Quanto può valere una macchina da cucito Singer del 1970? Una piccola storia di ingegno, nostalgia e collezionismo
C’è chi la tiene in soffitta, avvolta nella custodia in similpelle marrone, quasi fosse un cimelio di famiglia, chi la espone in salotto come un oggetto vintage, tra piante in vaso e vinili degli anni Settanta, e poi c’è chi la cerca con passione, setacciando mercatini, annunci online e vecchie sartorie in disuso. La macchina...

C’è chi la tiene in soffitta, avvolta nella custodia in similpelle marrone, quasi fosse un cimelio di famiglia, chi la espone in salotto come un oggetto vintage, tra piante in vaso e vinili degli anni Settanta, e poi c’è chi la cerca con passione, setacciando mercatini, annunci online e vecchie sartorie in disuso.
La macchina da cucito Singer del 1970 va oltre il concetto di semplice strumento da lavoro, perché testimone di un’epoca in cui cucire era un gesto quotidiano, un’arte tramandata, una necessità concreta e, per molte donne, anche una piccola forma di emancipazione.
Ma allora, quanto può valere oggi una macchina da cucito Singer di quell’anno?
Un’intuizione che ha fatto storia
Per rispondere, bisogna fare un passo indietro. Un bel salto nel tempo, a dire il vero. Siamo nel 1850, nel pieno della Rivoluzione Industriale, quando un certo Isaac Merritt Singer, imprenditore statunitense a cui non mancano fiuto e ambizione, prende un’idea già in circolazione e la trasforma in qualcosa di davvero nuovo. La macchina da cucito esisteva già in forme abbastanza rudimentali, ma fu lui a renderla accessibile, funzionale, soprattutto commerciabile. A differenza dei suoi predecessori, Singer progettò una macchina robusta, azionata da un pedale, dotata di braccio libero e ago verticale: la brevettò nel 1851 e cambiò per sempre la storia della sartoria.
Da quel momento in poi, il nome Singer divenne sinonimo stesso di macchina da cucire, un po’ come dire “Scottex” per i tovaglioli di carta, o “Nutella” per la crema alla nocciola.
Dai salotti borghesi alle cucine di provincia
Le Singer cominciarono a popolare i salotti della borghesia e le cucine delle famiglie operaie. Le nonne ci hanno cucito tende, grembiuli, abiti da festa e pantaloni rattoppati, mentre le sarte ci hanno costruito una carriera. Le artiste, invece, ci hanno visto un’estensione della propria creatività: Coco Chanel, ad esempio, aveva una macchina da cucito Singer nel suo atelier. Ed anche Elsa Schiaparelli – tra le stiliste più influenti del Novecento – pare la utilizzasse per rifinire personalmente alcune sue creazioni.
Negli anni Sessanta e Settanta, la macchina da cucire entrò definitivamente a far parte del tessuto domestico, per usare una metafora fin troppo calzante. La moda del “fai da te” esplose, complici i cartamodelli venduti in edicola e l’idea – assai pragmatica – che cucire i propri vestiti fosse economico, oltre che gratificante.
Modelli che hanno fatto epoca
Negli anni Sessanta la concorrenza si fece agguerrita. La svizzera Bernina lanciò la 730 Record, un piccolo gioiello di precisione e innovazione, con funzione elettronica e una velocità che faceva invidia ai modelli precedenti. La tedesca Pfaff rispose con la 130, apprezzata per la possibilità di cucire a zig zag, un dettaglio tecnico davvero innovativo per l’epoca.
E la Singer? Beh, continuò a innovare. Nel 1970, tra i modelli più diffusi c’erano la Singer 237, semplice e affidabile, perfetta per uso domestico, e la più sofisticata Touch & Sew 600, con funzione zig zag e possibilità di inserire dischi per punti decorativi. Per le più esperte, la Singer 401G rappresentava il top di gamma, capace di unire solidità, eleganza e funzionalità avanzate.
E oggi, quanto valgono?
Arriviamo al punto: quanto può valere oggi una macchina da cucito Singer del 1970? Dipende. Dipende da cosa si intende per valore.
Se parliamo di mercato, e quindi di denaro contante, le cifre non sono da capogiro, ma neppure da liquidazione in cantina:
- Una Singer 237, se ben tenuta e funzionante, può valere intorno ai 100 euro.
- Una Touch & Sew 600, in buone condizioni, può salire a 250-350 euro.
- La Singer 401G, considerata tra le più rare e ricercate, può raggiungere anche i 500 euro o più, specie se completa di accessori originali e libretto d’istruzioni.
Il valore può crescere in base a diversi criteri. Ad esempio, se la macchina è ancora funzionante, se ha una buona estetica e – dettaglio spesso decisivo per i collezionisti – se è stata conservata nella sua valigetta originale, con pedale, accessori, aghi e magari anche qualche rocchetto colorato dimenticato nel cassetto. A seconda di quanto detto, il valore potrebbe innalzarsi di parecchio.
Il valore affettivo e quello storico
Senza dimenticare l’altro valore, quello più difficile da quantificare, ossia il valore affettivo. Per molte persone, una Singer del 1970 rappresenta un’eredità, un oggetto che ha vissuto le stesse stanze, cucito gli stessi vestiti, accompagnato le stesse mani per decenni. In qualche caso, è quasi una macchina del tempo, che riporta indietro all’odore di stoffa, al rumore ritmico dell’ago, alla voce della madre o della nonna che diceva “stai attenta alle dita”.
E poi c’è il valore storico. Una macchina da cucire, se ci pensi, è una piccola scultura meccanica, fatta di ingranaggi, leve, viti e ingegno. Rappresenta un passaggio concreto dall’artigianato all’industria, dall’epoca dei mestieri a quella della produzione di massa.
Una passione da collezionisti (e non solo)
Chi colleziona macchine da cucire non lo fa solo per passione vintage. Le cerca, le studia, le restaura. Alcuni le usano ancora, e giurano che le cuciture delle vecchie Singer siano più resistenti di quelle fatte oggi con certi modelli di plastica moderna. Altri, invece, le espongono con orgoglio, come opere d’arte industriale.
E in fondo, lo sono davvero. Dei piccoli monumenti domestici, monito di una sapienza meccanica che sembra venire da un’altra epoca, una di quelle epoche in cui le cose si cercava di aggiustarle, senza buttarle via al primo accenno di usura.
In definitiva, se possiedi una macchina da cucito Singer del 1970, conservala. Magari la farai valutare, magari la venderai, magari ci cucirai ancora qualcosa. Ma prima di tutto, guardala per quello che è: una macchina, sì, ma anche un frammento di storia. E come tutte le cose vere, ha valore anche quando non lo si può contare in euro.
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