicato dell’Antitrust. Nel 2021 lo Iap si era invece pronunciato a proposito dello spot dei Pisellini primavera della Findus. E poi c’è il caso Shein. Nel 2024 l’Agcm ha avviato un’istruttoria contro Shein per pubblicità ingannevole sulla sostenibilità dei suoi capi. L’azienda è accusata di utilizzare affermazioni vaghe e fuorvianti, in particolare nella collezione “evoluShein”, senza fornire dati chiari sulla riciclabilità e sull’impatto ambientale, nonostante un aumento delle emissioni di gas serra nei suoi rapporti di sostenibilità. E ancora: i accordo con la Commissione Europea, il player dell’e-commerce Zalando si è impegnato a rimuovere le icone e le dichiarazioni fuorvianti sulla sostenibilità dal 15 aprile 2024, non utilizzando più il termine “sostenibilità” senza giustificazione. Fornirà invece informazioni chiare sui benefici ambientali dei prodotti, come la percentuale di materiali riciclati, per garantire trasparenza e combattere il greenwashing. Insomma, la comunicazione viene investita a tutto tondo, non solo per quanto riguarda la pubblicità esplicita rivolta ai consumatori, ma anche tutta la comunicazione corporate e digitale viene messa sotto attento scrutinio.

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