Perché Bruxelles accelera solo sulle spese per la difesa?
Mosse, annunci e scenari sulle ultime decisioni della Commissione europea in materia di allentamento del patto di stabilità. Il commento di Filippo Mazzotti

Mosse, annunci e scenari sulle ultime decisioni della Commissione europea in materia di allentamento del patto di stabilità. Il commento di Filippo Mazzotti
Einstein sosteneva che la follia consiste nel ripetere sempre la stessa azione aspettandosi risultati diversi.
Scopriamo in questi giorni dalla proposta sulle spese militari di Ursula Von Der Leyen, che anche il Patto di Stabilità europeo nuovo di zecca andrà in qualche modo sospeso, proprio come quello vecchio, per incompatibilità con il mondo reale.
Più che di una vera e propria sospensione si tratta di un ricorso alle clausole di salvaguardia previste dal patto stesso, pur con una certa forzatura perché quella generale richiede la presenza di una grave congiuntura economica, mentre quelle nazionali contemplano, sì, circostanze eccezionali al di fuori del controllo degli Stati che chiedono di attivarle, ma queste devono avere ripercussioni sulle finanze pubbliche e non derivare semplicemente da priorità politiche, per quanto urgenti.
Fosse la prima volta che capita si potrebbe anche sorvolare, solo che la prima volta non è, anzi. Il nuovo Patto è arrivato, dopo lunga gestazione, proprio perché quello precedente è stato a lungo sospeso perché, con i suoi percorsi di risanamento scolpiti nella pietra, avrebbe reso impossibile contrastare la crisi economica determinata dal Covid. Senza contare quel temporary framework sugli aiuti di Stato, nato anch’esso al tempo del Covid, che si è rivelato talmente temporary che, nelle sue successive gemmazioni, ce ne sono dei pezzi che sono ancora in vigore dopo cinque anni.
È una sorta di attitudine compulsiva a legarsi le mani, eliminando qualunque forma di discrezionalità politica: quello che, credendo di farsi un complimento, i dignitari continentali chiamano “pilota automatico”, e che ha trovato l’apice nel Recovery and Resilience Fund, da cui il Pnrr italiano, madre di tutti i costruttivismi a trazione burocratica.
È in questa occasione che si è messo in pratica l’approccio sfrenatamente dirigista di chiedere a mezza Europa di stabilire in anticipo la propria politica economica per i sei anni successivi, con obiettivi di performance precostituiti trimestre per trimestre. E così, mentre ci danniamo l’anima per trovare risorse per la difesa, abbiamo un mega piano di quasi 200 miliardi in cui per la difesa ci sono le briciole, ma qualcosa di simile si potrebbe dire ad esempio anche per l’intelligenza artificiale, perché all’inizio del 2021, quando abbiamo dovuto sottoscrivere il fatale documento, non era ancora in cima alla lista delle priorità. In compenso abbiamo diverse decine di miliardi, in Italia ed in Europa, impegnati fino alla fine del 2026 per una transizione ecologica che ben pochi sembrano ancora volere: secondo lo Scoreboard della Commissione Europea il 76% degli oltre 4.000 target&milestone del pilastro Green transition sono ancora da conseguire.
Tanto per dar ragione ad Einstein, continuiamo a fissare regole che non possiamo rispettare, al punto che oggi abbiamo, contemporaneamente, un mega piano sesennale di programmazione economica che ignora la difesa, ed una governance economica, adottata per Regolamento e quindi destinata a durare, che la indica come una delle priorità assolute.
Il punto non è più nemmeno la rigidità, ma il pilota automatico in quanto tale. Il metodo continua ad essere sbagliato perché sbagliato è il presupposto: l’idea che le scelte giuste sono impopolari e quindi bisogna imporle con qualche sotterfugio.
Un breve sguardo retrospettivo suggerisce, al contrario, che buona parte dei guai europei, dalla crisi industriale alla conflittualità geoeconomica, si sarebbero evitati se nel prendere le decisioni che le hanno prodotte si fosse tenuto conto del consenso sociale, anziché chiudersi in qualche think tank a studiare il modo di infilarle in qualche vincolo esterno.
Continuare ad ignorarlo determina una distorsione esiziale che non cesserà fino a quando non ci si deciderà a iniettare di nuovo dosi di rappresentanza nel processo decisionale e, soprattutto, nella definizione a monte dell’agenda.
Fino ad allora, la politica continuerà a prendersi le sue rivincite in un’Europa che offre ormai la sensazione di sopravvivere solo perché i costi del suo smantellamento sono, almeno per ora, considerati superiori a quelli della sua conservazione.