Pepe Mujica ci ha lasciati
Ieri sera, non all’improvviso, non inaspettatamente, Pepe ha lasciato questa dimensione. È stato tante cose, Pepe Mujica: un appassionato di politica, un militante, un guerrigliero. È stato un condannato e […]

Ieri sera, non all’improvviso, non inaspettatamente, Pepe ha lasciato questa dimensione.
È stato tante cose, Pepe Mujica: un appassionato di politica, un militante, un guerrigliero. È stato un condannato e un carcerato d’oro, uno di quei rehenes che sarebbero stati giustiziati come prezzo per gli assalti dei Tupamaros. E Pepe lo era stato un Tupamaro e pagò con più di un decennio di carcere duro, in isolamento, con percosse e torture che gli procurano danni psicologici che lo accompagnarono a lungo.
Ma Pepe fu l’uomo della svolta in Uruguay, uno di quelli svegli e sani che capiscono che a un certo punto è meglio provare a misurarti con quel potere in mano a gente sbagliata. E quella scelta lo premiò, via via, con ruoli sempre più importanti, fino a diventare presidente.
“Entro in Parlamento da fioraio”, affermò nel 1994 e questa sua postura da uomo della terra e della Terra non lo abbandonò mai. Diresse la politica con saggezza e lungimiranza, era amato dalla sua gente perché non smise mai di essere uno di loro.
Divenne popolare la sua lezione sulla sobrietà, sul vivere con ciò di cui abbiamo bisogno, facendoci sordi alle sirene del capitalismo e dell’accumulo, ché accumulare significa togliere tempo al tempo, alla famiglia, agli amici, all’amore che è l’energia a cui tutto ritorna.
Questo era Pepe Mujica: intransigente coi crudeli del mondo, coerente fino alla fine coi suoi precetti, fu criticato da persone della sua stessa area perché il suo sembrava un invito alla povertà e non era mica San Francesco. Come Francesco però aveva capito che il tuo esempio ha più valore se lo indichi da dentro il mondo talvolta marcio delle istituzioni che da fuori, da perenne antagonista.
Si sporcò le mani col potere senza peraltro sporcarsi mai la coscienza, senza giocarsi la dignità, senza cedere a compromessi: un piccolo uomo con le dita sporche di terreno, i vestiti semplici e vecchi, una macchinina logora, una casa – la sua – senza fronzoli, che contribuì allo svecchiamento del suo Paese. Nell’era Mujica l’Uruguay fu riconosciuto paese all’avanguardia in America Latina in merito ai diritti sociali e civili, un’epoca di rinnovamento anche a livello regionale e internazionale del subcontinente.
È stato tante cose, Pepe Mujica. Ma una lo è stato più di tutte: un essere umano. E non un essere umano per destinazione biologica, ma uno di quelli illuminati che aveva capito per cosa valesse la pena vivere: per la felicità, propria e altrui. Un essere umano costantemente grato alla vita, alla quale dedicò parole sagge e infine tempo, quello stesso tempo che definiva il più importante tra gli elementi della vita.
“Se non si combatte affinché la vita, la propria e quella degli altri, sia felice per cosa vale la pena vivere?”, chiedeva retoricamente, perché lui la risposta la conosceva e la applicava, ogni giorno.
Durante questi anni ho visto riflesse tante sfaccettature in Mujica e ho ammirato così profondamente l’uomo che è saputo essere, fino in fondo: l’uomo che ha perdonato e si è perdonato, che ha indirizzato dando l’esempio, che ha consigliato ma non rubando la scena.
Pepe Mujica ha incarnato – ideologicamente, intellettualmente – l’America Latina come pochi hanno saputo fare e ha difeso Nuestra América ricordandone la grandezza, affrontandone i limiti, denunciando la atavica dependencia.
Ci sono uomini che lasciano la fisicità perché la loro anima è già piena dell’altrove: “Siate sempre buoni, anche se non serve a molto. Ma fatelo per non dovervi pentire nei confronti di voi stessi”.
Pepe Mujica ha cantato la politica e l’amore, perché sono gli esseri elevati possono permettersi il grande lusso di comprendere che solo un grande cuore è davvero rivoluzionario.
A rivederci, Pepe.
Ci mancherai.