“Quella di Giulio Regeni è una questione di Stato, ho lavorato fino in fondo ai tempi in cui ero presidente della Camera. L’Egitto ha collaborato molto poco. Alle parole del presidente Al Sisi, ripetute durante il nostro incontro, non seguirono fatti. Così decisi di interrompere i rapporti con il Parlamento egiziano. La presero male, ci furono diverse proteste. Ma era giusto così, era giusto dare un segnale“. Queste le parole di Roberto Fico, l’ex presidente della Camera dei deputati, ascoltato come teste nel corso di una nuova udienza del processo sul sequestro, le torture e l’omicidio del ricercatore italiano, in cui sono imputati quattro 007 egiziani. Si tratta di Usham Helmi, il generale Sabir Tariq e i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati del reato di sequestro di persona pluriaggravato (mentre al solo Sharif sono contestati anche i reati di concorso in lesioni personali aggravate e di concorso in omicidio aggravato, ndr). Fico ha ricordato il suo incontro con Al Sisi, precisando come il presidente egiziano volesse “parlare di immigrazione, gas ed energia“. Venne però interrotto da Fico: “Gli dissi che non potevo permettermi di parlare d’altro e che quello che loro avevano fatto, a partire dai depistaggi, con il quale avevano infangato il nome di Giulio Regeni, non erano atti di collaborazione, ma il loro contrario. Fu un colloquio in cui sentivo la tensione. Alla fine mi disse: ‘Non siamo riusciti a parlare di altre questioni importanti’. Così ho ripetuto che per l’Italia non c’era questione più importante di quella Regeni“, ha continuato Fico.
Alle ennesime promesse vuote di Al Sisi, ha concluso Fico, non sono poi seguite azioni concrete. “Può e poteva fare molto di più”. Poi, a margine dell’udienza, ha aggiunto: “Non mi aspettavo Al Sisi a Roma (citato come teste insieme al figlio, l’ambasciata egiziana ha rifiutato le lettere, ndr), purtroppo, ma penso che con l’Egitto vanno posti tanti problemi, e non solo con l’Egitto”. Alle iniziative parlamentari di Fico e al suo strappo con il Cairo, non seguirono invece atti di forza simile da Palazzo Chigi o dalla Farnesina, sul piano politico: “C’erano anche altri file, come la cooperazione. Non sono stati interrotti tutti i file, mentre la Camera ha interrotto i rapporti”, ha ammesso l’ex presidente replicando alle domande del pm Sergio Colaiocco. Anzi, fu proprio il governo Conte II e lo stesso ex presidente del Consiglio a dare il via libera alla vendita nel 2020 di due fregate Fremm all’Egitto. “Non mi pento di quella autorizzazione, non c’è stata occasione, telefonica o incontri, in cui non abbia richiesto insistentemente cooperazione e collaborazione, che obiettivamente non c’è quasi stata. Per quanto riguarda i rapporti con l’Egitto dovete considerare che è un partner fondamentale per il Mediterraneo”, aveva tagliato corto Conte a distanza di anni, a sua volta sentito come testo al processo Regeni. “Se si è fatto abbastanza? Ognuno ha fatto la parte fino in fondo che poteva fare. Credo in generale, e lo dico allargando il discorso, che una delle nostre ‘ragion di Stato’, e dovrebbe esserlo per tutti gli stati, è la questione dei diritti umani. Oggi c’è il processo anche perché in tanti hanno lavorato”, ha concluso Fico al termine dell’udienza.
Oltre all’ex presidente della Camera sono stati ascoltati come teste anche il leader di Azione Carlo Calenda, già ministro dello Sviluppo economico, e l’ambasciatore Michele Valensise, ai tempi Segretario generale della Farnesina. “Del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni l’ho saputo dalla stampa”, ha spiegato Calenda. Secondo cui “l’Egitto si è trincerato dietro a un silenzio inaccettabile. Normalizzazione dei rapporti negli anni? Penso che la strada che si è provato a percorrere sia stata quella di dire ‘Se si mantiene una relazione si saprà cosa è successo’. Dobbiamo prendere atto che questo non è accaduto. Questo è un governo che sta attento, a parole, alla dignità nazionale, allora forse dovrebbe stare attento in questo senso alla dignità nazionale”.
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