Perché siamo sempre stanchi? È il cervello che decide. Il ruolo dei mitocondri “spenti” e il peso reale dello stress

Le ultime ricerche sul senso di stanchezza cronica hanno scomodato il meccanismo di enterocezione: quel processo con cui il cervello, di momento in momento, valuta quanto e come ci stiamo adattando al mondo L'articolo Perché siamo sempre stanchi? È il cervello che decide. Il ruolo dei mitocondri “spenti” e il peso reale dello stress proviene da Open.

Mar 17, 2025 - 19:26
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Perché siamo sempre stanchi? È il cervello che decide. Il ruolo dei mitocondri “spenti” e il peso reale dello stress

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Il troppo sport, il troppo lavoro, il troppo stress. Passiamo spesso le giornate a cercare una motivazione valida per la perenne stanchezza che avvertiamo. In molti casi il sospetto di carenze nell’organismo ci conducono dritto nello studio del medico, che indaga, a volte con non poca fatica, le reali motivazioni di un senso di stanchezza che stenta a scomparire. Le ultime indagini della scienza sul tema aprono ora nuovi meccanismi di causa ed effetto che riconducono la stanchezza a ragioni più complesse dell’eccessivo dispendio di energie.

Un problema di molti

Secondo una recente analisi dei dati provenienti da 32 paesi, ben 1 su 5 adulti sani si lamenta di livelli di affaticamento problematici. Sentirsi stanchi tutto il tempo è uno dei motivi più comuni per cercare assistenza medica, tanto che in gergo il sintomo ha meritato anche un acronimo TATT, che in inglese sta per tired all the time. Per questo gli scienziati hanno scelto di indagare ancora meglio sulle possibili ragioni dietro la stanchezza perenne: «Il fatto che così tante persone in buone condizioni di salute si sentano così stanche non sembra avere un senso. Molti, almeno in Occidente, hanno un facile accesso a molte più calorie di quelle di cui hanno realmente bisogno. Se sentirsi bene fosse semplicemente una questione di calorie, energia fuori, saremmo tutti pieni di forza e vigore», spiegano.

Cosa vuol dire avere energia?

Fino a poco tempo fa la ricerca medica aveva dato poco spazio alla determinazione di ciò che dal punto di vista dell’organismo significhi avere energia. Un vuoto accademico che soprattutto l’industria alimentare e del benessere ha tentato di riempire in tutti i modi tra beveroni energetici, integratori e snack proteici, mettendo in piedi un giro d’affari milionario. Ora gli studiosi stanno dando una nuova visione su ciò che significa sentirsi energici: la ricerca sta rivelando che il modo in cui percepiamo lo stato di stanchezza dipende in gran parte dalla valutazione del cervello su quanta energia in quel preciso momento sia disponibile per le nostre cellule. La sensazione di affaticarsi e di correre a vuoti dipende quindi non sempre dal reale apporto energetico a disposizione del nostro corpo in quel momento.

L’enterocezione: che cos’è e cosa c’entra con la stanchezza?

Si chiama enterocezione il modo in cui il nostro cervello interpreta i segnali che arrivano dall’interno del corpo. Un po’ come una specie di nostro sesto senso, è la capacità di rivelare i cambiamenti corporei: dal battito cardiaco al cambiamento delle concentrazioni di alcuni ormoni nel sangue, fino all’espressione psicologica di sentimenti ed emozioni. Integrate al cervello, queste sensazioni corporee arrivano nel nostro stato mentale e di comportamento, conquistando una notevole voce in capitolo su pensieri ed emozioni.

Tra le più importanti caratteristiche dell’enterocezione c’è la capacità di avverarsi in maniera del tutto inconsapevole rispetto alla nostra percezione. «La ragione per cui generalmente non siamo cognitivi di questo sistema di mantenimento della vita è perché i messaggi inintercettivi sono al di sotto del radar della consapevolezza cosciente per la maggior parte del tempo», spiega Hugo Critchley, neuroscienziato presso l’Università del Sussex, Regno Unito.

Eppure, anche quando vengono rilevati a livello inconscio, i segnali avvertiti possono influenzare il modo in cui pensiamo, sentiamo e ci comportiamo.

Le ultime ricerche sul senso di stanchezza cronica hanno scomodato proprio il meccanismo di enterocezione, e quel processo con cui il cervello, di momento in momento, valuta quanto e come ci stiamo adattando al mondo. Nel costante dialogo corpo-cervello si tratta quindi di capire da dove proviene il segnale per risparmiare energia. A questo fine sarà allora fondamentale prendere in considerazione l’attività dei mitocondri, le centrali energetiche dell’organismo. Al loro interno avvengono quei processi biochimici, come la respirazione mitocondriale, che forniscono alle cellule l’energia di cui hanno bisogno per tutte le loro funzioni vitali. Quando i mitocondri non lavorano in modo efficiente, le persone si sentono letargiche e stanche.

La stanchezza perenne è dunque sempre colpa di mitocondri “spenti”?

La più grande perdita di energia mitocondriale registrata dagli scienziati si verifica proprio in caso di eccessivo “carburante” per l’organismo. L’energia solitamente viene rilasciata gradualmente nei mitocondri, in una serie di piccoli passaggi biochimici che non possono essere affrettati e devono accadere in un certo ordine per evitare di causare un blocco metabolico. Nel caso arrivi troppo carburante e nello stesso momento, i mitocondri avranno bisogno di prendersi una pausa dal rilasciare energia, in modo che le cellule poi siano in grado di concentrarsi sulla quantità in eccesso. Questo meccanismo ci lascia, almeno a breve termine, con più senso di stanchezza e lentezza, che non corrisponderà a un’effettiva scarsità di forze. Il processo di enterocezione, e quindi l’avvertimento di questo processo da parte del cervello, ci porterà a un senso di fiacchezza e di minore capacità percepita delle nostre cellule di produrre energia. Per questa stessa ragione i regimi alimentari ad alto contenuto di zuccheri sono particolarmente problematici, favoriscono infatti l’inefficienza dei mitocondri e rendono le persone più pigre e lunatiche, piuttosto che più energiche.

Lo stesso meccanismo accade con lo stress

Poi c’è lo stress, fisico ed emotivo: secondo uno studio di Martin Picard della Columbia University di New York e del suo gruppo di lavoro, lo stress aumenta del 60% la velocità con cui le cellule bruciano energia. Questo è in parte dovuto al fatto che i mitocondri, che producono anche cortisolo, ormone dello stress capace di inviare come una specie di segnale di autorizzazione che avverte: il corpo non ha energia necessaria per affrontare una sfida in arrivo.

Lo stress non è solo un drenante e quindi un indebolitore dei mitocondri, ma anche un elemento centrale nel famoso dialogo tra corpo e cervello. Lisa Feldman Barrett, neuroscienziata della Northeastern University in Massachusetts spiega: «L ‘idea è che il cervello funzioni generando una “migliore ipotesi” su ciò che sta accadendo nel corpo, adattandosi se necessario sulla base di informazioni sensoriali in arrivo. Quando la previsione e le prove non corrispondono, il segnale “error” risultante viene vissuto come una sensazione, che sia buona, cattiva, piena di energia o di senso di stanchezza».

La percezione della fatica non segue l’effettivo apporto energetico del corpo

È importante sottolineare quindi che la valutazione del cervello sullo stato del nostro organismo quindi potrebbe spiegare perché è perfettamente possibile dormire bene e sentirsi ancora esausto al pensiero di una lunga giornata di riunioni avanti. E ancora, è in grado di rivelare anche perché una buona notizia inaspettata può tradursi in una spinta energetica istantanea: anche in questo caso, lo stato energetico del corpo non è cambiato, ma la previsione del cervello sulla forza con cui poter lavorare ha trasformato la situazione.

Ecco perché anche soltanto invecchiare ci fa percepire esausti

Il fatto che ci siano così tanti input nella valutazione dell’energia corpo-cervello (alcuni fisici, alcuni psicologici e molti che operano inconsciamente), rende difficile la misurazione oggettiva di una condizione di stanchezza o di forza. Nonostante questo esistono diversi biomarcatori candidati che possono indicare le sensazioni oggettive di vitalità o stanchezza. Uno fra tutti la crescita di GDF 15, una molecola che le cellule rilasciano quando sono sotto stress. Secondo Stephen O’Rahilly dell’Università di Cambridge, in risposta a infezioni, lesioni e stress psicosociale, GDF15 sembra funzionare come un segnale di soccorso per informare il cervello che ha bisogno di risparmiare energia.

Un’altra linea di prove mostra che GDF15 potrebbe anche spiegare perché anche soltanto invecchiare sembra renderci più stanchi. GDF15 è un indicatore affidabile dell’invecchiamento, con livelli nel sangue che aumentano fino al 25% con il passare di ogni decennio. Picard sospetta che anche questo sia frutto dell’interocezione, della valutazione psicologica del nostro bilancio energetico. In un recente articolo, sostiene che molti dei sintomi dell’invecchiamento, tra cui l’affaticamento, sono dovuti a cellule che accumulano danni e lottano per tenere il passo con i costi energetici delle riparazioni.

Mentre quindi si accumulano i detriti, le cellule inviano segnali di soccorso al cervello che risponde risparmiando energia laddove possibile. «GDF15 a quel punto suggerisce al nostro cervello di dover tagliare i costi, ridurre i muscoli, suggerisce di essere un po’ meno entusiasti, ingrigirsi i capelli», spiega Picard. «Tutte queste cose sono modi per risparmiare energia».

Lo studio di Picard si è concentrato infine sulle relazioni tra stress e capelli grigi. I periodi di particolare pressione potrebbero essere collegati al dialogo corpo-cervello che devia temporaneamente l’energia che normalmente spenderebbe sul pigmento dei capelli a qualcosa di più importante. Una volta passato lo stress, esistono possibilità che il colore ritorni. «Naturalmente, questo non significa necessariamente che il grigio sia opzionale, ad un certo punto, le sfide dell’invecchiamento probabilmente lo rendono inevitabile per coloro che hanno la fortuna di vivere così a lungo. Ma suggerisce che il tasso di invecchiamento può essere più malleabile di quanto pensiamo».

Come agire sulla percezione della fatica (e sentirsi meno stanchi)

Alla luce delle nuove intuizioni della scienza, le scelte e le abitudini quotidiane possono avere un ruolo nel modo di percepire vitalità o fiacchezza. Una delle pratiche è quella che Elissa Epel dell’Università della California, San Francisco, definisce «profondo riposo». Epel suggerisce che pratiche come meditazione e preghiera sono in grado di migliorare il benessere e di calmare la mente riducendo il bisogno percepito di accovacciarsi e risparmiare energia.

Anche la dieta e l’esercizio fisico svolgono un ruolo importante nel nostro budget energetico. Gli snack zuccherati hanno dimostrato di far danni all’umore e ai livelli di energia, così come spiegato nel caso dei mitocondri. Mentre brevi periodi di attività fisica sono in grado di provocare il contrario. L’esercizio fisico in particolare costringe il corpo ad aumentare la produzione di energia cancellando i mitocondri inefficienti e sostituendoli con quelli freschi che funzionano meglio. «Non dimentichiamo infine che le persone che ci circondano influiscono sui livelli di energia in un senso molto reale. Non importa quanto tu abbia nel tuo piatto, se di tanto in tanto non rispetti una corretta alimentazione o non segui il piano di attività fisica, è bene sapere che i nostri corpi e cervelli sono cablati in modo che, nella giusta compagnia, si trovi abbastanza energia per vivere la giornata».

Foto: MART PRODUCTION/Pexel

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