Rory McIlroy e Career Grand Slam: chi ce l’ha fatta prima di lui

Alla fine, ce l’ha fatta. Dopo 11 anni di rincorse, delusioni, momenti anche drammatici, Rory McIlroy è riuscito a portare a casa l’unico Major che non aveva mai vinto, il Masters. Sempre con quel giusto pizzico di dramma sportivo che, ad Augusta, è quasi la regola. Ed è diventato il sesto uomo dell’era moderna a […]

Apr 14, 2025 - 13:38
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Rory McIlroy e Career Grand Slam: chi ce l’ha fatta prima di lui

Alla fine, ce l’ha fatta. Dopo 11 anni di rincorse, delusioni, momenti anche drammatici, Rory McIlroy è riuscito a portare a casa l’unico Major che non aveva mai vinto, il Masters. Sempre con quel giusto pizzico di dramma sportivo che, ad Augusta, è quasi la regola. Ed è diventato il sesto uomo dell’era moderna a portare a casa il Career Grand Slam. Non succedeva da 25 anni, ed è anche una storia che ha delle differenze per via delle ere.

Il discorso Grande Slam, infatti, nacque come termine riferito non ai quattro tornei attuali, ma a questa sequenza: US Amateur, US Open, Open Championship e Amateur Championship, al tempo gli eventi più importanti. Oggi lo US Amateur mette in palio un posto allo US Open, mentre l’Amateur Championship permette di avere l’esenzione per l’Open del mese successivo e per il Masters e lo US Open dell’anno seguente, fermo restando che il vincitore resti amateur. Nell’epoca degli Anni ’30, però, dato che la situazione era diversa Bobby Jones questi tornei li vinse tutti e quattro. Non solo: li vinse tutti nel 1930, il che porta a dire che lui, che è uno dei grandi pionieri del golf mondiale, ha completato quello definito come Original Grand Slam.

L’attuale denominazione può essere formulata a partire dal 1934, cioè dall’anno in cui si è avuta la prima edizione del Masters, ma non si potevano vincere tutti e quattro i Major nello stesso anno fino al 1953, perché fino ad allora il PGA Championship si sovrapponeva alle qualificazioni dell’Open Championship a Carnoustie, fatto che impediva il dono dell’ubiquità. Non ci è comunque riuscito nessuno, ma Ben Hogan ha vinto Masters, US Open e Open Championship consecutivamente nel 1953, dopo che già aveva vinto il PGA Championship nel 1946 e 1948. In buona sostanza, il secondo a completare il Career Grand Slam moderno è stato lui.

Diciamo secondo perché il primo è stato un altro pioniere, nonché uno dei più grandi rivali di Bobby Jones, di cui era coetaneo: Gene Sarazen, nato Eugenio Saraceni, newyorkese di origini italiane (anzi, siciliane), autodidatta dall’età di dieci anni e che è rimasto su questa terra fino ai 97. Diventato pro all’inizio degli Anni ’20, portò a casa sia US Open che PGA Championship tra 1922 e 1923, e poi, più di dieci anni dopo, iniziò a completare l’opera: Open Championship nel 1932 e, nel 1935, la seconda edizione del Masters.

Passiamo ora al dopoguerra, e a un nome che ha sostanzialmente fatto la storia del golf, quello di Gary Player. Il sudafricano portò a casa per primo l’Open Championship nel 1959, quindi si impose nel Masters del 1961, poi andò a prendersi il PGA Championship nel 1962 e, come completamento dell’opera, conquistò lo US Open nel 1965. Fu l’unico di una carriera che lo avrebbe visto ancora vincere ovunque per tantissimo tempo, tant’è che il terzo Masters l’ha vinto nel 1978, ma tanto gli bastò per dimostrare di avere in mano tutti e quattro i grandi tornei. Fu peraltro curiosa la storia non della prima vittoria ad Augusta, ma di quando fallì di pochissimo il bis nel 1962. Sconfitto al playoff (che ai tempi si giocava sull’intero percorso di 18 buche e di lunedì) da Arnold Palmer, prese la Green Jacket e nonostante le varie richieste non la restituì mai, tant’è che alla fine gli fu permesso di tenersela e non riportarla indietro (un fatto del tutto insolito: ai vincitori è permesso di tenerla per l’anno, riportarla e poi indossarla ogni volta che si torna ad Augusta).

Il nome successivo è quello che ha rivoluzionato tutta la storia del golf, quello di Jack Nicklaus. Che il Career Grand Slam lo ha addirittura triplo nella propria bacheca, perché i Major li ha vinti tutti almeno tre volte. Il minimo, infatti, è quello dell’Open Championship nel 1966, 1970 e 1978: ha poi vinto sei volte il Masters, quattro lo US Open e cinque il PGA Championship, per un totale di 18 trionfi tra il 1962 e il 1986. Sono questi una delle ragioni per cui è largamente considerato il più grande golfista che il mondo abbia mai conosciuto. Il Career Grand Slam la prima volta l’ha completato nel 1966 proprio con l’Open, ancor prima di diventare una figura che non ha davvero bisogno di presentazioni. Come non ha bisogno di presentazioni quel Golf My Way che è diventato tra i libri di golf più famosi al mondo, anche per i dettagli pratici in tema di miglioramento nella disciplina.

Poi è arrivato Tiger Woods. Ed è giunto con una prima e ultima volta capitate nello stesso torneo, il Masters. Ad Augusta ha vinto il primo Major, nel 1997, ad Augusta ha vinto l’ultimo (2019, anno che per noi italiani rimane un po’ amaro perché fino a sei buche dalla fine davanti c’era Francesco Molinari). Nel mezzo e nel totale i suoi trionfi Major sono 15: cinque Masters, tre US Open, tre Open Championship e quattro PGA Championship. Ma c’è di più. tra 2000 e 2001, Tiger vinse US Open, Open Championship, PGA Championship e Masters consecutivamente, un vero e proprio Grande Slam non nell’anno solare. Un’impresa ritenuta praticamente impossibile, e sulla quale fondamentalmente è stata coniata la definizione di Tiger Slam. Sono stati quelli, e gli anni tra il 2005 e il 2009, gli anni più dominanti della sua carriera, nei quali non solo vinceva, ma era quasi sempre nei primi. Anzi, il periodo 2005-prima metà del 2010 è ancora più spaventoso: sei Major, quattro secondi, un terzo, tre quarto e due sesti.

Il tutto fino ad arrivare, oggi, a McIlroy, che aveva cominciato la sua serie nel 2011, che nel 2014 pareva lanciato verso il dominio assoluto, e che poi di vicende ne ha vissute tantissime. Il Masters l’ha sfiorato tante volte: un secondo (2022), un quarto, due quinti, un settimo, un ottavo, un decimo. Ne ha viste tante, il nordirlandese, compreso il dramma dello US Open 2024. A questo punto, però, i suoi demoni li ha sconfitti tutti. E, a 35 anni, è diventato una leggenda nel playoff con quell’autentico gentleman del golf che risponde al nome di Justin Rose.