Prezzo di benzina e diesel in discesa in Italia, ma non basta
Perché il prezzo di benzina e carburanti sta scendendo ma non in maniera adeguata e a cosa rischiano di andare incontro i consumatori senza una regolarizzazione mirata

Negli ultimi mesi, il prezzo del petrolio ha subito una contrazione significativa, con un crollo delle quotazioni che in un mercato trasparente e realmente concorrenziale avrebbe dovuto tradursi in un sollievo concreto per gli automobilisti italiani.
Eppure, la discesa dei prezzi di benzina e gasolio è apparsa timida, lenta, quasi impercettibile se confrontata con l’entità della riduzione del greggio.
Il prezzo della benzina scende ma non abbastanza
Secondo i dati diffusi dal Codacons il 16 aprile 2025, il prezzo del WTI è passato dai 78 dollari al barile di metà gennaio agli attuali 60,5 dollari, mentre il Brent è sceso da 82 a 64 dollari nello stesso arco temporale.
Si tratta di una riduzione che sfiora il 22%, un dato tutt’altro che trascurabile in un’economia globalizzata in cui il petrolio rappresenta un indicatore sensibile e trasversale.
Eppure, come spesso accade nel mercato dei carburanti, la trasmissione di questo beneficio al consumatore finale è tutt’altro che lineare.
Il prezzo medio della benzina al self è sceso da 1,823 a 1,731 euro al litro (-5%), mentre il gasolio è calato da 1,726 a 1,628 euro al litro (-5,7%). Una riduzione modesta, soprattutto se paragonata al crollo del greggio.
Un mercato poco reattivo e con scarsa elasticità
Quello che stiamo osservando è il classico effetto forbice che affligge da anni il settore petrolifero italiano.
Cioè, quando il petrolio sale, i prezzi al distributore si adeguano rapidamente, quando invece scende la diminuzione dei listini è più cauta, dilazionata nel tempo, e spesso del tutto insufficiente. Una dinamica che tradisce un’asimmetria di fondo nel modo in cui opera la filiera della distribuzione dei carburanti.
Si tratta di fatto di una situazione che, come ha fatto notare il Codacons, anche tenendo conto del peso della fiscalità elevata sui carburanti in Italia — tra accise e Iva, che pesano per oltre il 55% sul prezzo finale — la quota residua (il prezzo industriale) avrebbe dovuto registrare un calo molto più marcato.
Di fatto, i numeri denunciano una situazione evidente, ovvero: il mercato italiano dei carburanti soffre di una scarsa elasticità al ribasso. Gli operatori sembrano più solerti nell’adeguare i listini quando il petrolio sale, meno propensi quando cala. Questo comportamento, pur non illegale, solleva interrogativi etici ed economici sulla reale esistenza di una concorrenza tra i distributori.
In questo modo, con i prezzi dei carburanti che restano alti in modo sproporzionato e con il costo della mobilità che incide in modo diretto su tutta la catena, di fatto si sta alimentando un circolo vizioso che contribuisce a rallentare l’efficacia delle misure anti-inflazione.
Quali sono le soluzioni
Per far fronte a questa situazione gli esperti suggeriscono un monitoraggio più stringente da parte delle autorità di regolazione e tutela del consumatore.
Inoltre, sarebbe utile che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) vigilasse non solo sugli accordi di cartello — oggi difficilmente dimostrabili — ma anche sulle modalità opache di formazione del prezzo, specie nei momenti di transizione come questo.
Allo stesso tempo, la trasparenza sui margini di guadagno della distribuzione e la pubblicazione quotidiana delle componenti di prezzo potrebbero restituire fiducia ai consumatori e mettere pressione sugli operatori per una maggiore equità.
Infine, sarebbe il momento di riprendere in mano il dossier delle accise temporanee divenute permanenti: una revisione strutturale del peso fiscale sui carburanti è necessaria per accompagnare la transizione energetica senza penalizzare chi ancora oggi non può fare a meno dell’auto.