Salario adeguato, il piano del governo per alzare gli stipendi

Ascoltate le critiche dei sindacati, ma l’idea del salario adeguato resta. L’intenzione è neutralizzare i contratti che offrono minori garanzie e tutele economiche. Anche la Lega ha presentato una proposta per una “busta paga equa”

Mag 3, 2025 - 04:10
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Salario adeguato, il piano del governo per alzare gli stipendi

Roma, 3 maggio 2025 – La bozza del governo del decreto sul cosiddetto “salario adeguato” era (e rimane) pronta, con l’obiettivo di offrire una soluzione alternativa al salario minimo per fronteggiare, almeno in parte, l’emergenza retribuzioni povere. Ma quando, a Palazzo Chigi, ci si è resi conto che la versione messa a punto dai tecnici della ministra Marina Calderone rischiava di provocare una dura reazione dei sindacati e, soprattutto, questa volta, anche della Cisl, la premier in persona ha fermato tutto. Ma l’impianto dell’operazione, sia pure con una serie di correzioni, resta in campo. E, non a caso, dalla stessa Lega hanno annunciato un disegno di legge sul cosiddetto “salario equo” per rimarcare la priorità e l’urgenza di intervenire.

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MARINA ELVIRA CALDERONE MINISTRA LAVORO

Ma andiamo con ordine. Se la proposta del salario minimo delle opposizioni punta a fissare una soglia retributiva inderogabile per legge (9 euro l’ora), suscitando la contrarietà del centrodestra ma anche della Cisl (nel timore che la soglia minima blocchi gli aumenti contrattuali), la via del “salario adeguato” è tutta rivolta a sostenere e valorizzare la contrattazione collettiva. Si prevede, infatti, che la retribuzione dei vari profili e delle molteplici qualifiche di un settore, per essere “valida” ed “equa”, debba essere almeno pari a quella stabilita nei contratti collettivi firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi o più applicati (nel caso di più contratti di sindacati maggiormente rappresentativi) nel settore stesso. Vengono salvati anche i contratti collettivi firmati da altre parti sociali, a condizione, però, che il trattamento economico sia “equivalente”. Evidente l’obbiettivo di neutralizzare, se non eliminare, i contratti collettivi che garantiscono meno tutele economiche o, addirittura, meno salario, nel caso di quelli cosiddetti “pirati”.
Il problema, però, che ha determinato lo stallo dell’iniziativa, per l’opposizione in particolare della Cisl, è che, nella formulazione del ministero del Lavoro, di fatto si finiva per “salvare” anche i contratti collettivi che garantiscono tutele retributive inferiori. Il perché è presto detto. “La tentazione più recente di alcuni esponenti politici – spiega Emmanuele Massagli, presidente della Fondazione Tarantelli e consigliere esperto del Cnel – è quella di riconoscere l’equità dei contratti collettivi utilizzando come criterio il solo rispetto dei trattamenti minimi economici (o solo quelli tabellari o comprendendo anche il welfare). È una deriva pericolosa perché i contratti collettivi nazionali non fissano soltanto le condizioni economiche minime, ma anche i diritti e le tutele che intervengono nella gestione del rapporto di lavoro”.Il summit Meloni-Erdogan. Cooperazione e affari: interscambio a 40 miliardi

Per tradurre in concreto il problema, Massagli spiega: “È di tutta evidenza che la qualità del lavoro (e della vita) di una persona è certamente condizionata anche dal numero dei giorni di ferie, dalla quantità di permessi retribuiti e non retribuiti di cui può disporre, dal sovrastipendio riconosciuto per gli straordinari, dalle misure per la conciliazione e così via. Considerare come equivalenti legalmente contratti che condividono soltanto l’importo dei trattamenti tabellari è un azzeramento di fatto della stratificazione delle conquiste sindacali in termini regolatori, di cui oggi godono oltre il 97% dei lavoratori ai quali sono applicati i contratti collettivi comparativamente più rappresentativi”. E, del resto, lo stesso Maurizio Landini qualche giorno fa ha parlato non a caso di tutele che non riguardano solo il salario. Spiegato il blocco dell’operazione, da più fonti si fa sapere che l’intenzione di Meloni è, in ogni caso, quella di rilanciare il progetto, anche per non lasciare la bandiera della questione salariale all’opposizione o solo alla Lega.