Romania: l’Europa democratica che banna i giornalisti e arresta chi non applaude

Ci risiamo. A Bucarest il 4 maggio si vota per le presidenziali, ma l’aria che si respira è quella di una farsa democratica in salsa balcanica, che però somiglia sempre […]

Mag 3, 2025 - 15:41
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Romania: l’Europa democratica che banna i giornalisti e arresta chi non applaude

Ci risiamo. A Bucarest il 4 maggio si vota per le presidenziali, ma l’aria che si respira è quella di una farsa democratica in salsa balcanica, che però somiglia sempre più alle “grandi democrazie” modello Erdogan. Peccato che qui siamo in piena Unione Europea. O almeno così ci avevano detto.

A fare notizia non sono i candidati, le idee o i programmi. A fare notizia — nel silenzio complice di Bruxelles — è la censura. Ma quella vera, non quella immaginata da chi si lamenta se non gli mettono abbastanza “mi piace” su Instagram. Parliamo di giornalisti veri, bannati, arrestati o direttamente rispediti a casa senza processo e senza spiegazioni.

Primo caso: Ion Cristoiu, una delle penne più note della Romania, uno che non la manda a dire e che da mesi mette il naso dove non dovrebbe: nelle magagne del potere. Critico, indipendente, poco incline alla riverenza. Risultato? Il suo account TikTok da 150 mila follower e otto milioni di like — puff! — cancellato il 1° maggio, guarda caso a due giorni dalle elezioni. Nessuna motivazione, nessuna mail, nemmeno un “ci scusiamo per il disagio”. Un click e sparisce. E poi parlano di “libertà digitale”. Forse pensavano che con lui sparisse anche la realtà. Peccato che la realtà non si può censurare a colpi di algoritmo.

Secondo caso, ancora peggiore: Chay Bowes, irlandese, giornalista, corrispondente di Russia Today (sì, la famigerata RT, ma resta un giornalista europeo con passaporto irlandese). Atterra a Bucarest per raccontare il voto. Neanche il tempo di scendere dall’aereo: fermato, interrogato, e rimandato indietro come un pacco sgradito. Nessuna spiegazione ufficiale. Nessun verbale. Niente di niente. Espulso come un clandestino molesto. E tutto questo in Romania, non in Corea del Nord.

Domanda: ma non era l’Unione Europea il tempio della libertà di stampa, della circolazione delle persone, del pluralismo dell’informazione? Sì, certo. Ma evidentemente con delle eccezioni. Tipo: “sei libero di parlare, purché tu dica quello che vogliamo sentirci dire”.

Certo, la Romania è reduce da una tornata elettorale — dicembre 2024 — finita nel tritacarne con l’accusa di “interferenze russe su TikTok” (ma dai!). Il candidato Calin Georgescu, che aveva avuto l’ardire di arrivare primo al primo turno, è stato fatto fuori dal ballottaggio. Poi arrestato. Poi cancellato. Poi basta: non esiste più. Come i dissidenti nei vecchi album sovietici: ritoccati via con Photoshop.

Il messaggio è chiaro: se critichi, se non stai al gioco, se racconti quello che il potere non vuole sentire, sparisci. Anche se sei romeno. Anche se sei irlandese. Anche se fai parte della sacra Unione Europea.

Nel World Press Freedom Index 2025, la Romania è al 55° posto. Poco sopra l’Ucraina (quella che l’Europa difende a ogni costo, ma dove i giornalisti liberi li sbattono in cella o in silenzio stampa). Ma va tutto bene, perché da Bruxelles nessuno dice una parola. Silenzio. Complicità. Ipocrisia.

Così va in scena l’ennesimo teatrino della “democrazia a una via sola”: quella in cui si vota, sì, ma solo se vince chi deve vincere. Si scrive “libertà di stampa”, si legge “parla solo chi obbedisce”. E guai a mettere in discussione la narrativa ufficiale: la censura, da eccezione, è diventata metodo. E il metodo fa scuola.

Alla prossima elezione truccata — pardon, “contestata” — in un Paese europeo, potremo sempre dire: tranquilli, la Romania ha fatto da apripista. Con buona pace della Carta dei Diritti, della Costituzione europea e di tutti i bei discorsi nei salotti progressisti di Bruxelles.