Questo Pfas (il più piccolo di tutti) si nasconde in frutta e verdura, anche biologica
Il centro di controllo pubblico tedesco CVUA di Stoccarda ha condotto nel 2024 un’indagine approfondita che ha portato alla luce un fenomeno inquietante: la presenza diffusa di acido trifluoroacetico (TFA), un composto appartenente alla famiglia dei PFAS, in numerosi campioni di frutta e verdura, anche biologica. Ma partiamo dall’inizio. Cos’è il TFA L’acido trifluoroacetico (TFA)...

Il centro di controllo pubblico tedesco CVUA di Stoccarda ha condotto nel 2024 un’indagine approfondita che ha portato alla luce un fenomeno inquietante: la presenza diffusa di acido trifluoroacetico (TFA), un composto appartenente alla famiglia dei PFAS, in numerosi campioni di frutta e verdura, anche biologica.
Ma partiamo dall’inizio.
Cos’è il TFA
L’acido trifluoroacetico (TFA) è il più piccolo membro della famiglia delle sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS), comunemente definite “forever chemicals” per la loro persistenza nell’ambiente. Negli ultimi anni, la sua concentrazione nelle acque superficiali, sotterranee e potabili è aumentata significativamente, il che rappresenza un bel problema per la catena alimentare.
Il TFA è un acido carbossilico fluorurato caratterizzato da:
- Elevata persistenza nell’ambiente (è difficilmente degradabile)
- Buona solubilità in acqua
- Elevata mobilità che lo porta a diffondersi rapidamente nel ciclo idrico
La presenza del TFA nell’ambiente deriva sia da fonti naturali che umane. È presente naturalmente nell’acqua di mare (200 ng/L), in concentrazioni più elevate attorno alle sorgenti idrotermali sottomarine. Le fonti antropiche principali sono invece: la degradazione di prodotti fitosanitari (pesticidi), refrigeranti e propellenti (fluorocarburi), rivestimenti in teflon e produzione di farmaceutici.
I risultati dell’indagine
Nel 2024, il CVUA di Stoccarda ha analizzato 2.075 campioni di frutta e verdura provenienti da diversi Paesi (tra cui l’Italia) per determinare la presenza di TFA. I risultati mostrano che:
- Il 19% dei campioni esaminati conteneva livelli rilevabili di TFA (≥0,02 mg/kg)
- La contaminazione è presente sia nei prodotti biologici che convenzionali
Le categorie alimentari più colpite risultano essere:
- Frutta esotica: 36% (bio) e 39,7% (convenzionale)
- Ortaggi a foglia: 32,7% (bio) e 39,7% (convenzionale)
- Frutti di bosco: 21,4% (bio) e 13,9% (convenzionale)
- Germogli: 16,3% in entrambe le categorie
Il campione con il valore più elevato è stato un kiwi biologico, che ha registrato 0,76 mg/kg di TFA.

@CVUA
Nella Tabella 1 del documento originale, che riporta il contenuto di TFA nei kiwi per paese di origine, l’Italia emerge come il paese con il maggior numero di campioni analizzati e con una percentuale molto alta di risultati positivi. Dei 22 campioni di kiwi provenienti dall’Italia analizzati, 21 (95%) hanno mostrato risultati positivi per la presenza di TFA.
Il contenuto minimo rilevato è stato di 0,021 mg/kg, il massimo è stato di 0,759 mg/kg (che è il valore più alto rilevato nell’intero studio). Il contenuto medio di TFA nei campioni italiani positivi è stato di 0,09 mg/kg.

@CVUA
Perché la situazione è preoccupante
La presenza di TFA negli alimenti è particolarmente preoccupante per diversi motivi:
- Una volta rilasciato nell’ambiente, può diffondersi attraverso il ciclo dell’acqua, contaminando acque superficiali, sotterranee e potabili
- Come altri PFAS, il TFA potrebbe accumularsi nell’organismo umano attraverso l’esposizione continuativa, anche a basse dosi
- Le concentrazioni rilevate sono considerate dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) al di sotto della soglia di rischio immediato, gli effetti a lungo termine dell’esposizione cronica rimangono però sconosciuti
Sebbene i livelli riscontrati non rappresentino un pericolo immediato per la salute pubblica, lo studio tedesco evidenzia la necessità di un monitoraggio continuo e di ulteriori ricerche. Gli esperti del CVUA sottolineano l’importanza di identificare le principali fonti di contaminazione e di comprendere meglio i meccanismi attraverso cui il TFA entra nella catena alimentare.
La sfida per il futuro sarà sviluppare pratiche agricole e industriali più sostenibili che possano limitare la diffusione di questi contaminanti persistenti, proteggendo così sia l’ambiente che la salute dei consumatori.
Questo studio rappresenta un nuovo (ennesimo) importante campanello d’allarme sulla crescente presenza di PFAS nel nostro ambiente quotidiano e ci ricorda di prestare maggiore attenzione alla qualità e alla sicurezza degli alimenti che consumiamo.
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