Pace e dialogo, l’eredità del Papa. Chiesta (ancora) al centro del mondo
il funerale di Bergoglio rivela la vitalità di un’istituzione che può avere un grande ruolo internazionale

La Chiesa può fermare le guerre. Il Papa del dialogo ha consegnato con la sua morte una visione spirituale e sociale fondata sul Dio della misericordia e della pace. Una chiara indicazione per 1 miliardo e 400 milioni di cattolici nel mondo (in aumento). Oltre l’emotività e la suggestione, è indubbio che i 400mila partecipanti ai funerali di papa Francesco con una marea di capi di Stato e di governo, leader mondiali, i rappresentanti delle religioni, esprimono pubblicamente la centralità della Chiesa nel contesto internazionale rispetto alle grandi sfide geopolitiche e geospirituali, ma in particolare rispetto alla questione della pace in un percorso di giustizia credibile e condivisa.
L’omelia del cardinale Giovanni Battista Re è stata un capolavoro. Se ha cercato di far prevalere le interpretazioni che uniscono all’interno della Chiesa sul pontificato di Bergoglio, nello stesso tempo ha mandato un segnale forte all’esterno, invitando a costruire ponti e non muri tra le nazioni, una delle grandi preoccupazioni del Pontefice appena scomparso.
Ma soprattutto tutta la regìa dei funerali, dall’organizzazione alla comunicazione alla gestione dell’evento, è stata sapientemente curata in modo da eseguire le volontà del primo Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco, il santo di Assisi che 800 anni fa incontrò il Sultano d’Egitto mentre imperversavano le guerre delle Crociate. Quello che è emerso è una eredità di fede, di azione diplomatica e di testimonianza cristiana che ha messo tra parentesi (almeno per un giorno) i contrasti sul Pontificato di Bergoglio, sulla linea di cercare il dialogo sempre e nonostante tutto, sull’accoglienza aperta a tutti, su quella misericordia che gli ha permesso di inaugurare nuove strade, senza cambiare la dottrina, di cuore caldo verso ogni persona. Ha sempre sostenuto che bisogna partire dalla realtà che c’è, non da quella che vorremmo. E accompagnare, perdonare, integrare, ascoltare.
È ancora presto per rendersi conto di quanto ha fatto, pregato, pensato e donato a ciascuno di noi, questo Pontefice venuto dalla fine del mondo, lontano dall’Europa, eppure così riconoscente e attento alla storia dell’Europa cristiana, e all’Europa patria dei diritti e della democrazia. Guardando, tuttavia, alle tragedie mondiali, al ritorno della guerra, alle disuguaglianze economiche sempre più forti, ad una terra da salvare, allo scarto degli ultimi e alle solitudini esistenziali che colpiscono anche i più benestanti, più in generale alla incertezza e allo spaesamento di fronte ai sogni del futuro, al pensiero liquido e neonichilista con le sue ombre di morte che minacciano la ricerca della speranza e della felicità, la Chiesa ha svelato con papa Francesco e con molti cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e molti laici (pensiamo solo al forte ruolo delle donne) una vitalità inaspettata e sorprendente, una esperienza di fraternità, coesione, comunione, che possono essere fattori di crescita di umanità, collaborazione, concordia.
Nella dimensione più pubblica, uno dei grandi temi da molti anni è quello della limitazione del potere. E sin dal 2015 Papa Francesco lo aveva indicato a New York, nel discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quando aveva profetizzato che la stessa limitazione del potere deve rimanere il fondamento del diritto per assicurare un futuro di pace, e di salvaguardia di ogni cittadinanza. Sappiamo poi quanto è avvenuto dopo. La Chiesa, sulla base dell’insegnamento pratico di papa Francesco, può avere un grande ruolo internazionale nel collaborare per superare la crisi della democrazia. Nazionalismi e populismi non aiutano a preparare una pace giusta. E il dialogo per una pace duratura passa oggi attraverso le vie del Vaticano e della Chiesa di Roma, l’unica realtà globale in grado di parlare con tutti, anche con i più lontani. Dopo i funerali di Bergoglio, il mondo guarda alla Chiesa. È forse la sua eredità più grande.