Se 75 coltellate sono un caso di overkilling (ma non troppo)

In termini giuridici la “crudeltà” rappresenta un’aggravante prevista dall’art. 61 del Codice penale, che ricorre quando l’autore del reato agisce con modalità particolarmente efferate, infliggendo sofferenze inutili alla vittima. È un’aggravante soggettiva e complessa da provare, richiede che tale crudeltà non sia “funzionale” all’omicidio, ma che esprima un surplus di violenza gratuita. Nel caso Cecchettin […] The post Se 75 coltellate sono un caso di overkilling (ma non troppo) appeared first on The Wom.

Apr 14, 2025 - 10:54
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Se 75 coltellate sono un caso di overkilling (ma non troppo)
Nel novembre del 2023, l’Italia è stata scossa dall’ennesimo femminicidio, il centotreesimo di quell’anno. Giulia Cecchettin, 22 anni, è stata uccisa dall’ex fidanzato in una sequenza di violenze pianificate e brutali. La settimana trascorsa nella speranza di ritrovarla, viva da qualche parte, ha contribuito a catalizzare clamore mediatico e indignazione collettiva, che non si sono spenti con l’arresto del colpevole, Filippo Turetta. Il 3 dicembre 2024, la Corte d’Assise di Venezia ha condannato Turetta all’ergastolo per il femminicidio commesso, avvenuto tramite 75 coltellate. Ma il dibattito non si è mai spento. Infatti, durante l’ultima udienza, risalente all’8 aprile, è stata esclusa l’aggravante della crudeltà. La motivazione: le numerose coltellate sono dovute a “inesperienza” e non a una volontà di infliggere sofferenze gratuite

In termini giuridici la “crudeltà” rappresenta un’aggravante prevista dall’art. 61 del Codice penale, che ricorre quando l’autore del reato agisce con modalità particolarmente efferate, infliggendo sofferenze inutili alla vittima. È un’aggravante soggettiva e complessa da provare, richiede che tale crudeltà non sia “funzionale” all’omicidio, ma che esprima un surplus di violenza gratuita. Nel caso Cecchettin la dinamica dei fatti, l’inseguimento, le numerose coltellate, l’occultamento del corpo, non hanno convinto i giudici del fatto che Turetta abbia agito con deliberata brutalità e dunque non solo per uccidere, ma per punire, umiliare, annientare. La sentenza riconosce la volontà di possesso, definisce il crimine come efferato, vile, riconosce la lucidità di Turetta durante tutto l’atto, ma esclude l’aggravante della crudeltà affermando che non si poteva desumere con certezza che Turetta volesse infliggere sofferenze gratuite e aggiuntive. I giudici hanno ritenuto che il numero di coltellate non fosse di per sé sufficiente a dimostrare la crudeltà, attribuendo l’elevato numero di ferite all’inesperienza dell’imputato. 

Dunque, se scegliamo di adottare un punto di vista squisitamente giuridico, 75 coltellate non bastano a configurare questo aggravante

Ma se scegliamo di guardare la vicenda nel suo valore simbolico, se scegliamo di intendere la parola “crudeltà” non solo come dispositivo giuridico? Proviamoci.

Overkilling: che cos’è

A dispetto di quello che viene riportato nella sentenza, nel caso Cecchettin, l’elevato numero di coltellate ha sollevato l’attenzione sul fenomeno dell’overkilling (o anche surplus killing, letteralmente: un’uccisione esagerata), ovvero l’inflizione di un numero eccessivo di ferite rispetto a quelle necessarie per causare la morte. Questo comportamento, spesso riscontrato nei femminicidi, indica una volontà di annientamento totale della vittima. Ce lo raccontano bene ormai diversi studi, tra tutti uno condotto pubblicato su ScienceDirect spiega il fenomeno addirittura da una prospettiva medico forense. Anche in Italia il fenomeno è stato analizzato ampiamente, soprattutto in relazione ai femminicidi: un documento dell’UILPA evidenzia che nel 2024 il 55,56% degli omicidi di donne è stato perpetrato da partner o ex partner, spesso con modalità riconducibili all’overkilling. Inoltre, la criminologa Flaminia Bolzan, commentando il caso Cecchettin, ha sottolineato come l’uso di un solo coltello e la morte per dissanguamento nella seconda aggressione indichino una premeditazione e una volontà di infliggere sofferenza, elementi tipici dell’overkilling.

Riconoscerlo come elemento distintivo nei femminicidi può essere fondamentale per comprendere la gravità e la specificità di questi crimini, andando oltre la semplice classificazione come omicidi (con tutte le aggravanti del caso) e affrontando le radici culturali e psicologiche della violenza di genere

Tutto questo configura quadri violenti ed estremamente consapevoli, esattamente come nel caso di Turetta, che non può – e non deve – essere descritto come un giovane inesperto, che ha inflitto 75 coltellate perchè principiante delle armi bianche, che se avesse saputo farlo meglio avrebbe sicuramente eseguito un lavoro più veloce e pulito. 

Proteste all'indomani del femminicidio di Giulia Cecchettin
Proteste all’indomani del femminicidio di Giulia Cecchettin

Introdurre il reato di femminicidio non è abbastanza

Il modo in cui questa sentenza è stata accolta ci obbliga ad interrogarci sui provvedimenti che vengono quotidianamente presi in materia di femminicidio. Basti pensare che il 7 marzo 2025, alla vigilia della Giornata Internazionale dei diritti delle donne, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che introduce il reato autonomo di femminicidio nel Codice penale italiano.
Secondo il testo, il femminicidio è definito come l’omicidio di una donna commesso per motivi di discriminazione o odio verso la persona offesa in quanto donna, per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà, ed è punito con l’ergastolo. In teoria, il riconoscimento del femminicidio come fattispecie autonoma può essere un passo avanti nella presa d’atto della specificità di questi crimini: finalmente non si tratta più di “semplici” omicidi, ma di atti motivati da una cultura patriarcale che non tollera l’autonomia femminile. Giusto? Non proprio.

La proposta presentata dal governo — priva di un serio dibattito parlamentare, senza il coinvolgimento delle associazioni che si occupano da anni di violenza di genere — appare come un’operazione di facciata. L’ergastolo per chi commette femminicidio rischia di essere più una bandiera ideologica che uno strumento utile.

Inoltre, la deterrenza della pena massima è un’illusione, come confermano decenni di dati: non è la punizione, ma la prevenzione che salva le vite

Insomma, che senso ha introdurre un nuovo reato se poi le misure di prevenzione restano fragili, le denunce cadono nel vuoto e i centri antiviolenza sono sottofinanziati? Se manca una strategia educativa nelle scuole, un progetto culturale, allora l’intervento rischia di trasformarsi in puro simbolismo punitivo. Non dimentichiamoci, poi, che la proposta arriva da un governo che ha spesso minimizzato la portata sistemica della violenza di genere, che ha smantellato il linguaggio istituzionale inclusivo, e che ha dato spazio a narrazioni reazionarie sulle relazioni affettive, che lascia tutti i giorni spazio ai movimenti cosiddetti “Pro-Vita”. 

L’urgenza di affrontare il femminicidio è reale, ma se da un lato la risposta deve essere strutturale e non scenografica, dall’altra dobbiamo ridare potere alle parole che vengono usate, anche nelle sentenze. Crudeltà e inesperienza, in questo contesto, non sono termini neutri e i cambiamenti culturali profondi, che non possono essere delegati a un comma infilato nel codice.

I cambiamenti iniziano prepotenti dal basso e ribaltano tutto. Anche le aule di tribunale.

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